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Le 635 stragi nazifasciste e gli armadi della vergognaLe nebbie continuano.Di
Giovanni Brunale Il
Parlamento italiano si occupa da anni delle 635 stragi nazifasciste la cui
documentazione era stata secretata “negli armadi della vergogna”
presso il Tribunale Militare di Roma, sia con la costituzione di una
Commissione d’indagine parlamentare che con una proposta di legge,
riguardante il risarcimento delle migliaia di vittime di dette stragi. Mentre
l’esame della proposta di legge, per “una equa riparazione” delle
vittime delle stragi, che aveva iniziato il suo esame nelle commissioni
Difesa e Giustizia del Senato, vede bloccato il suo iter parlamentare, la
Commissione bicamerale d’indagine,
prosegue i suoi lavori come viene illustrato dal sen. Giovanni Brunale,
componente della stessa nell’articolo che segue: “Dall’ottobre
2003, data d’inizio della attività della Commissione, è stata prodotta
una gran mole di lavoro frutto di audizioni, ricerche, acquisizione di
materiali, missioni all’estero presso gli archivi tedeschi, ma non un
passo è stato fatto per riuscire a scoprire e documentare le ragioni
dell’occultamento dell’archivio rinvenuto nel 1994 in un locale di
palazzo Cesi a Roma, sede degli uffici giudiziari militari di appello e di
assise. La
Commissione, come detto in precedenza, istituita allo scopo di scoprire e
documentare le ragioni di tale illegittimo occultamento protrattosi fino
al 1994 non ha prodotto ancora un risultato di rilievo sotto il profilo
istituzionale e politico, ma in ragione del fatto di dover ricostruire
l’intricata vicenda a partire dalla sua scoperta e perciò a partire dal
1994. I
magistrati che nel 1994 trovarono a palazzo Cesi il cosiddetto “armadio
della vergogna” decisero di istituire una Commissione mista formata da
esponenti della Procura Generale militare presso la Corte Militare
d’Appello e presso la Corte di Cassazione con il compito di fare una
ricognizione del materiale rinvenuto e di individuare i provvedimenti da
adottare. La
maggior parte dei fascicoli, 695 in tutto, furono inviati alle procure
militari competenti; 202 incartamenti, però, rimasero a Roma senza essere
assegnati a nessuna procura e su essi venne assunto un provvedimento di
“non luogo a procedere”. La
Commissione parlamentare si è così imbattuta su una gestione del
ritrovamento e, soprattutto, sulla gestione dei fascicoli successiva al
loro ritrovamento che non è affatto chiara. Innanzitutto perché non è
stato fatto un inventario del materiale rinvenuto, poi perché non si è
provveduto con immediatezza ad una denuncia del ritrovamento (solo la
pressione di alcuni settimanali e la precisa denuncia di alcune procure
militari indusse il Consiglio della Magistratura militare ad aprire
un’indagine conoscitiva), poi e infine perché la decisione iniziale di
istituire la Commissione mista non era supportata da alcuna normativa e
quindi il suo operare fino al punto di decidere il “non luogo a
provvedere” su 202 incartamenti appare improprio e comunque di
impedimento a che le procure militari competenti potessero esercitare il
loro lavoro. Per
altro l’acquisizione da parte della Commissione parlamentare del
documento finale di questa commissione mista difforme a quello fornito al
Consiglio della magistratura militare nel 1996 ha ulteriormente complicato
il problema gettando un’ombra inquietante sull’intera vicenda quasi
che invece di aiutare la ricerca della verità si sia, dopo il 1994,
prodotta ulteriore nebbia che le audizioni dei vertici della magistratura
militare interessati non hanno dissolto. A
questo punto del percorso parlamentare appare chiara la necessità di
chiudere il lavoro della Commissione d’inchiesta sui fatti post 1994. Se
limiti e errori sono emersi nell’operato della magistratura militare, la
Commissione ha il dovere di evidenziarli ai Presidenti di Camera e Senato,
per quanto di rispettiva competenza istituzionale. La
Commissione parlamentare dovrà invece per tener fede al mandato ricevuto,
dedicare il proprio lavoro alla ricerca delle ragioni politiche che
orientarono la Procura generale militare ad occultare illegalmente in
appositi locali per circa mezzo secolo fascicoli concernenti crimini di
guerra con ciò impedendo l’espletarsi di ogni utile indagine per la
celebrazione di regolari processi.” Sen.
Giovanni Brunale (componente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi) Roma 30 ottobre 2004
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