La
destra plurale
In
questi giorni non so quanti si saranno sorpresi per l'intesa raggiunta tra
lo schieramento della destra e la Fiamma di Rauti in Sicilia. A seguire la
manfrina di alcuni esponenti di FI e CCD, con le ovvie giustificazioni sul
meccanismo elettorale, siamo obbligati, e' un aspetto locale, ecc...
Riflessioni
a parte sulle pulsioni piu' revansciste e sulla cultura politica espressa
dallo schieramento berlusconiano, messi in luce dalla vicenda richiamata,
lo stupore dimostrato da alcuni esponenti politici e' decisamente fuori
luogo. Perche' da tempo sono noti, leggibili e ampiamente documentabili i
temi, le campagne, le parole d'ordine che uniscono FI, Lega e An con tutta
la galassia della destra neofascista. Ed il “senso comune” che tendono
a produrre, ad esempio, le paranoie sulla presunta invasione degli
immigrati o sulla sicurezza, agitate insieme da anni ed inseguite anche da
chi dovrebbe smascherare la strumentalita' di queste posizioni.
Guido
Caldiron - collaboratore de "il manifesto" e
"Liberazione", (oltre che della nostra rivista sulla quale ha
scritto piu' volte sui diversi volti della destra lombarda) - offre ai piu'
distratti e superficiali con la sua ultima fatica "La destra
plurale. Dalla preferenza nazionale alla tolleranza zero" -(ed.
Manifestolibri 2001 - L.29.000), l'occasione di capire la crescita
elettorale e non solo, dell'estrema destra negli ultimi quindici anni.
Il
quadro tracciato da Caldiron, osservatore coraggioso e attento da anni di
tutto quanto si muove nella destra, vecchia e nuova, riunisce ricerche e
interventi svolti negli ultimi anni.
Parte
dal nostro paese - dalla vittoria polista del '94 con l'arrivo al governo
di Lega e MSI, non ancora trasformato in AN, ed il segnale dato a tutte le
formazioni di estrema destra europee, molto prima del caso Haider - per
toccare Austria, Francia e le altre realta' del continente, compresi Est e
Jugoslavia, passando per gli USA del modello Giuliani e delle varie
milizie, svolgendo un'ampia disanima sui vari aspetti dell'offensiva
culturale, storica e politica condotta in questi anni. Insomma una sorta
di mappa dettagliata su un “mondo” spesso sottovalutato e poco
analizzato a sinistra e che ha allargato la propria capacita' d'influenza
ben oltre i propri rigidi confini di appartenenza. Infatti quello che oggi
dovrebbe maggiormente preoccupare e' che le differenze e le distanze che
separavano la vecchia destra conservatrice da quella piu' radicale,
intollerante e xenofoba sembrano sfumare. Per questo l'espressione
"destra plurale" sta anche ad indicare quella possibile
saldatura tra diversi profili di destra presenti in Europa. “Xenofobia,
razzismo, ideologia “law and order”
- scrive Caldiron - sono le risposte che la destra plurale del 2000
offre come elemento di identificazione ai perdenti, ma anche a una parte
di coloro che, difendendo piccoli e grandi privilegi, credono di uscire
vincitori dalle sfide della globalizzazione. Questa destra si nasconde e
si nutre nei processi di modernizzazione capitalistica, e nelle
contraddizioni che ne sono prodotte”.
Non
a caso l'autore cita Bihr e la sua "ipotesi" sul collegamento
tra crisi del movimento operaio e ricostituzione di un movimento di
estrema destra di massa, all'interno dei processi di rottura del modello
fordista, messa in discusssione degli stati nazionali e delle politiche di
welfare richiamandolo nelle osservazioni che "la risposta allo
sviluppo dell'estrema destra va di pari passo con la ricostruzione di un
movimento anticapitalista".
La
ricerca di Caldiron oltre che utile per l'enorme mole di informazioni che
mette a disposizione, sollecita anche politiche necessarie ed urgenti per
mettere in atto una iniziativa efficace, perche' - citando una riflessione
di Pier Paolo Pasolini – “…occorre essere fortissimi per affrontare
il fascismo come normalita', come codificazione, direi allegra, mondana,
socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una societa'”.
"Sul
Danubio"
…terza
puntata del diario di Predrag Matvejevic scritto durante una visita in
Jugoslavia
Sono
sempre piu' numerose le persone che si accostano agli studenti in
maglietta nera sulla quale e' impresso un pugno chiuso con la scritta
OTPOR, Resistenza. Vorrebbero abbattere il regime antidemocratico con i
mezzi democratici, ma la cosa non e' facile – qui non c’e' democrazia,
bisogna appena costruirla. In tale situazione sono forse inevitabili i
paradossi e i compromessi: “Basta con i compromessi, i loro e i nostri -
confessa la giovane scrittrice Biljana Srbljanović (di cui sono
conosciuti in Italia i diari, pubblicati dalla “Repubblica”).:-
“Anch’io per prima, io che vado a tutte le dimostrazioni, mi sono
adattata a terribili compromessi con me stessa. A me non interessa il
comizio che comincia con il vecchio inno nazionale serbo Dio di
giustizia, non mi piacciono i comizi durante i quali gli oratori si
rivolgono a noi con lo slogan ritmato Gloriose le vostre ferite”;
a questi comizi non c’e' posto per me. Eppure mi sono adattata al
colossale compromesso con me stessa - cioe' alla fine cedo, ci vado, e per
consolarmi dico va bene, non importa. Quando firmai l’adesione a Otpor,
mi chiesi: ma che vado a farci io, in quell’organizzazione insieme a uno
scrittore nazionalista qual e' Dobrica Ćosić? Questa e' un’ingiustizia ontologica. Che ci faccio in un’organizzazione che va a
chiedere consigli alla Chiesa ortodossa serba per la miliardesima volta
senza alcun risultato?”.
Simili sono le riflessioni
dello scrittore dissidente Filip David, uno dei fondatori a suo tempo del
“Circolo belgradese” poi distrutto dal regime, oggi alla testa del
“Forum degli scrittori”, un gruppo non nutrito di personalita' che
stanno sulla barricata opposta a quella dell’Associazione degli
scrittori serbi, ultranazionalista. Filip mi ha invitato a partecipare a
una loro riunione. Il regime non ha ancora permesso al “Forum” di
registrarsi come organizzazione, non dispone di mezzi finanziari, non ha
un proprio organo di stampa. Gli aderenti si propongono tuttavia di
pubblicare qualche libro. I nazionalisti li disprezzano, essi invece
sperano di calamitare nel “Forum” i giovani di “Otpor”.
“I buchi nell’intelletto”, spiega David durante
une riunione del Forum, “si trasformano in precipizi,
i piccoli errori in grandi abbagli; le malignita' in crimini; i
furti di poco conto in rapine di vaste dimensioni.” Cita le parole di
Thomas Mann: “Chi difende la letteratura pura appare miserabile ai
suoi stessi occhi, perche' la lotta politica e' talvolta piu' importante,
di maggior peso e piu' degna di rispetto di tutta la poesia”. Uno scrittore qual e' Filip David,
che ha in se' piu' generosita' che praticita', non abituato alla vera
lotta politica non ha la forza di opporsi
a coloro che diffondono la paura della “congiura mondiale”, dei
“nemici interni ed esterni”, dei “servi della NATO”, dei
“servizi di spionaggio stranieri”, delle “quinte colonne”, dei
“mercenari nascosti nelle nostre file”. Proprio per questo apprezzo
ancora di piu' il suo impegno. Dopo l’incontro col “Forum degli
scrittori” mi sento ancor piu' inquieto di quanto lo ero prima. Forse
era inevitabile.
Alla riunione tenuta al
“Centro per la decontaminazione culturale” sono intervenuti molti
vecchi amici. Dopo un intero decennio - e dieci anni come quelli da noi
duramente vissuti! - non riesco a riconoscere piu' alcuni di loro; e non
vorrei che se ne accorgessero. Con alcuni non riesco ad attaccare
discorso, con altri ricordiamo cosa c’era una volta - si',si', so
bene, in una tale occasione, che vuoi farci, tante di quelle, chi lo
poteva immaginare eccetera, eccetera.. Quando uno lascia il proprio
paese comincia a vivere un’altra vita , che cancella parte della vita
precedente. Quando ritorna nel luogo in cui si parla la sua lingua, pensa
ormai in una lingua diversa. E poi, anche quei luoghi sono cambiati, e
sono mutati i rapporti degli uni verso gli altri. Il tempo (il
“frattempo”, a cui ho dedicato tante pagine) ha tessuto un velo o una
cortina - l’uno e l’altra- soltanto qua e la' trasparenti, sicche' non
si riesce a riconoscere tutto cio' che si vede attraverso di essi. E quel
che si vede appare piu' o meno trasformato. Dal volto che vi sta di fronte
bisogna tornare al volto che e' rimasto nella memoria. Incontri una donna
che una volta hai amato e non riesci a capacitarti di aver fatto con lei
l’amore - non e' la stessa donna. E comunque rassomiglia tanto ad essa.
Dieci anni non sono cosi' pochi nella nostra caducita'.
Ho parlato, dunque, di “Cio'
che ci e' capitato”, e mi rendo conto di non aver scelto un titolo
adeguato, perche' il “cio', che” non e' ancora cessato. Il palco dal
quale parlo dista dal pubblico una decina di metri, una distanza che mi
aiuta fino a un certo punto a concentrarmi. Dilato il mio racconto su
“Riccardo III” nella guerra jugoslava, adeguandolo alle esigenze della
“decontaminazione culturale”. La sala accoglie la parte piu'
coraggiosa e piu' onesta dell’intellighenzia serba. Aggiungo che nella
situazione attuale, tuttavia, e' impossibile che si verifichi un Amleto,
nonostante tutto il marcio che esiste nello “Stato di Danimarca”:
avrebbe egli, oggi, il coraggio di ammettere di non considerare gli
Albanesi Kossovari gli unici “responsabili dell’intera tragedia”?
Sarebbe capace di vedere la vittima almeno in qualcuno di loro? A un certo
punto ho notato il volto serio e illuminato di un attore di nome Bekim
Fehmiu, albanese del Kosovo che da giovane fu uno dei piu' brillanti
Amleti sui palcoscenici jugoslavi. Per tutti questi anni e' rimasto a
Belgrado, insieme alla moglie, attrice serba. La guerra non li ha
separati. Sono stato felice nel vedere, alla fine della conferenza, Bekim
Fehmiu avvicinarsi e stringermi forte la mano. Egli crede in una congiura
mondiale contro la Jugoslavia, io non ci credo; ma questo, per se', non e'
molto importante. Egli e' rimasto qui, io me ne sono andato. Lo sguardo
che ci siamo scambiati e la stretta di mano hanno lasciato in me un senso
di vicinanza, di complicita'. E’ mai possibile?
Quasi tutto quello che in
questi anni ho scritto e pubblicato all’estero la maggior parte dei
presenti non ha potuto leggerlo. Mi e' sembrato quasi di presentare una
specie di relazione su quello che ho fatto in questo lungo periodo di
assenza – fra asilo ed esilio. Per l’occasione citero' appena
qualche brani che cercano di spiegare quello che e' avvenuto in
Jugoslavia.
La tragedia che ci e' capitata
e' cominciata, in verita', prima che ci rendessimo conto di che
si trattava. Molti di noi non credevano che potesse succedere una cosa del
genere: una guerra che al tempo stesso e' stata nazionale, statale,
religiosa, civile e non so ancora che cosa, in ogni caso fratricida. Non
era necessario che accadesse, almeno non in questo modo, quanto e' accaduto. Non credevamo che nel nostro passato ci fosse tanto male che
attendeva il momento opportuno per uscire allo scoperto, che nel profondo
covassero tante passioni, che accanto e intorno a noi si nascondessero
fantasmi che non abbiamo saputo seppellire...
Nel paese che si e' frantumato e diviso i discorsi stessi non sono unitari ed accentrati.
Sara'
necessario esaminare da diversi aspetti i presupposti incerti, i dubbi
rimasti insoluti.Sappiamo quanti sforzi sono stati profusi perche' fossero
riconosciute e si affermassero le culture nazionali su questo territorio e
fosse garantito a ciascun popolo il diritto alla propria cultura. Nel
rispetto di questo diritto, oggi vediamo con piu' chiarezza molte cose che
ieri avevamo trascurato: presso i popoli nei quali le tradizioni della
laicita' o secolarita' sono scarse e fragili, nazionalita' e religione
vengono spesso confuse l’una con l’altra, la nazione viene intesa in
senso religioso, l’ideologia (nazionale) in senso confessionale. Gli
strati inferiori della cultura nazionale, sotto diversi pretesti, si
trasformano in ideologia della nazione. Tale ideologia partorisce o
sostiene forme primitive di nazionalismo. Un tanto vale anche per la
coscienza nazionale che s’impone escludendo le altre forme di coscienza,
individuale e sociale. L’energia nazionale
assorbe le altre energie dell’individuo e della collettivita', le
sottomette e le uniforma. In questa situazione i pregiudizi prevalgono sul
giudizio. L’autocommiserazione rende impossibile la condivisione dei
sentimenti altrui. La nazionalita' diventa piu' importante dell’umanita'.
Il mito e la vittoria sul mito vengono posti sullo stesso livello.
Nei naufragi e nelle avarie
del passato molti hanno perso la fiducia e consumato le energie,
diventando indifferenti o cinici. I tentativi di riunire i nostri popoli
in un nuovo stato comune, imbarcandoli su una carcassa di nave senza
alberi e senza vele, in questo momento, purtroppo, rientrano nel novero
delle utopie.
In alcuni settori, che non
sono fra i piu' importanti, forse abbiamo acquistato piu' esperienza di
quanto ne avessimo bisogno. Noi stessi, a momenti, non sappiamo che
farcene dell’eccedenza:
e' difficile conquistare il
presente senza aver superato il passato;
abbiamo difeso il patrimonio
nazionale, dobbiamo essere disposti, in un determinato momento, a
difenderci da questo stesso patrimonio;
abbiamo cercato di
salvaguardare la memoria senza chiederci che cosa
c’e' in esse piu' valido o meno -
arriviamo cosi' al
punto di dover salvare noi stessi da quella memoria;
ci
vengono offerte le liberta', ma non sappiamo che farcene, oppure siamo
tentati di abusarne;
ci vengono imposte le
divisioni, e non c’e' piu' che cosa dividere - nei Balcani e dintorni
c’e' poco posto per le grandezze: per la Grande Serbia o la Grande
Albania, per la Croazia fino al fiume Drina, per la Bulgaria che inghiotti
la Macedonia, per il ripristino degli antichi regni e imperi, nostri o
stranieri.
E’ difficile trasformare le
eredita' sparse in proprieta'. I governanti delle grandi potenze del mondo
non permettono che vengano spostati gli altrui confini per evitare che
essi stessi siano costretti a modificare i propri. Europeizzare
i Balcani o balcanizzare l’Europa: questo slogan non ha il medesimo
significato nell’Europa occidentale e nei Balcani.
Sotto l’occhio vigile del
mondo, che ci sorveglia come se fossimo dei pupilli minorenni, cerchiamo
di convincere noi stessi di essere capaci di raggiungere alti livelli ed
elevati gradi di autonomia e sovranita'. Pare pero' che non li abbiamo
meritati, molti fra di noi non ne sono degni. A giudicare dall’insieme,
le pressioni dall’esterno continueranno ancora a lungo per costringerci
a instaurare fra di noi rapporti piu' civili ed a frenare le tensioni
interne. Per raggiungere tali traguardi lo Stato unitario non e' un
presupposto necessario. La permeabilita' dei confini e lo scambio dei beni
materiali e spirituali, gli incontri fra le persone e i contatti fra le
culture, il flusso delle idee e delle esperienze, il confronto fra i
creatori di opere e le opere stesse sono diventati criteri di civilta'.
Essi non sminuiscono per nulla le identita' nazionali e non minacciano
l’autonomia. Chi non e' in grado di riconoscerli e non vuole assumerli
come criteri propri e' destinato a vivere nuovamente il passato, la sua
parte peggiore. Un enorme lavoro attende gli intellettuali nell’area
balcanica e para-balcanica. Soprattutto perche' l’intellighenzia in
quest’area e' debole e decimata, e si porta sulle spalle il peso di
errori e fallimenti.La storia e' in grado di porci di fronte a circostanze
inattese. Non e' di troppo, in questa occasione, ricordare l’esempio
offertoci, dopo la piu' terribile guerra del ventesimo secolo, dagli
intellettuali progressisti tedeschi: ebbero il coraggio di mettere lo
specchio in faccia al proprio popolo, fargli vedere tutta la mostruosita'
del nazismo che quel popolo aveva seguito in massa, metterlo di fronte -
senza pieta' e concessioni. Non credo che una tale resa dei conti sia un
privilegio dei “grandi popoli”, ne' che essa si esprima in termini di
quantita'...
Radio
Clandestina
La
scenografia e' inesistente. Solo una sorta di stipite dal quale pendono
alcune lampade, che servono a dare maggiore luce alla figura che snoda il
suo racconto.
Ascanio
Celestini per il suo monologo "Radio clandestina" non ha bisogno
di effetti speciali, basta solo la sua voce per coinvolgere il pubblico su
una vicenda che sembra chiudersi in pochi giorni - l'attacco partigiano di
via Rasella ed il massacro nazista delle Fosse Ardeatine - ma che, in
realta', e' parte della storia romana ed italiana della prima meta' del
secolo.
Basato
sulla ricerca di Alessandro Portelli ("L'ordine e' gia stato
eseguito". ed. Donzelli, premio Viareggio 1999) la lezione di storia
di Celestini vede al centro le vicende di uomini e donne le cui esistenze
si intrecciano con le trasformazioni di Roma capitale, fino all'avvento
del fascismo, la guerra, l'occupazione tedesca dopo l'8 settembre, la
resistenza.
Con
la forza del racconto teatrale, rigorosamente basato sulla verita',
vengono smentiti luoghi comuni e interpretazioni distorte: Roma non era
"citta' aperta", ma una retrovia delle truppe naziste, regolata
dalle leggi di guerra, con le deportazioni di ebrei, i bombardamenti
alleati, una lotta partigiana aspra e tenace, decine di fucilazioni e
arresti ad opera delle SS e dei repubblichini. Il culmine dell'orrore verra'
raggiunto con il massacro delle Ardeatine, 335 persone uccise subito,
senza chiedere il famoso "scambio" con i partigiani autori
dell'azione sul quale la destra per troppi anni ha imbastito una campagna
di disinformazione.
Uno
spettacolo teatrale ed allo stesso tempo una lucida e appassionata lezione
di storia a difesa della memoria civile non solo di Roma ma di un intero
periodo storico.
Per
info: Macchine Teatrali 06/36003967 – 3234513
e-mail:
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