In questo numero |
Il ponte della Lombardia - luglio 2001 n. 62
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Lettera a Castagnetti, Francescato, Veltroni
Ripartiamo tenendo insieme antiglobalizzazione e opposizione al governo Bruno Casati
Una costituente per la sinistra Alessandro Pollio Salimbeni
Sul dopo elezioni in Italia e Lombardia Maria Grazia Meriggi
Un
bilancio della propaganda elettorale Gian Luigi Falabrino
I miracoli avvengono anche a Roma Carlo Gnetti
Chi ha vinto e chi ha perso a Napoli e nel Sud Eugenio Lucrezi
La relazione di Mario Agostinelli all'assemblea dei delegati/e della Cgil Lombardia - maggio 2001
Confindustria e le sue "proposte per lo sviluppo del Paese" Maurizio Zipponi
G8 e Genoa Global Forum Rossella Grossoni
"I nati dopo" Antonio Corbeletti
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Il ponte della Lombardia
periodico di commento critica progetto
Editore Comedit 2000
Presidente Paolo Pinardi
Direttore resp. Luigi Lusenti
Redazione L. Bellina, E. Cavicchini A. Celadin, A. Corbeletti G. Falabrino, L. Miani A. Ripamonti, F. Rancati
Direzione e Amministr. Via delle Leghe, 5 20127 Milano Tel. 02/28.22.415 Fax 02/28.22.423
Reg. Trib. MI n. 304 maggio 1992
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Ripartiamo tenendo insieme antiglobalizzazione e opposizione al governo
1
Il 13 maggio la ricchezza ha vinto le elezioni. Dal 13 maggio si porra'
mano alla Costituzione materiale. Il 13 maggio le destre unite conquistano
il Governo agevolate da una sinistra che sara' forse moderata, ma e' sicuramente la
piu' sbiadita e sciatta mai apparsa sulla scena politica
dal dopoguerra ad oggi. Una
sinistra diretta da un gruppo dirigente composto da “costruttori di
sconfitte” che si erano gia' arresi prima di scendere in campo.
Amarissimo rilevarlo. Cio'
malgrado il voto non punisce nemmeno troppo questa sinistra ed il centro
sinistra. Essi, in effetti, riconquistano le grandi citta', fa eccezione
Milano. Le destre inoltre, marcano qualche cedimento al Nord. La Lega,
infine, ridotta nel ruolo che fu del PSDI di Cariglia nei Governi del
tempo, paga un prezzo assai salato alla sua giravolta governista. Non
tutto e' perduto. Quella
del centro sinistra e dei DS e', percio', una sconfitta assai netta, ma
non e' il tracollo. E Rifondazione, che faceva corsa a parte, a sostegno
di un progetto di autonomia tuttora da scrivere e far percepire, salva la
pelle per l’ennesima volta, ma paga anch’essa un prezzo e torna ai
dati del 92. Rifondazione,
pero', puo' guardare alla prospettiva. Un risultato importante il suo, un
investimento per i lavoratori. Ripartiamo da qui. Per rifondare la
Rifondazione. Cercando
di evitare, sinistra moderata e sinistra d’alternativa, due errori e
indagando in due direzioni. 2
I due errori. Nel primo si e' gia' incappati, e ha lasciato un negativo
effetto alone. E bisogna rapidamente uscirne. Si tratta dell’errore
insito nella “ricerca dell’assassino”. Perché abbiamo perso? Per
una politica sbagliata? Oppure, perché mal diretti? Non
ci si domanda. Ecco il primo errore. Che, con altri, commette Nanni
Moretti che non fa una “cosa di sinistra”, gia' quando deforma il
riscontro numerico (ma se i 4/5 dell’elettorato di Rifondazione hanno
votato il candidato dell’Ulivo nel maggioritario della Camera, ottenendo
in cambio lo sberleffo delle liste civetta, e se anche Stefano Draghi
spiega come il voto di Rifondazione al Senato e' ininfluente sull’esito
per il centro sinistra, ma con chi se la prende Moretti?) e, peggio,
fornisce un (falso) alibi al popolo degli sconfitti. Altro,
appunto, dovrebbe essere il ragionamento serio: il centro sinistra perde
perché gli elettori bocciano la politica del suo Governo. Questa e' la
verita'. La
bocciano seccamente: sulla sanita', sulla scuola, sulle grandi opere, sul
lavoro, sulle pensioni, sulla guerra. Questa, ancora, e' la verita'. Controprova
logica: non fosse cosi', gli elettori avrebbero dovuto premiare il centro
sinistra e punire Rifondazione. E’ successo esattamente l’opposto.
L’assassino andrebbe ricercato altrove ma, per favore, giriamo pagina. 3
Secondo errore: l’attesa. Qualora non si produca la corretta analisi
politica del perché il centro sinistra ha perso, ebbene, si puo' fare
largo l’idea che si e' perso per difetto d’immagine e comunicazione
– “la linea e' giusta, l’abbiamo solo rappresentata male”- e,
quindi, puo' prendere corpo la tentazione di sedersi in riva al fiume e
fare, li' assisi, delle cose intrecciate. Fare, i DS, un congresso
gattopardesco (la prima cosa): un tocco di maquillage organizzativistico
in piu', un segretario in meno e avanti nella continuita'. Sarebbe la
prima cosa. La
seconda, intrecciata alla prima, sarebbe data dall’attesa dell’errore
altrui, secondo cui si tratterebbe di aspettare o una scivolata di
Berlusconi, o un colpo di testa di Bossi. Aspettare. Cio'
rappresenterebbe, nei due casi che poi si compongono, la dimostrazione che
la sconfitta non e' servita a nulla, e percio' Berlusconi puo' dormire
felice tra due guanciali, e non solo per i prossimi cinque anni. Bisogna
invece fare i conti con la realta'. Perché, pur in toni dialoganti, il
nuovo Presidente del Consiglio ha, infatti, spiegato cosa vorra' dire, per
la Casa della Liberta', ”cambiare l’Italia”. Vorra' dire, per “lor
signori” che la modernizzazione capitalistica sara' accompagnata dalla
sussidiarieta', dalla fedelta' atlantica, dalle privatizzazioni e, percio',
della distruzione “scientifica” della scuola e della sanita' pubblica,
dal “keynesismo di destra”, quello delle autostrade e dei ponti sullo
stretto. Il
DPEF esplicitera' i primi passi del Governo, ma gia' i neo ministri vanno
oltre: da Buttiglione (un vero e proprio talebano al Governo) a Sirchia,
il peggiore, una iattura spedita da Milano a Roma, con il suo carico di
cattiveria sociale e di livore nei confronti dei lavoratori. Non
c’e' da aspettarsi favori da costoro. C’e' solo da costruire
un’opposizione in cui il centro sinistra deve decidere la sua ragione
d’essere. Se, invece, il centro sinistra, come gia' dicono taluni suoi
ex ministri, rivendica la primogenitura in materia di grandi opere,
privatizzazioni e altro –“l’avevo gia' detto io”- siamo punto e a
capo e si conferma che le destre vincono perché il centro sinistra le ha
anticipate sul loro terreno disorientando i propri elettori e sceglie di
permanere nella continuita' dell’errore. Per favore giriamo anche questa
pagina. 4
Ora le due direzioni da indagare. Nella
prima, bisogna registrare che si chiude la parabola della Bolognina.
Quella parabola si schianta dopo 10 anni. Sul terreno restano le macerie
di quel che fu il Partito Comunista piu' forte dell’Europa Occidentale,
ridotto al piu' debole partito (socialdemocratico? liberaldemocratico?
democratico?) di tutto il continente. Franco Fortini avrebbe detto che
bisogna fare, comunque, “un buon uso delle macerie”. Forse non basta.
Pare invece che la discussione si avviti piu' sui contenitori –
l’Ulivo e le sue gambe- che non sui contenuti. E se i contenuti restano quelli del governo precedente che, ricordavamo, anticipavano ieri, solo smussandone gli spigoli vivi, quelli annunciati dal governo in carica oggi, e se quindi in campo figura il disegno dell’alternanza tra diversi personali politici che concorrono per gestire le stesse cose, ebbene, non solo non decolla la ricerca e non si qualifica l’opposizione, ma si mortifica la politica e questo centro sinistra restera' sciatto, sbiadito e, soprattutto restera', all’opposizione per decenni senza oltretutto fare opposizione. La
seconda direzione di indagine riguarda Rifondazione. Rifondazione salva la
pelle, si e' detto, e la salva ancora una volta, verrebbe da aggiungere. Rifondazione
e' l’unica forza politica al di fuori dei due poli che supera lo
sbarramento del 4% e cosi' respinge la morsa del maggioritario/voto utile. Ce la fa, il Partito con cento limiti c’e', ma se la crisi del centro sinistra e' quella descritta, Rifondazione ce la fa ma con grande affanno e non intercettando gli effetti di quella crisi dell’altra sinistra. Perché? La discussione e' tuttora dispiegata, ma le questioni poste da Rossanda e Magri, cosi' come la risposta di Fausto Bertinotti costituiscono elementi veri e seri. Attenzione pero', oggi Bertinotti e' il Partito e Fausto Bertinotti ha salvato il Partito. L’alternativa era affogare nel maggioritario. Il prezzo pagato e' costituito dal blocco del processo della rifondazione comunista. La rifondazione, in effetti, si e' bloccata con la prima crisi Prodi del 97. Da allora, il Partito ha dovuto combattere con le unghie e con i denti per salvaguardare la propria autonomia e salvare una prospettiva di trasformazione del paese, collocata all’opposto rispetto all’adattamento della modernizzazione. Abbiamo
salvato il cuore del patrimonio.Ora dobbiamo rimetterlo in gioco. Percio', dopo il voto, questa e' la prospettiva dispiegata, dopo che siamo sopravvissuti per davvero al terremoto, il Partito deve, per ricostruire la casa, aprirsi e verso la sinistra di alternativa – e' il secondo passaggio che si fa, il primo, quello della “Consulta”, non ha dato gli esiti sperati – e verso le sinistre moderate politiche e sociali. Siamo sopravissuti ma andiamo oltre la sopravvivenza. Ricostruiamo. Cogliendo primi segnali, increspature nella “morta gora” della situazione data: dalle iniziative di Genova, al contratto dei meccanici. Mettendo insieme la lotta operaia, la lotta contro la globalizzazione, e le prospettive di opposizione. Ma il Partito, aprendosi, deve ragionare di blocco sociale di riferimento, di progetto di trasformazione e dotarsi di una politica di massa per il Partito di massa che sara'.Il 5° congresso di Rifondazione dovra' essere questo ed avviare anche un forte ricambio dei suoi gruppi dirigenti. Passare
dalla resistenza, che ha selezionato un gruppo dirigente, al progetto, che
ne esige un altro. E Bertinotti puo' gestire il passaggio. 5
Si puo' rappresentare in un luogo la sintesi del ragionamento. Proviamo a
Milano, dove le destre vincono, anzi rivincono, anche se oggi perdono otto
punti rispetto al voto regionale di ieri. “Libera nos a malo” si
potrebbe anche dire, ma come e con chi e perché le destre rivincono. E
perché vincono a Milano e non a Torino, Napoli, Roma? Perché a Milano, e non altrove, si sommano quattro elementi. Tangentopoli il primo, che ha massacrato DC e PSI, ma anche il PCI. Forza Italia e' il secondo, perché Berlusconi a Milano inventa un partito di massa e incassa la ribellione popolare a tangentopoli che, in prima battuta, era stata incamerata dalla Lega. E Berlusconi fa di Milano (esattamente come Craxi) la piattaforma per dare l’assalto a Roma. Le
sinistre, il terzo elemento, che non hanno un progetto e abbandonano la
citta' ai barbari, la vicenda della ricerca del candidato Sindaco e' stata
eloquente. Il
cambio radicale della composizione sociale della citta', dove gli operai,
con il superamento della grande fabbrica industriale e dei valori
in essa insiti, la spopolano, e' il quarto elemento; se ne vanno gli
operai, ma con le fabbriche, si distruggono anche i luoghi della
solidarieta' insiti nel territorio (dalle cooperative alle scuole civiche)
e crolla la partecipazione che era il collante di quella citta'. C’e' chi ha fatto i conti e ci dice che i luoghi della partecipazione popolare nella prima meta' degli anni 70 (Consigli di fabbrica, di scuola, circoli ricreativi, librerie, oratori ecc) fossero ben 30.000 e rileva come oggi si siano ridotti a 1000.In questo rapporto, 1 a 30, sta la lettura della citta', la causa della sconfitta, e anche il piano di lavoro per ripartire. Ripartire
soprattutto dall’analisi del chi non vota a sinistra. E non votano a
sinistra né i pensionati, né i giovani precari. Pertanto, priorita',
bisogna attrezzare obiettivi mirati per una politica di riconquista. Bisogna
poi analizzare a fondo la nuova composizione del capitale in questa citta'
(70 le imprese ogni 1000 abitanti) e verificarla con la composizione del
lavoro (a Milano lavorano tutti individualmente; trent’anni fa
lavoravano tutti collettivamente). Leggere
insomma questa che, da citta' di produttori, si e' trasformata in citta'
di consumatori e operatori della distribuzione. Difficile ascoltarla.
Difficile interpretarla. Difficile
progettare la trasformazione ed essere, e apparire, come forza motrice
della trasformazione. Ogni
forza politica non lo puo' fare da sola. Quando pero' ci prova, trova una
grande attenzione, un’attesa. Forse a Milano manca solo la scintilla. Questo
e' il lavoro da fare guardando ai soggetti sparsi della sinistra in
attesa, assumendone la ricchezza e le disponibilita' senza nessuna pretesa
egemonica e costruire, dal sociale, un progetto politico. Vedo che oggi piu' di ieri ci sono le condizioni per fare di questa citta', dall’opposizione alle destre, una sperimentazione che possa servire anche per l’opposizione nazionale, ponendosi Milano e Roma, nella prospettiva del governo della citta' e del Paese. Sospinti dal conflitto: dalle lotte contro la globalizzazione alle lotte operaie.
Chi ha vinto e chi ha perso a Napoli e nel sud Nel
corso della sua unica sortita elettorale napoletana Umberto Bossi si e' comportato in modo prudente,
concedendosi poco alla piazza. Cosi' facevano, negli anni seguenti
l'unita' d'Italia, i piemontesi in visita; ma il sentirsi oltre le linee
nemiche non ha impedito al capo della Lega di esibirsi, mentre passeggiava
nel centro, cantando la celebre Maruzzella, chissa'
se mosso da un briciolo di meridiana emozione, da
dissepolti fremiti adolescenziali o da un furbesco, ma velleitario,
calcolo politico. Chi c'era
riferisce che la performance e' stata accolta da non poche
pernacchie, e da qualche commento salace. Mentre Bossi cantava, Renato
Carosone, autore della canzone, si
stava spegnendo a Roma. E’ morto il 20 di maggio, una domenica
perfettamente equidistante tra la tornata elettorale del 13 maggio e il giorno dei ballottaggi che avrebbe dato a Napoli il
primo sindaco donna della sua storia; e gia' la citta' lo ha spedito su,
nella schiera empirea dei suoi eroi popolari, accanto a Toto' e a Peppino,
a Eduardo e a Nino Taranto, tra Pulcinella e Massimo Troisi. Carosone
e' famoso per le sue macchiette, ma e' stato una persona serissima:
diplomato al conservatorio, si era dato al mestiere del cantante da
crociera ancora minorenne, per
sbarcare il lunario. Napoletano verace, ma sensibile allo spirito
dei tempi, nel dopoguerra aveva inventato, assieme ad artisti come Fellini
e Buscaglione ma del tutto indipendentemente, l’irresistibile figura
dell’ibrido italico-statunitense, fissato col rock&roll e drogato di
AM-lire. Nel 1960, a quarant’anni e all’apice del successo, aveva
deciso di ritirarsi dai palcoscenici della musica leggera per dedicarsi
alla pittura, e si era iscritto all’accademia di belle arti; ma non
sempre la fortuna arride agli audaci, e la nuova attivita', pare, non gli
aveva portato la stessa fortuna della prima. Al
contrario di Carosone, la campagna elettorale qui in Campania ha portato,
in qualche caso riportato alla ribalta diverse macchiette, convinte di
essere persone serissime. Al primo posto: Vito Alfredo, il mister
centomila voti di tangentopoli, il quale dopo
i pentimenti e i patteggiamenti e la restituzione di miliardi della
prima repubblica, archiviati i trascorsi gavianei, gli strabilianti
successi elettorali dei bei tempi andati e i purgatori penitenziali degli
ultimi sette anni, si e' arruolato nelle schiere forzitaliote dopo la
conquista di un meritato seggio nella penisola sorrentina; e una volta
riguadagnati i galloni di parlamentare ha ripreso, da buon patriota, a
tuonare contro i comunismi di ieri e di oggi, prendendosi pure lo sfizio
di irridere il governatore Bassolino che aveva avuto l’ingenuita' di
indignarsi per la sua candidatura. Alla volonta' popolare, rappresentata dai trentamila voti che
Vito si e' guadagnato, ci si inchina senza discussioni; non resta che
ringraziare Berlusconi per la riesumazione di un tale personaggio,
evidentemente incoraggiato dalle lusinghe azzurre a rimangiarsi le
promesse, sbandierate a destra e a manca dopo le antiche condanne, di mai
piu' calcare i palcoscenici della politica. Al
secondo posto, a pari merito, i professori Ortensio Zecchino e Gennaro
Ferrara, rispettivamente ex ministro popolare e candidato sindaco a
Napoli, campioni del piccolo, ma intraprenente esercito dei dantoniani
campani. I fermi intenti di equidistanza tra i due schieramenti maggiori,
ribaditi prima del voto da Democrazia Europea, si sono sciolti come neve
al sole dopo il tredici maggio, quando i maggiorenti del partito che
voleva creare il terzo polo si sono precipitati a correre in soccorso del
vincitore. Le motivazioni politiche? <Accanto al polo di centro-destra
posso sperare di costruire le condizioni per un partito vero e popolare;
dall’altra parte non c’e' neanche questa speranza. Si puo' ipotizzare
un’alleanza tra noi pigmei di Democrazia Europea e quel gigante che e' la Casa delle
liberta'> ha detto Zecchino prima dei ballottaggi,
parafrasando chissa' se I viaggi di Gulliver
o Va dove ti porta il cuore. Mentre Ferrara, da parte sua,
si e' limitato a dichiarare che il candidato sindaco del centro-destra si
era premurato di contattarlo, e invece la Iervolino no. Maleducata e
superba! Voi l’avreste forse appoggiata? A nulla sono valse,
all’interno del partito di D’Antoni, le contestazioni di Andreotti, né,
a livello locale, le proteste degli iscritti che si sono levate numerose
nell’assemblea di partito tenuta a Napoli in preparazione della seconda
tornata elettorale. La chimera di un assessorato ha spinto i dirigenti
dantoniani all’apparentamento col centro-destra senza neanche consultare
i suoi rappresentanti: DE sara' pure europea,
ma con la democrazia non pare abbia molta dimestichezza. Per certi
democristiani, d'altra parte, la politica e' stata sempre una partita di
poker da giocare con i denari degli elettori, e in fondo il torto
maggiore del tandem Zecchino-Ferrara e' stato quello di aver puntato tutto
nella mano sbagliata; ora i delusi si chiedono se poi l’avrebbero avuto
davvero l’ assessorato, qualora al ballottaggio avesse vinto
la destra. La batosta presa dai seguaci campani di D’Antoni –un
solo eletto, e per recupero, tra i novanta parlamentari della regione; un
solo eletto in consiglio comunale!- non si discosta
dal clamoroso flop puntualmente
ottenuto in tutta la penisola, ma qui sotto al Vesuvio fa forse piu'
male, se si considera il numero cospicuo di adesioni ottenute dal
movimento negli ultimi mesi. La
medaglia di bronzo in questa speciale classifica postelettorale non poteva
sfuggire ad Antonio Martusciello, uomo di fiducia del Capo in Campania,
prima in azienda e subito dopo in politica, ché tanto e' la stessa cosa.
Da mesi, enormi manifesti elettorali lo mostravano alla cittadinanza
intento a scrutare il sol dell’avvenire, diritto verso un punto lontano
ma precisamente indicato dal paternale ma perentorio dito indice
del padrone che lo abbracciava affettuoso, come per accompagnarlo
all' immancabile vittoria. A
bocce ferme ha ironizzato sui
manifesti perfino Marcello Veneziani, che ha sottolineato come per i
napoletani il carisma non sia
una merce facilmente trasferibile. Evidentemente e per fortuna, le
elezioni amministrative inducono gli
elettorati del centro, fluttuanti per tradizione, a ragionare sui fatti, a
dare meno credito ai sogni, E se, nonostante la massiccia affermazione
nazionale di Forza Italia, non ce l’ha fatta a Roma neanche Tajani,
primo dei berluscones, difficilmente Martusciello, soldato semplice
dal look impiegatizio e
dalle incerte doti fascinatorie, avrebbe potuto spuntarla in quel di Napoli. Probabilmente,
dopo il 13 maggio, ci aveva creduto: l’onda lunga del risultato alle
politiche si sarebbe fatta sentire, e l’aiuto entusiastico assicurato
dalla Fiamma Tricolore
avrebbe aiutato il sorpasso. Una
volta ingoiato il rospo della sconfitta, il candidato sindaco trombato ha
perso l’aplomb, tuonando che con il nascituro governo nazionale
la giunta regionale guidata da Bassolino
avrebbe perduto la delega commissariale per la gestione
dell’emergenza rifiuti; ma si e' beccato la pronta replica del sindaco
eletto Rosa Russo Iervolino, che ha ricordato come quella delega non fosse
di natura politica ma istituzionale, tant’e' vero che lei stessa
l’aveva attribuita, da ministro dell’interno, all’allora governatore
campano Antonio Rastrelli, targato Alleanza Nazionale. Napoli
esce dalle elezioni come la
sinistra sperava, con un sindaco onesto che l’intero cartello
elettorale, da Rifondazione ai dipietristi e ai repubblicani scissionisti,
ha adesso il dovere di sostenere fino in fondo. La repubblica partenopea e'
sopravvissuta alla restaurazione: solo Firenze e la Toscana, da sempre
feudi rossi, possono vantare, come Napoli, comune, provincia e regione di
uno medesimo colore che non sia l’azzurro. E’ il risultato di otto
anni di buon governo e di tenacia amministrativa che hanno messo in moto
gli investimenti, rivoluzionato i trasporti, varato il piano regolatore,
riavviato il porto, richiamato i turisti. Tuttavia la Campania esce
dall'appuntamento elettorale con le ossa rotte: rispetto al '96, Forza
Italia passa da 15 a 27 tra deputati e senatori, i DS da 25 a 15, mentre
Rifondazione vede dimezzata la sua rappresentanza. In piu', la regione ha
problemi enormi da risolvere: l’aumento della produzione industriale che
si e' registrato nel 2000 si deve principalmente al miglioramento degli
esiti produttivi delle piccole imprese, ma l’incremento occupazionale
da queste indotto non riesce ad incidere in maniera significativa
sul tasso di disoccupazione altissimo, che fa della nostra regione la
maglia nera della nazione. La situazione incoraggia le cordate
neoliberiste guidate dal capo della Confindustria, il napoletano
D’Amato, a chiedere a voce sempre piu' alta meno tasse per le imprese, e
mani libere per licenziare; e il nuovo esecutivo nazionale, naturalmente,
non vuole sentire altro. Sull’altra
sponda ci sono un sindacato ancora in trincea e una sinistra sconfitta
innanzitutto al sud, dove ha
dovuto subire perdite percentuali due volte piu' alte rispetto ai
risultati nazionali. Carmine Donzelli ha sottolineato come il cappotto
siciliano -61 seggi su 61
all'uninominale!- e le nette vittorie nelle regioni meridionali consentono
oggi alle rappresentanze sudiste del Polo di pesare, all'interno della
maggioranza che governera' il paese, assai piu' di quanto si potesse
prevedere, piu' che al nord, piu' che nella padania.
Staremo a vedere quali conseguenze avra' questo nuovo squilibrio;
ma le prime avvisaglie - ripristino di un ministero o di un
sottosegretariato per il mezzogiorno;
richiesta di differire l'allargamento a Est dell'Unione europea-
non sembrano promettere niente di buono.
Confindustria e le sue proposte "per lo sviluppo del paese" Parma,
16 marzo 2001: Confindustria presenta le sue "proposte per lo
sviluppo del paese" le cui parole chiave sono competitivita',
flessibilita', liberalizzazione, privatizzazione. Aprile
2001: nel corso della campagna per le elezioni politiche appare evidente
la saldatura tra il programma padronale ed il progetto politico di
netta impronta liberista della Casa delle Liberta'. 13
maggio 2001: l'esito del voto sancisce la vittora, sociale e culturale
oltre che numerica del centro-destra. E
le "Azioni per la competitivita'" di D'Amato dettano il
programma economico e sociale al nuovo governo. Oltre
all'indiscussa vittoria di quello schieramento che ha saputo andare oltre
il blocco sociale di cui rappresenta direttamente gli interessi, l'esito
elettorale ha indicato la sconfitta (clamorosa dopo cinque anni di
governo) del centro sinistra e in particolare dei Ds rendendo esplicito il
fallimento della scelta di tentare di moderare il liberismo anziché
mettere in campo un punto di vista diverso e alternativo. Questi
dati, sommati ad un risultato di Rifondazione Comunista che non le
consente di proseguire il suo cammino senza porsi il problema della
costruzione di una sinistra plurale che superi i suoi confini, ci dicono
che la sconfitta non solo e' netta ma senza seri cambiamenti di rotta ci
accompagnera' per una lunga fase . Tra
pochi mesi, meglio tardi che
mai, prendera' l'avvio il congresso della Cgil. E
mentre il Presidente di
Federmeccanica, registando i rapporti di forza a favore delle imprese,
dichiara testualmente "Il grande accordo del luglio '93 sembra
aver esaurito le sue potenzialita' dal momento che e' espressione di
un'altra epoca e di un'altra realta' economica. Lo scenario di politica
del lavoro del nuovo secolo presenta problemi e dimensioni che non sono piu'
riconducibili a quello schema di relazioni industriali", la
maggioranza della piu' grande organizzazione dei lavoratori si presenta al
Congresso con un documento che di quell'accordo si ostina, in perfetta
continuita' con il passato, a
tessere le lodi, rimuovendo un incontestabile dato: l'accordo del 23
luglio e' fallito non perché lo ha dichiarato Pininfarina, ma perche' sul
piano sociale non ha saputo
difendere né il salario, né la stabilita' del posto di lavoro (l'80% dei
nuovi assunti ha rapporti di lavoro precari). La consapevolezza di questa
realta' dovrebbe indurre un sindacato serio ad una riflessione e ad un
netto cambiamento di linea. Nel
frattempo e quotidianamente si allunga l'elenco dei morti sul lavoro, e il
Censis presenta il suo rapporto da cui emerge cio' che molti sostengono da
tempo, cioe' che i lavoratori a maggior rischio di infortunio sono quelli
che entrano in fabbrica e nei cantieri con contratti flessibili e pagano
il prezzo dell'incertezza, dell'inesperienza, della formazione
inesistente. In
questo quadro, solo apparentemente in subbuglio, sono due gli eventi che,
seppur in modo diverso, mettono in relazione la politica con bisogni e
sentimenti reali: il movimento che si e' dato appuntamento a Genova in
occasione del G8 e le mobilitazioni dei metalmeccanici per il rinnovo del
loro contratto. Mentre
sul G8, tra preoccupazioni legittime e costruiti allarmismi, si
concentrano i titoli d'apertura e gli articoli dei giornali non tanto per
informare sui contenuti del vertice e sulle ragioni della mobilitazione di
chi li contesta, quanto per stabilire dove e' piu' sicuro che i potenti si
riuniscano (su un aereo, su una nave, forse, meglio, su un'astronave), un
millione e mezzo di lavoratori metalmeccanici da mesi resiste
all'arroganza di Federmeccanica Sul
tavolo delle trattative, tra rinvii e sospensioni, un piattaforma unitaria
contenente la modesta richiesta di 135.000 lire lorde di aumento medio per
equiparare i salari all'inflazione reale ed a quella programmata, tenendo
conto dell'andamento di settore e la ferma determinazione a non mettere in
discussione il ruolo del contratto nazionale, si scontra con l'inflessibilita' di un disegno padronale che mira a sancire il primato
esclusivo dell'impresa ed a mettere all'angolo il sindacato. Il
18 maggio i lavoratori metalmeccanici avevano gia' affermato, con 4 ore di
sciopero e manifestazioni partecipate, vivaci e combattive, il loro No
alle proposte di Federmeccanica e la loro disponibilita' a proseguire la
lotta. Non
e' bastato. Dal
dibattito svolto nel Comitato
Centrale della Fiom, riunito per decidere come proseguire le
mobilitazioni, un dato e' emerso chiaramente: il netto rifiuto a
discostarsi dalle richieste contenute nella piattaforma, e quindi a
discutere le proposte della controparte,
non ha motivazioni puramente economiche ma sottolinea la volonta'
di salvaguardare il contratto nazionale come strumento di tutela
universale. Del
resto, lo stesso Presidente di Federmeccanica ha espresso chiaramente
che la posta in gioco consiste nel "rendere il lavoratore piu'
partecipe alle performances aziendali", una volta tolta di mezzo
quella fastidiosa "rigidita'" rappresentata dal contratto
nazionale, in modo che l'azienda possa, poi, distribuire "reddito
aggiunto solo e laddove questo si produca, superando cosi' la logica del
conflitto, che produce solo perdite per tutti". Eccolo
il sogno padronale: eliminare tutele e diritti che ancora impediscono il
libero dispiegarsi della sola logica del profitto; recidere il filo che
lega il lavoratore al suo sindacato, per poter "trattare" con i
singoli, non con un soggetto collettivo; annullare il conflitto;
annientare l'organizzazione dei lavoratori. La
Fiom ha da poco compiuto cento anni, e in questi giorni ha ripercorso il
proprio cammino. Dal 1901 ad oggi, tra faticose vittorie e cocenti
sconfitte, si snoda una storia di partecipazione e lotte per conquistare
condizioni di lavoro e di vita migliori. E'
questo che vogliono cancellare per imbavagliare, piegare, ridurre in
solitudine impotente uno dei due soggetti del mondo del lavoro. Un
cedimento del sindacato su questo terreno rappresenterebbe una sconfitta
anche simbolica. Per
evitare che Confindustria, dopo aver vinto le elezioni, vinca anche questa
partita, e' indispendabile che il sindacato si muova in stretto rapporto
con le lavoratrice ed i lavoratori. E'
questa una delle ragioni della richiesta che la Fiom ha avanzato a Fim e
Uilm di svolgere un referendum tra i lavoratori per decidere con loro il
mantenimento integrale della piattaforma unitaria piuttosto che la sua
modifica secondo i criteri indicati da Federmeccanica. E' l'unico modo per
superare le differenze di valutazione esistenti tra le tre federazioni e
per evitare cedimenti a pericolose tentazioni
di procedere ad accordi
separati. E' questa una delle ragioni che hanno portato la Fiom a
convocare i propri delegati (circa 6.000) il 27 giugno prossimo a Bologna
ed a dichiarare, per il 6 luglio, lo sciopero generale nazionale di otto
pre dei lavoratori metalmeccanici. Torno
all'inizio. In
un paese in cui il centro destra non solo ha vinto le elezioni e governa,
ma in cui e' riuscito ad convicere, anche chi dovrebbe esserne ben lontano
a parlare la propria lingua, non e' facile chiamare chi vive con un
milione e seicentomila lire al mese a battaglie sui valori e sui principi,
noi ci proviamo. Anche
per questo sarebbe bene che oltre a quella dei metalmeccanici e del loro
sindacato si levassero altre voci; anche per questo sarebbe bene che i
dirigenti della sinistra buttassero uno sguardo oltre le proprie arene, si
distraessero per un momento dai propri giochi, e dessero un segno.
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