MOVIMENTI, AUTONOMIAE RAPPORTO CON LA POLITICAL’incontro
organizzato attorno a questo tavolo, è una novità anche per noi
redattori del “il ponte della Lombardia”. Lo
abbiamo convocato perché sentiamo alcune esigenze: l’uscire dalla
generica richiesta di contributi che facciamo spesso a persone
rappresentative di associazioni e movimenti; sottolineare la sempre
maggiore importanza della società civile organizzata; far dialogare fra
loro queste persone; inserire anche i compagni che, con fatica, danno
forma al ponte in questo confronto. Introduco questo forum con una
brevissima osservazione e con una domanda che spero stimolino i nostri
ospiti. Sono
presenti: Luigi Lusenti, Lella Bellina, Luciano Guardigli della redazione
del Ponte, Iole Garuti dell'associazione "Libera", Edda Boletti
delle Girandole, Flavio Mongelli dell'Arci, Emilio Molinari di Attac. *
i testi degli interventi di Boletti, Mongelli e Molinari non sono stati
rivisti dagli autori. Luigi
Lusenti Dal
6 luglio 2001, giorno del primo sciopero della sola Fiom, una serie di
eventi (Genova, la marcia Perugia-Assisi, il Forum di Porto Alegre, il
Congresso della Cgil, il Palavobis) segnano una ripresa della
partecipazione e della militanza. Questa
partecipazione e questa militanza che si sono espresse nelle diverse
occasioni, sono sovrapponibili, sommabili, diverse, c’è un filo
conduttore che le lega? Edda
Boletti L’Associazione
delle Girandole, di cui faccio parte, è nata grazie al governo Berlusconi:
i falsi in bilancio, la sospensione delle scorte ai magistrati a rischio,
le rogatorie sono temi su cui abbiamo deciso di mobilitarci. Dopo
la legge sulle rogatorie abbiamo fondato l’associazione e organizzato
una prima manifestazione davanti al Palazzo di Giustizia. L’ambito
in cui ci muoviamo è quello della giustizia, tema sul quale già da
prima, a Milano, ci eravamo
mosse. Noi abbiamo rotto il ghiaccio, poi sono venuti i girotondi (con i
quali spesso ci confondono). Il
due febbraio eravamo in Piazza Navona, dove Moretti ha un po’ oscurato
il professore di Firenze Pancho e Lidia
Ravera che avevano già espresso molte delle cose che lui ha poi
platealmente detto. Se Fassino e Rutelli, dopo quello che avevano sentito,
invece di leggere i discorsi che si erano preparati, avessero mediato un
po’, il “caso Moretti”, probabilmente non sarebbe esploso. Tornando
indietro: nel mese di dicembre avevamo interpellato i partiti di sinistra
di Milano per coinvolgerli, senza ottenere alcuna risposta positiva; a
gennaio c’è stato il
Palavobis e allora tutti si sono accodati, tanto che sabato scorso
all’iniziativa organizzata dall’Ulivo a Sesto San Giovanni, non
c’era nessuno che non avesse pensato e promosso l’incontro del
Palavobis. In
realtà la maggior parte del lavoro lo abbiamo fatto noi, poi sono
arrivati Flores d'Arcais e gli altri. Adesso
è cambiato l’atteggiamento dei partiti nei nostri confronti: ci
cercano, ci parlano. Vogliamo
collegarci ai girotondi, a
Libera e ad altre associazioni, ma non vogliamo essere strumentalizzati e
non vogliamo capi. Flavio
Mongelli I
movimenti nati nell’ultimo periodo hanno per matrice comune non tanto i
contenuti quanto la speranza nella possibilità di un cambiamento. E’
stato sostanzialmente il movimento internazionale contro la
globalizzazione neoliberista a dare l’avvio, a segnare la svolta dalla
rassegnazione alla fiducia. Dopo
l’89, la fine dell’Unione Sovietica e la caduta del muro di Berlino,
si era spenta un po’ anche la speranza del cambiamento, non perché
stesse da quella parte, ma perché le idee neoliberiste acquistavano
ancora più forza e c’è stato come un tunnel in cui tutti sono entrati.
Il movimento internazionale contro il liberismo ha rappresentato una novità
ed ha restituito la fiducia nella possibilità di cambiare. Una
fiducia più laica rispetto a prima (infatti lo slogan di Porto Alegre è
“un altro mondo è possibile”, non “il sol dell’avvenire”). Dal
giudizio negativo sulle condizioni di vita nel mondo e su tante situazioni
insopportabili (la povertà, ogni tipo di attacco alla democrazia e così
via) nasce la reazione e un
nuovo scatto di cittadinanza attiva. Questo
mi pare il primo elemento che
collega situazioni diverse. Ce
ne è poi un secondo: i movimenti nascono quando si registra un gap tra la
sensibilità, le idee che cominciano a percorrere un numero sempre
maggiore di persone e la rappresentazione politica di queste idee. Ed i
partiti, il sistema di rappresentanza delle idee sul terreno politico, si
sono dimostrati arretrati rispetto a quello che stava succedendo nella
realtà. I
movimenti nascono perché c’è una critica su diversi aspetti del
funzionamento della società e una domanda di politica diversa, di
rappresentazione diversa, di lettura, di categorie di interpretazione
diverse della realtà. Iole
Garuti Per
rispondere alla domanda se questi movimenti sono collegabili sarebbe bene
vedere come sono nati e soprattutto di quali problematiche si occupano. A
me sembra che i grandi temi su cui le persone si sono attivate siano tre:
la giustizia (l’uguaglianza dei diritti e dei doveri), il lavoro
(l’art. 18), la pace (e dentro la pace i rapporti internazionali e la
globalizzazione). I
movimenti possono collegarsi, e quindi unirsi, se comprendono che pur nel
rispetto delle rispettive specificità c’è un filo rosso che li unisce,
cioè l’idea di un modello di vita basato sul bene collettivo e non
sull’arricchimento individuale. L’uguaglianza dei diritti è
importante tanto per la giustizia quanto per il lavoro e per chi vuole la
pace. Bisogna lavorare perché i diversi movimenti riescano a collaborare. Io
vorrei discutere un problema, già citato, che sta a monte, quello dei
rapporti fra i movimenti e i partiti, naturalmente i partiti vicini a
queste tematiche: perché i partiti della sinistra, soprattutto il più
rappresentativo della sinistra, i DS, sono stati così cauti, timidi,
incerti nel capire l’importanza dei movimenti? La mancata partecipazione
ufficiale alla manifestazione di Genova contro il G8 è stata
significativa. E questa astensione dalle manifestazioni non è capitata
soltanto di recente. Per quanto riguarda la giustizia ad esempio, mentre
nel ’92-‘93 i partiti della sinistra e la Camera del Lavoro erano in
piazza a favore di Mani Pulite, negli anni successivi non c’erano più e
io non ho ancora capito il perché. E’ più facile invece capire le
esitazioni rispetto a cortei per la pace: avendo detto sì alla guerra
‘per motivi umanitari’, fare contemporaneamente una manifestazione per
la pace veniva male. Per
quanto riguarda i problemi del mondo del lavoro poi è da chiarire il
rapporto con il sindacato: se si accusa Cofferati di essere un
conservatore si lascia infatti supporre che ci sia una divergenza
netta tra partiti della sinistra ‘innovatori’ e movimento
sindacale. Accennavo
prima a un modello di vita proprio della sinistra, che richiede una
strategia e un metodo politico diverso: diversità che dovrebbe essere
costante e sempre visibile, anche nell’azione politica quotidiana.
Mirare solo a ottenere qualche voto in più porta a una politica di
piccolo cabotaggio; bisogna invece proporre un’idea alta della politica,
perseguire obiettivi fondamentali per l’esistenza delle persone, fare
una politica di valori, se si vogliono ottenere o recuperare ampi
consensi. E qui i movimenti danno indicazioni chiare, hanno proposto temi
altissimi, questioni di principio, I
movimenti hanno funzioni diverse dai partiti e sono diversi i temi sui
quali si mobilitano, ma questi temi sono perfettamente compatibili, quindi
i movimenti si possono unire, anzi bisogna trovare il modo perché succeda
(anche se sinceramente non vedo facilmente Flores d'Arcais con Agnoletto…) Quanto
alla globalizzazione, è prevedibile che l’ideologia marxista prima o
poi tornerà in certi paesi, dove lo sfruttamento dei lavoratori è la
regola (anche in Italia, se continuiamo così). Credo che i partiti della
sinistra debbano tornare ad avere valori indiscutibilmente e apertamente
di sinistra: uguali diritti per tutti e un
miglioramento delle condizioni di vita che non veda alcuni favoriti
rispetto ad altri: se si va avanti, si va avanti tutti insieme. Flavio
Mongelli C’è
un altro elemento che accomuna i movimenti: il protagonismo dei giovani. I
giovani, che hanno categorie
di interpretazione della realtà meno inquinate dalle esperienze, sono
capaci di indignarsi naturalmente per le ingiustizie, la povertà nel
mondo. Una indignazione vera, come reazione disincantata rispetto ai
soprusi. La stessa che aveva portato noi ad essere cittadini attivi, la
stessa che noi stiamo recuperando oggi. Emilio
Molinari Sono
d’accordo con Mongelli sul fatto che la ripresa di un interesse
politico, di un protagonismo, nasce perché c’è stato un movimento che
ha affrontato i temi del pianeta ed ha detto a tutti: non va bene una
politica che si poggia su relazioni interpartitiche, interpersonali,
in una dimensione ristretta che non parla del mondo, e non parlando del
mondo non parla neppure del nostro paese. Si
possono discutere i modi, le forme, ma questa attenzione al pianeta è
stato un segnale per tutti della
necessità di cambiare. Vorrei
indicare alcuni elementi che distinguono i movimenti in atto nel nostro
paese, che potrebbero anche diventare dati su cui ragionare insieme. Il
cosiddetto “movimento no global” è l’unica forma della politica che
include il mondo. E’
drammatico, ma se pensiamo a uomini politici capaci di ragionare oltre i
confini. purtroppo, dobbiamo ritornare a Mitterand, a Khol, e in Italia,
ad Andreotti e a Craxi, dopo di loro la caduta è stata spaventosa. Allora,
ci sono un movimento che ragiona in una dimensione internazionale e un
altro che possiamo individuare nell’area Palavobis, girotondi, ecc.: i
primi si domandano se è possibile costruire un mondo diverso da questo, i
secondi se è possibile avere un governo meno indecente di questo. Non
sono solo temi, sono orizzonti diversi che rischiano di non trovare
convergenza, mentre, da una parte e dall’altra, bisogna compiere uno
sforzo al dialogo: i grandi temi di cosa succede nel mondo devono essere
posti, ma ignorare i temi posti
degli altri è un errore. Credo
che il movimento no global soffra di una forma maggioritaria di rifiuto
per la politica; tra l’altro, sembra paradossale, ma questo
atteggiamento è esasperato nella componente cattolica: la politica faccia
ciò che vuole, noi facciamo le cose concrete. Anche
chi vuole cambiare il mondo deve porsi il problema di una relazione con le
istituzioni e la politica, con chi governa. Sto
nel movimento no global e a loro lo dico tutti i giorni, vorrei dirlo
anche agli altri, al movimento operaio, così come al movimento sulla
giustizia. Ci sono problemi di giustizia o di diritti che oggi vanno
ampliati. Allora
dico a chi era al Palavobis che è una questione di giustizia,
sicuramente, pretendere che Berlusconi sia trattato come un altro
cittadino, ma è un problema di diritto e giustizia anche quello posto
dall’art.18; e dico al movimento operaio che è una questione di diritto
e di giustizia la questione dell’ acqua e della sua privatizzazione, che
viene posta solo dal movimento no global. In
Sicilia l’acqua oggi non c’è, ma dopo la finanziaria di Berlusconi,
l’acqua verrà privatizzata in tutto il paese e, nel giro di due anni,
diventerà proprietà di tre o quattro multinazionali. E’
un problema di diritto e di giustizia spaventoso, ma non ne parla nessuno.
Può
essere questo un terreno su cui i diversi movimenti si possono
confrontare? Non
c’è ideologismo, c’è una visione del mondo,
dei diritti e della giustizia che va rivista, riconsiderata, che
non può essere legata solo alle questioni del lavoro, solo alle questioni
di un governante che fa ciò che vuole. Terza
considerazione: Berlusconi Berlusconi
rappresenta una anomalia oppure il suo aspetto di anomalia personale fa
parte di un disegno che comincia ad essere globale? Gli
Stati Uniti hanno un presidente che oltre a subordinare le sue scelte ali
desideri dell’apparato industriale militare e dei petrolieri (altro che
conflitto di interessi) è un pericolo spaventoso per l’umanità; in
Europa, dopo le elezioni in Francia, Danimarca, Olanda, alcune tendenze
vengono avanti; nel nostro paese, i fatti di Napoli e Genova ci parlano di
una modifica dello stato di diritto nel rapporto tra il cittadino e lo
stato. C’è
una eguaglianza di diritti dei ricchi che non rispettano le regole della
giustizia ma c’è una eguaglianza dei poveri che vengono sempre più
esclusi da ogni forma di diritto. Ormai
siamo in un mondo un cui i paesi democratici e civili stanno mandando al
diavolo cento anni di storia del diritto, nei processi, con le leggi
anti-terrorismo, con i centri di detenzione. La
convenzione di Ginevra e tutte le convenzioni sui diritti umani sono state
stracciate. Berlusconi
si colloca in questa tendenza generale, di cui anche noi dobbiamo
discutere, sapendo che partiamo da bisogni e sensibilità diverse ma che
dobbiamo individuare tre o quattro temi che insieme dobbiamo approfondire. Lella
Bellina Mi
collego all’ultima parte del ragionamento di Molinari per fare
un’affermazione un po’ provocatoria: auguro lunga vita a Berlusconi
(fino alla fine della legislatura). Gli
auguro lunga vita perché è il soggetto che in Italia, per la sua
arroganza, per i sui modi, per la sua incapacità di porre le questioni in
modo meno violento, ha fatto scattare la reazione. Nella scorsa
legislatura a guida sono “passate” cose devastanti presentate in modo
"migliore", meno fastidioso: Berlusconi ci indigna perché
propone cose terribili e, in più, lo fa in modo fastidioso e plateale. Gli
auguro lunga vita perché la sua presenza mi dà la speranza che i
movimenti di opposizione oggi presenti riescano in un prossimo futuro a
trasformarsi in qualcosa di solido, che abbia una sponda politica. Gli
auguro lunga vita perché una caduta del suo
governo domani ed elezioni politiche dopo domani porterebbe
probabilmente ad una finta unità della sinistra “contro il pericolo di
destra” , che non solo non avrebbe in sé un’idea di società diversa,
ma potrebbe produrre l’effetto (movimento no global a parte perché,
vista la sua dimensione internazionale è meno direttamente collegabile al
colore della compagine governativa) di pacificare il movimento sociale. Se
a Genova le forze dell’ordine non avessero massacrato i manifestanti,
probabilmente il 21 luglio non saremmo stati trecentomila e se non
avessero insistito, sicuramente nei giorni successivi le piazze d’Italia
non si sarebbero riempite. Se
la questione dell’art. 18 non fosse stata posta in modo così violento,
probabilmente la
manifestazione del 23 marzo a Roma non ci sarebbe stata. Se
non ci fosse stata tanta arroganza sulle questioni della giustizia al
Palavobis, probabilmente, non sarebbe successo nulla (a proposito di
giustizia: considero l’esistenza del centro di via Corelli un cosa
incivile almeno tanto quanto quella per cui quarantamila persone sono
andate al Palavobis…) Insomma,
Berlusconi ci sta paradossalmente dando
una mano….. Ho
fatto questa lunga premessa per tornare al tema dell’autonomia dei
movimenti rispetto al sistema politico e, soprattutto, al Governo. Il
Governo D’Alema ha orgogliosamente partecipati alla guerra nel Kosovo,
agghiacciante tanto quanto la guerra in Afghanistan del governo Berlusconi.
Ma
alla marcia Perugia Assisi, nell’anno della guerra nella ex Jugoslavia
eravamo, forse, in diecimila. Alla Perugia Assisi del 14 ottobre dello
scorso anno hanno partecipato trecentomila
persone compreso D’Alema, compreso Fassino, compreso Rutelli, compresi i
Ds, compreso Sergio Cofferati. La
Cgil, che considerò la guerra in Kosovo una “contingente necessità",
nel febbraio di quest’anno ha concluso il suo congresso sostenendo che
bombardare l’Alghanistan è stato un errore. Guerra
orrenda era la prima, guerra orrenda è stata questa, orrende sono tutte
le guerre. Eppure
una differenza, evidentemente, c’era…. Sulle
questioni del lavoro il governo di centro sinistra ha aperto la strada ai
provvedimenti peggiori che adesso si stanno concretizzando: flessibilità,
contratti a termine, il manifesto D’Alema-Blair identico al manifesto
Berlusconi-Blair. Ma
allora perché, con il governo di centro sinistra, il sindacato non è sceso in piazza, il Palavobis non si è
riempito, non ci sono state manifestazioni di indignazione spontanea? Ecco
la mia domanda. Sono
davvero autonomi questi movimenti dalla politica e dalla coalizione che
governa il paese, o sono in qualche modo influenzabili, oppure sono
talmente spontanei da essere vittime di come le cose vengono presentate
piuttosto che coscienti della sostanza delle cose? Edda
Boletti Quando
c’era il governo di centro sinistra abbiamo tentato di mobilitarci, ma
la gente non partecipava. Per
me, ad esempio, era stato uno scandalo la bicamerale di D’Alema, così
come il 513 sulle questioni di mafia,
ma ricordo che alle iniziative
fatte davanti al Palazzo di Giustizia eravamo in pochissimi.Allora
veniva spenta qualsiasi cosa su muovesse nella società civile (penso che
per Iole Garuti sarà stato lo stesso con Libera). Lella
Bellina Quindi
quel che fa muovere la gente è la repulsione per Silvio Berlusconi? Luciano
Guardigli Non
solo per Silvio Berlusconi. Credo che più in generale sia emerso un
errore di strategia del capitalismo. Fino alla fine degli anni Ottanta i
blocchi tenevano fermo il mondo. Finita quella situazione c'è stato il
lento impugnare la situazione da parte del pensiero unico americano, ma
adesso il mondo intero ha fatto irruzione dentro la politica. Si è aperta
una fase di forte partecipazione, perché s'era chiusa la speranza, pur
gestita malissimo in URSS, di un'alternativa possibile. Per parlare del
mio mestiere, per esempio, erano anni che non uscivano libri che
parlassero in termini globali, che parlassero del mondo. Di recente il
dibattito si è ampliato. In Africa moriva più gente di oggi e pochi da
noi si interrogavano sulla soluzione possibile di quei problemi,
sembravano lontani. L'idea
di questo capitalismo è di un unico terzo di umanità che vive
decentemente in un mondo in sfacelo. Questa è la scelta per cui si
cercano complici nelle società cosiddette evolute. Neanche le materie
prime africane erano considerate più di qualche massacro di persone che
valgono ancora meno. L'Africa sembrava affondare. Ma è scattato un
rifiuto etico più che politico, soprattutto in Europa. Oggi si ha la
sensazione che la gente, in particolare i giovani, si rifiuti di pensare
che l'Africa sia ormai un esotico relitto dove andare ben vaccinati a
vedere com'era il mondo. Proprio
in questi giorni, per esempio, ci sono stati incontri politici tra
l'Europa e il Sud America, cosa che non era immaginabile prima, ma che dà
qualche speranza. Se l'Europa si deciderà a rappresentare un'alternativa
politica e culturale agli Stati uniti potrebbe riaprirsi uno spiraglio, ma
devono subentrare problemi economici di sviluppo per il nostro continente,
gli USA devono arrivare alla minaccia per fermarci. Il
nostro orizzonte oggi è l'Europa. Per noi è stata una iniezione di
torpore il governo di centro sinistra: sono andate deluse molte
aspettative, ma l¹obiettivo dell'Europa ha tenuto. Sul piano del lavoro,
quindi dei rapporti tra le persone, invece, non si è avuto il coraggio
(del resto ce ne vuole molto) per progettare un'alternativa di politica
sociale al pensiero unico statunitense. Basta leggere Bukowskji per capire
quale futuro spetta ai lavoratori subordinati nel modello americano. Su
questo piano, tuttora, né l'Europa, né, nel suo piccolo, l'Ulivo ci
rassicurano. Sarà
vero anche che i lavori pubblici che inaugura Berlusconi li ha fatti il
governo di centro sinistra, ma è anche vero che sulla repressione a
Napoli, per il G8,
vede responsabilità gravi del governo di allora, che sulla
giustizia i primi cedimenti sono stati lì, che D'Alema
avrebbe forse concesso ai radicali
l¹articolo 18. C'era
una sorta di stant by del movimento di fronte a tutto questo. L'irruzione
del mondo nella politica, i movimenti, in qualche modo ci ha aperto un
po'gli occhi. Il
vero problema è questa teoria
dei due terzi, perché poi non sai dove è il limite. La
mattina alle 6 Milano è piena di extracomunitari che vanno a fare le
pulizie negli uffici, questo esercito silenzioso è l'unico che rimarrà
fuori? Se
è l'unico che rimarrà fuori il centro destra continuerà ad avere voti. Ma
se cominci ad attaccare i diritti non solo dei metalmeccanici, ma dei
bancari, dei giornalisti, l'attacco allo stato sociale si rivela in tutta
la sua asprezza anche perché la caduta delle socialdemocrazie toglie
l'alibi a questo sistema. C'è
una offensiva culturale dell'Occidente, e Prodi e gli altri sono dentro
questa cultura. Flavio
Mongelli Credo
sia ingiusto pensare che il governo Berlusconi sia in qualche modo la
continuità del governo D’Alema. Ci sono differenze profonde. Anche
se la bicamerale ci ha indignato, l’intervento massiccio del governo
Berlusconi sulla giustizia è come un carro armato rispetto ad un colpo di
pistola: il falso in bilancio; la questione dei capitali all’estero; il
tentativo di condizionare la magistratura; l’obiettivo di ridurre il
potere nelle sole mani del governo, rispetto alla magistratura ma anche al
ruolo del parlamento. Dietro a
tutto questo c’è un disegno di modifica del patto costituzionale, delle
regole fondanti la nostra democrazia. Nel
governo precedente questo progetto non c'era, così come non c’era un
attacco così forte ai diritti dei lavoratori; in più, in un
encefalogramma piuttosto piatto e poco coraggioso, ci sono stati anche
elementi positivi come la riforma del welfare, Oggi
siamo in presenza di un disegno eversivo forte. La prima repubblica è
finita, la seconda non è ancora nata. Mentre alla base della prima
repubblica c'erano i valori
nati dalla resistenza antifascista, non c’è una convergenza di tutti
rispetto a quelli che dovrebbero essere i pilastri della seconda
repubblica. Berlusconi
sta costruendo la seconda repubblica non con un progetto istituzionale di
ampio respiro da discutere con le persone, ma un pezzo alla volta, sta
modificando l’assetto costituzionale del nostro paese. Per questo non si
possono fare paragoni tra quello che sta facendo questo governo e quel che
ha fatto il precedente. In
questo quadro, l’aspetto di rottura vera è stato l’emergere del
mondo. Nessuno
si aspettava trecentomila persone a Genova, così come i milioni di
persone nelle piazze nei giorni successivi (centomila a Milano,
cinquantamila a Genova, centomila a Roma, ecc.) C’è
stata una ribellione molto forte alle violenze di Genova ed è emersa una
nuova sensibilità, una nuova consapevolezza, percepita grazie alla
capacità di vedere il fallimento di una politica della quale il governo
di centro sinistra rappresentava la fine del percorso. Il fallimento dell'
ipotesi neoliberista si
evidenzia proprio adesso: l’economia americana che non tira,
l’Argentina, che doveva essere un modello, che crolla, i problemi che
restano irrisolti. Sono
d’accordo con Molinari: Berlusconi rappresenta una grande parte della
popolazione italiana che l’ha
votato perché si riconosce nel suo modello. E
allora, forse, un modo per leggere Berlusconi e l'esito delle elezioni in
l’Olanda in Francia è che l’Occidente è malato di localismo. Quando
sono stato a Porto Alegre, parlando con un contadino dei Sem terra mi sono
reso conto che lui vedeva se stesso, il sud del mondo, ma
contemporaneamente vedeva il Nord (gli tolgono l’acqua, non ha la terra
e chi interviene sulla sua vita quotidiana viene dal fuori,
dall’Occidente, è la multinazionale). Noi vediamo sono noi stessi:
culturalmente stiamo andando verso un sistema di apartheid e prevalgono i
sentimenti egoistici, la conservazione dei privilegi acquisiti. E
questa forma di egoismo ed egocentrismo ci impedisce di vedere le
conseguenze di quello che facciamo. Kyoto è un esempio: impestiamo tutto
il mondo, provochiamo disastri nel pianete ed i governi non fanno niente
per modificare la loro azione in modo radicale. C’è una difficoltà a
vedere la globalità del nostro agire perché ci interessa
solo ciò che ci dà e mantiene ricchezze e privilegi. Ma
i Berlusconi, i partiti che nascono nell’arco di tre mesi, non possono
essere etichettati soltanto come razzisti o fascisti perché sono molto
lontani da quel modello: esprimono la volontà di chiudersi e mantenere i
privilegi. Lo
vedete anche in società lontane da noi. Uno
dei pericoli di Israele e ciò che la porterà alla rovina è questo non
vedere l’altro o vederlo soltanto come nemico o potenziale nemico: è la
chiusura un se stessi che manda in crisi le società. Viceversa,
ciò che può permettere ai movimenti di crescere insieme e contaminarsi
è l'acquisizione da parte di tutti di una dimensione globale, non
localistica. Il localismo, che sta alla base del fenomeno della lega e
dell’atteggiamento nei confronti degli immigrati è il vero male: è
l’incapacità, il rifiuto di leggere una realtà che potrebbe mettere in
discussione le sicurezze che ci siamo costruiti; è l'atteggiamento che ci
porta ad affermare il nostro diritto a costo di negare quello degli altri. Porre
con forza la questione dell'uguaglianza dei
diritti è un modo per non essere localisti. I
temi su cui i movimenti possono dialogare sono da una parte
l’universalità dei diritti, dall’altro la possibilità di vedere
globalmente il mondo ed i problemi. Lella
Bellina Sono
d’accordo con l’esigenza di raccordare le idee, trovare un filo
conduttore che permetta ai movimenti di dialogare. Così
come convince il ragionamento sul fatto che
una visione globale può permettere ai movimenti di parlare a
interlocutori che storicamente non vengono da esperienze e forme di lotta
di movimento ed anche di durare nel tempo (perché abbiamo visto movimenti
nascere e spegnersi nell'arco di una stagione). Il
movimento no global, ad esempio, non è nato a Genova, non è nato a
Seattle, è frutto di un percorso, si è sviluppato, ha posto delle
questioni. Il
nodo però sul quale, volenti o dolenti, dovremo confrontarci, non fosse
altro che perchè la democrazia nel nostro paese prevede che prima o poi
si voti, è il rapporto con la politica che mi pare tutti quanti stiamo un
po’ eludendo. Le
rivendicazioni sacrosante dei movimenti sulla giustizia, sull’acqua,
sulla pace, prima o poi dovranno diventare domande che richiedono delle
risposte che a loro volta impongono delle scelte rispetto ai partiti della
sinistra e del centro sinistra. Schematizzo:
siamo in grado come società civile, come movimenti, di porre tre, quattro
questioni che riteniamo fondamentali ai partiti della sinistra e, se ci
saranno risposte che non ci convincono, siamo in grado di dire loro:
allora non ci stiamo? Per
me il rifiuto della guerra come strumento di soluzione dei conflitti o,
peggio ancora, come strumento di domino è questione fondamentale: su
questo sono intransigente. In
caso di elezioni non voterò un partito, una coalizione che ha appoggiato
la guerra. Così
come non voterò chi propone di rilevare le impronte digitali agli
immigrati. E
se non avrò alternative non mi turerò il naso: mi asterrò. Sui
gradi temi della pace, dei diritti, sulle questioni del lavoro e
dell'immigrazione, sono in grado questi movimenti in qualche modo di
"imporsi" ai partiti? Ho la sensazione di no. I
movimenti pongono questioni vere, rivendicazioni sacrosante, in alcuni
casi, come il movimento no global sono anche in grado di fare proposte non
rivoluzionarie ma alternative come la tobin tax. E poi? Vivo
con preoccupazione lo scollamento tra un movimento di opposizione sociale
che esiste, è variegato e forte, e un sistema politico che non è
recettivo né corrispondente. Questo ragionamento vale anche per il
sindacato. In
questi ultimi mesi la Cgil, intercettando il reale sentire di chi
rappresenta, si è accreditata come il soggetto che più limpidamente e
rigorosamente si oppone all'attacco ai diritti del lavoro di questo
governo e mai, come ora, si è attestata su una linea "di
sinistra". Peccato che il suo funzionamento interno non si sia
minimamente modificato e che la costruzione dei nuovi gruppi dirigenti
dopo il congresso avvenga secondo dinamiche asfittiche, autoreferenziali e
assolutamente impermeabili a ciò che di nuovo è intervenuto. C'è
un altro elemento, oltre a quelli già citati, che ha accomunato finora i
movimenti: l'assenza di leader onnicomprensivi, il loro non identificarsi
in una singola persona. Eppure
dopo il 23 marzo, è a Sergio Cofferati (e non, ad esempio, alla Cgil come
soggetto collettivo) che tutti guardano, attribuendogli virtù salvifiche. Non
credo all'uomo della provvidenza, comunque si chiami. Per
questo pongo un'altra questione. E' possibile che i movimenti in qualche
modo irrompano nella sfera della politica non solo con i propri contenuti
ma anche segnando la formazione dei gruppi dirigenti?
Emilio
Molinari La
domanda che hai posto all'inizio, cioè grado di autonomia e rapporto tra
movimenti e sfera politica è un po' provocatoria, ma anch'io me la sono
posta. Ad
esempio l'altra sera a Milano c'è si è tenuta una affollata assemblea
con Santoro al termine della quale è bastato che Santoro nominasse
Cofferati, per far scattare in piedi tutti i presenti. Ho
la netta sensazione che ci sia una sinistra ed anche una parte del
movimento no global, disperatamente alla ricerca dell'uomo della
provvidenza, dell'uomo che "ci fa vincere" secondo tutti i
meccanismi mass mediatici. Adesso hanno deciso che quell'uomo è Sergio
Cofferati. Il
problema non sono le sue personali qualità, né se alle elezioni del 2005
avremo Sergio Cofferati come leader politico. Il problema è, ancora una
volta, come arriveremo a quella scadenza, su quali contenuti, con quali
conti fatti col passato, attraverso quali passaggi democratici e quanto
conteranno, a quel punto, i
movimenti. Su
questo dobbiamo interrogarci tutti. Siamo
a tal punto alla ricerca dell'uomo giusto da subordinare a questo anche la
nostra autonomia nel muoverci, nel relazionarci? Vogliamo continuare ad
etichettare gli altri movimenti oppure cerchiamo il confronto, la ricerca
di contenuti comuni? Il
pensare che c'è un salvatore secondo i meccanismi mediatici è un errore,
così come è un errore continuare a pensare che la destra abbia vinto
perché ha condizionato con i suoi televisori il cervello della persone. Credo
che Berlusconi e la destra che ci governa, a differenza della sinistra,
abbiano un progetto e dei contenuti politici e una cultura fortemente
radicata in parte della popolazione del nostro paese e dell'Europa:
incidono su cose concrete, reali, su immaginari collettivi materialissimi
e hanno una strategia politica. Se
continuiamo a pensare che vince chi meglio si vende dal punto di vista
mediatico, rischiamo di essere gli unici alla ricerca del miglior
"venditore", perché non abbiamo più idee politiche,
radicamento sociale, contenuti. Sono
tra quelli che pensano che una relazione con la politica vada tenuta
sempre, ma vorrei si facesse uno sforzo per produrre contenuti, intrecci
di cultura, contaminazioni reciproche in grado di partorire fatti concreti
capaci di condizionare le scelte politiche. Sono
convinto che dovremmo avere anche la forza di formare i partiti perché
quello che sta accadendo in Europa è il segnale che si stanno dissolvendo
le forme politiche del novecento. In
Europa stanno sparendo le socialdemocrazie e i comunisti, mentre i verdi
non sono stati una alternativa. Non possiamo fare finta che questo non
succeda e continuare a riproporre tentativi che stanno dentro questa
logica. Dobbiamo ricostruire sul serio, a partire dai contenuti che stanno
dentro i vari movimenti, una nuova forma di ragionamento moderno valido
per gli anni duemila. I
movimenti, nel confronto e nel conflitto tra loro, servono a conquistare
cose concrete, materialissime ma anche a riscrivere la cultura, a
partorire espressioni politiche. Lamento
l'assenza di relazioni orizzontali frequenti tra no global, movimenti
sulla giustizia, Palavobis, movimento operaio. Bisogna andarle a ricercare
bypassando anche le direzioni politiche tradizionali. Anch'io
sono convinto che si debbano individuare quattro o cinque temi che diano
un segno di cambiamento, che marchino l'agenda politica e rappresentino
una alternativa alla destra. Ci
sono già cose concrete su cui confrontarsi: tobin tax, art.18, e poi una
questione delicata che bisogna però cominciare ad affrontare, la
questione della pace e della guerra. Non
parliamone in astratto: se bombardano l'Iraq, cosa facciamo? Facciamo in
modo che i movimenti ne parlino tra loro e condizionino il dibattito
politico. Altrimenti,
lo dico brutalmente, Cofferati e Prodi saranno in difficoltà a dire
"no" alle bombe che cadranno. Se
c'è un problema di autonomia dei movimenti dalla sfera della politica, c'è
una autonomia della sfera della politica dalle esigenze globali
dell'impero e degli organismi internazionali come il Wto? Non so fino a
che punto. La guerra è quindi uno spartiacque, incontriamoci, facciamone
un oggetto di discussione. L'altro
nodo delicato è quello delle privatizzazioni, che se si possono tollerare
in alcuni settori, in altri sono assolutamente da contrastare. Considero
terrificante, ad esempio che nel 2004 tutta l'acqua di questo paese,
assieme a tutta l'acqua del mondo, finirà nelle mani di multinazionali
come la Nestlè: è contenuto nella Finanziaria, votata da tutti, tranne
Rifondazione. E',
oppure no un problema di democrazia il fatto che di questioni come questa
nessuno parli, neppure sui giornali? La
finanziaria stabilisce inoltre che i grandi ospedali, gli istituti di
ricerca di carattere scientifico come il S.Matteo di Pavia vengano messi
sul mercato: si vende la ricerca scientifica. Così come la scuola: mentre
in America tornano a finanziare la scuola pubblica, noi insistiamo sulla
strada della privatizzazione del sapere. Su
queste cose sarebbe bene che i movimenti iniziassero a discutere: così si
misura anche l'autonomia di ciascuno rispetto ai fenomeni della
globalizzazione, si
contengono le spinta estremiste, ci
si può confrontare con i lavoratori. Un
altro nodo di fondo, sul quale si riaggrega nel mondo la forza della
destra, è quello dell'immigrazione. Certo, non è il più semplice da
trattare, probabilmente, però, aggredire la destra su altre cose che
contaminano trasversalmente può produrre dei risultati anche su terreni
spinosi. Ripeto,
la questione dell'acqua, della scuola, anche della guerra (dove non è così
netta la separazione tra sinistra e destra) sono temi su cui si può
rompere un fronte, contaminare, e questo può permetterci di reggere anche
su terreni dove più è difficile incidere. Iole
Garuti Torno
alla prima domanda, che mi pare interessante: perché i movimenti sono
nati dopo la fine del governo di centro sinistra mentre prima non è
successo quasi nulla? Anzitutto
bisogna ricordare che era la prima volta che il centro sinistra andava al
governo, e quindi si era creata una grandissima aspettativa; poi che era
un governo debole, con una maggioranza risicata, per cui sono scattate
giustificazioni tipo "fanno quello che possono" e abbiamo
mandato giù rospi incredibili. Personalmente,
come molti altri, mi sono trovata in contrasto con la linea del governo di
centro sinistra soprattutto sulle questioni della giustizia, ma anche
sulla partecipazione alla guerra nei Balcani, e sulla parità fra scuola
pubblica e scuola privata. A volte però ci sorgeva un dubbio: non sarà
che essendo al governo non si può fare diversamente? Lo
stato d’animo più diffuso tra i militanti era più o meno questo:
sarebbe bello dire e fare cose di sinistra (cioè realizzare le idee di
sempre) ma adesso siamo al governo e dobbiamo risolvere il problema del
deficit di bilancio, curare i rapporti internazionali, ottenere se non
l’appoggio almeno la neutralità della Chiesa, ecc. All’inizio c’era
in tutti una grande speranza e c’è stato un lungo periodo di attesa,
poi D’Alema ha fatto la bicamerale ed è successo quello cui accennava
Lella: quelli che erano in disaccordo se ne sono andati, le unità di base
si sono svuotate, alle elezioni si è prodotto un fortissimo
astensionismo. E
tuttavia il "quello non lo voto perché dice cose che non
condivido", se è una scelta comprensibile dal punto di vista della
coerenza personale, dal punto di vista politico è una scelta pericolosa,
anzi decisamente negativa, perché regala un vantaggio all’avversario.
Sta finalmente cominciando una discussione sugli effetti del maggioritario
e mi auguro che si arrivi presto a modificare il sistema elettorale, perché
quello di adesso è una sciagura. L’elettore infatti non può scegliere
il candidato della lista, deve votare quello che altri, i partiti, hanno
scelto per lui. E le scelte sono fatte sulla base dell’orientamento del
collegio alle elezioni precedenti, quindi se uno abita in un collegio
tendenzialmente di centro o di destra (non è difficile, a Milano) non avrà
mai la possibilità di votare un candidato davvero di sinistra, perché
non glie lo presentano nemmeno, in quanto è ovvio che verrebbe bruciato.
Però si può pretendere che possa votare almeno per un candidato di
centro onesto e coerente. E qui gioca il modo di rapportarsi al centro,
gioca l’opinione che ci si è fatta di quel mitico centro che ci si
affanna ad inseguire, convinti che “le elezioni si vincono se si vince
al centro”. Si
è detto, e si continua a dire, che “siccome il centro è lassista e
corrotto allora bisogna accantonare la questione morale perché solo così
avremo i suoi voti”. Io dico che se uno è di centro, lassista o
corrotto, si sente più sicuro se vota Berlusconi. E credo anche che ci
siano molte persone del cosiddetto ‘centro’ che vorrebbero vivere in
un paese dove le leggi valgano allo stesso modo per tutti; per questo non
riesco a capire come un politico di sinistra
possa pensare di guadagnare voti al centro accantonando la
questione morale e l’antimafia e proponendo candidati trasformisti o
riciclati da esperienze non immacolate. Un
altro elemento che ha condizionato i militanti negli anni del governo di
centro sinistra è l'abitudine alla delega e il rispetto della gerarchia,
che dentro i partiti è fortissimo. Gli iscritti sono abituati ad andare
alle manifestazioni se il partito o il sindacato le organizza, non gli
viene in mente di poterle organizzare autonomamente (ed è anche giusto,
altrimenti a che cosa serve far parte di un partito?). In questo c’è
una notevole differenza fra chi è iscritto a un partito e chi fa politica
o meglio prepolitica nella società civile, nel mondo
dell’associazionismo. Dopo
che è andato al governo il centro destra molte cose sono cambiate, il
primo segnale è venuto proprio dal mondo dell’associazionismo,
soprattutto dai giovani, che si sono attivati contro il G8 per
l’indignazione che la sofferenza di milioni di poveri del mondo aveva
suscitato in loro. Si è prodotta una sorta di apertura delle dighe: le
manifestazioni di piazza sono state organizzate in modo autonomo da molte
associazioni, e gli iscritti ai partiti di sinistra hanno partecipato a
titolo personale perché, eccetto Rifondazione, i dirigenti non erano
d'accordo. E’ da qui che si è prodotta una divisione dei Ds in correnti
(in realtà non sono considerate correnti, ma sono comunque un modo
diverso di rapportarsi alla realtà presente e di prospettare il futuro):
oggi esiste una sinistra Ds che ha preso forza proprio dopo l’esperienza
di Genova e che si rifà in modo più chiaro ai valori della sinistra. I
movimenti possono quindi influire anche sulle strategie e sulla dialettica
interna dei partiti. Nei
movimenti si possono riscontrare differenze non solo rispetto ai temi, ma
rispetto alla quantità e tipologia delle persone che sono capaci di
coinvolgere. Il
movimento no global, che si è mobilitato prima degli altri (se partiamo
dal 13 maggio 2001), parla di pace, di problemi internazionali, e ha
portato alle proprie manifestazioni centinaia di migliaia di giovani
sensibili alla sofferenza dei poveri del mondo, con una grande
partecipazione di cattolici; il movimento sindacale ne ha portate in
piazza milioni, prevalentemente di sinistra; il movimento per i temi della
giustizia, che di solito coinvolgeva solo centinaia o poche migliaia di
persone, ne ha riunito al Palavobis quarantamila, con grande
partecipazione di moderati. Al
Palavobis forse c'erano anche degli operai, ma la grande maggioranza erano
intellettuali, insegnanti, studenti, persone che considerano il problema
giustizia, cioè l’uguaglianza dei diritti e doveri di tutti,
indispensabile per la collettività; i lavoratori si muovono invece prima
di tutto contro la disoccupazione, per il diritto al lavoro, quindi per un
problema che è al tempo stesso personale e collettivo. I no global per
problemi non individuali ma addirittura planetari, che a livello nazionale
trovano riscontro nel problema dell’immigrazione. In
Italia, e non solo, domina oggi il sentimento della paura. Si potrebbe
avere paura, ad esempio, della mafia, invece no, si ha paura
dell'immigrato. Anzi, la paura delle organizzazioni mafiose si
personalizza contro il povero immigrato che vende le sigarette di
contrabbando, e dei mandanti nessuno si preoccupa. Fanno più paura le
mafie straniere, quella albanese in primo luogo, che le mafie di origine
italiana. I mass media dal canto loro aiutano a identificare il criminale
nella figura di ogni immigrato, col risultato di favorire una politica di
repressione poliziesca che certamente non dispiace al governo di
centrodestra. Abbiamo
un bel dire ai ragazzini nelle scuole che l'immigrazione è ricchezza, che
conoscere le altre culture è importante, che per il nostro paese è un
fatto positivo, quando i genitori la pensano in modo diverso, dal momento
che subiscono la suggestione di frasi tipo “gli immigrati portano via il
lavoro”, “gli immigrati sono ladri e spacciatori”. Non è vero, ma a
furia di sentirlo dire, magari con l’aiuto di un po’ di statistiche,
ci si crede. E dopo l’11 settembre la paura è diventata terrore. A
proposito dei mass media: Enzo Biagi diceva durante un dibattito qui a
Milano che non crede che gli italiani abbiano votato Berlusconi perché ha
il monopolio delle Tv; la libertà di informarsi c’è, se si vuole, il
problema è quali informazioni si scelgono. Berlusconi è abile nel
comunicare, certamente, ma ha anche una strategia abile, che mette al
primo posto l’impatto delle notizie sui cittadini, sugli elettori. E’
difficile che chi segue distrattamente la politica si renda conto degli
effetti di alcuni provvedimenti, se non vengono sottolineati dalla Tv. E
lui lo sa. Invece di cercare di cambiare la Costituzione con una
commissione parlamentare, suscitando enormi discussioni a tutti i livelli
e in tutto il paese, come ha fatto D'Alema, lui svuota la Costituzione
dall’interno, senza (quasi) che nessuno se ne accorga, sfruttando gli
spiragli che esistono nella Costituzione. Sulla composizione del Csm, ad
esempio, nella Costituzione c'è scritto tutto, tranne il numero dei
componenti: basta modificare i numeri e si modifica la struttura del CSM,
senza bisogno di cambiare la Costituzione. Proprio quello che Berlusconi
ha fatto. Naturalmente va detto che Berlusconi non ha neppure bisogno di
scendere a patti con l’opposizione, come aveva fatto D’Alema, perché
ha una maggioranza enorme. Perciò questo governo e questo Parlamento sono
davvero molto pericolosi. Pensare,
come diceva prima Lella, "Mi auguro che Berlusconi rimanga", può
avere effetti drammatici. E’ la vecchia politica del ‘tanto peggio,
tanto meglio’ , ma io il meglio non lo vedo. E’ vero che se questa
maggioranza resterà per tutta la durata della legislatura - è difficile
prevedere il contrario - ci
sarà un consolidamento dell'opposizione: i partiti stanno già cambiando,
anche grazie alla sferzata di Moretti, e prima o poi daranno certamente
vita a una opposizione irrobustita, organizzata e strutturata; ma
altrettanto certamente, alla fine, ci troveremo con un paese a pezzi. E’
vero anche che le leggi si possono cambiare, per cui una volta finito
questo governo ci si potrà mettere d’impegno e rifare tutto da capo, ma
non sarà semplice. Dal punto di vista economico, ad esempio, rischiamo di ritrovarci col paese in condizioni tali che il prossimo governo di centro sinistra
dovrà ricominciare con la politica dei sacrifici. Non
si deve dimenticare che il governo di
centro sinistra si è trovato con un'Italia sull'orlo del baratro
(questa è una attenuante per quello che non è stato fatto o per quello
che è stato fatto male) e ha
dovuto imporre al paese dei sacrifici per risanarla. Quando le cose hanno
iniziato a funzionare è arrivato Berlusconi con i suoi miraggi, dopo
Berlusconi ci sarà un nuovo periodo grigio per la popolazione, che temo
non capirà. Il rischio è forte. Edda
Boletti Siccome
continuo a sentir parlare di Moretti volevo precisare che la
manifestazione a Piazza Navona è stata fortemente voluta da Nando Dalla
Chiesa. All’inizio ha cercato dei parlamentari, ma non volevano
assolutamente che facesse il comitato "La legge è uguale per
tutti", hanno litigato, poi ha trovato i trenta disponibili.
Quarant'otto ore prima della manifestazione Fassino e Rutelli hanno detto:
allora falla con L'Ulivo. Ma piazza Navona è stata organizzata con un
giro di email da Dalla Chiesa. Luigi
Lusenti Mi
interessa molto discutere di autonomia. Abbiamo parlato di autonomia della
società civile, dei movimenti, poi le riflessioni fatte si sono sempre
collocate all'interno di una area politica che è quella della sinistra. Ma
Iole Garuti parlando delle forme della militanza e di come queste forme si
sono espresse negli ultimi dieci anni, ha ricordato le tante trasversalità
apparse, le contaminazioni con culture
diverse. C’è oggi una società civile che ha
una sua militanza e un suo modo di essere spesso alternativi a uno
e all’altro degli schieramenti politici. Il nuovo di cui diceva Emilio
Molinari può trovare legittimità in queste caratteristiche,
nuove non solo nei contenuti ma anche nei di modi di essere. C’è
un’autonomia della società civile
rispetto sia i governi di destra sia i
governi di sinistra ma c'è anche una autonomia diversa: quella di
un soggetto che si pone nello schieramento politico e sociale del paese
con una sua forza e una sua identità. Tanto
è vero che l'associazionismo rappresenta una fetta sociale che è
trasversale, sinistra, ma anche cattolici e, su alcuni punti come la
giustizia, la difesa dei valori costituzionali, c’è un’area moderata
che però si mobilità. La
domanda allora è questa: che autonomia esiste nella società civile,
totale da qualsiasi schieramento oppure di incalzo a uno schieramento di
sinistra? La
novità di una società civile protagonista ma non allineata è pensabile
all’interno di un sistema maggioritario, di un sistema dell’alternanza
e non dell’alternativa? Flavio
Mongelli
E'
un argomento complicato. Intanto
bisogna partire dal fatto che i movimenti sono uno degli elementi fondanti
e il sale delle democrazia e nascono quando c’è uno scarto tra paese
legale e paese reale (il sistema di rappresentazione delle idee e delle
volontà delle persone). Fingiamo
sempre che i movimenti siano solo di sinistra: sono anche di destra, lo
abbiamo visto anche tragicamente nella storia del nostro paese e
dell'Europa. Rispetto
al discorso dell'autonomia credo si debbano rispettare i differenti
mestieri. Il
movimento deve fare il movimento; il partito politico, all'alleanza, un
insieme di partiti si devono occupare di fare proposte di governo. C'è
il tentativo in po' troppo forte in questo momento di caricare il
movimento di compiti, ruoli, mestieri che non sono suoi: il movimento si
occupa della droga, e allora deve occuparsi anche della sanità in regione
Lombardia, delle occuparsi della scuola, ecc. ed esprimere la nuova
leadership che cambierà il mondo. Mentre
io voglio, a proposito del debito dei paesi poveri, che il governo Berlusconi, quello che c'è, lo azzeri. E il
movimento sulla giustizia vuole che la Costituzione, le leggi italiane
siano di un certo tipo e parla a tutti, non solo alla sinistra, è
intransigente nei suoi contenuti, si da degli obiettivi, fa delle
battaglie ma cercando di parlare a tutti, di allargare l'area di consenso
attorno ai suoi progetti; cerca di modificare la società perché questa
acquisisca i suoi obiettivi ed i suoi valori. Come
persona che sta dentro al movimento posso anche pormi il problema di far
si (come in parte è successo sui temi della giustizia) che cambi anche
l'atteggiamento politico del mio partito di riferimento o del sistema dei
partiti o dell'Ulivo, ma sono due cose differenti. C'è
un rapporto tra i due mestieri, quello del movimento e della
rappresentanza del partito politico, ma guai se uno diventi l'altro o se
la ricaduta è il fatto che abbiamo una nuova avanguardia. Genova
è nata durante il governo di centro sinistra, discutevamo con Amato in
difesa del diritto di manifestare. La manifestazione è avvenuta con il
centro destra al governo ma la sua preparazione, i temi, le discussioni
sono stati con il governo di centro sinistra. I
movimenti già in qualche modo hanno cambiato la politica. Aprile per la
sinistra è realtà più consistente di prima; i parlamentari che hanno
votato per la guerra fanno autocritica; lo stesso sindacato non è più
quello di prima. Si tratta di cambiamenti non ancora del tutto
metabolizzati, ma c'è una nuova sensibilità, una apertura di confronto
su questi temi. Ma
questo cambiamento deve vivere nel rapporto tra due autonomie. Può
darsi che dal movimento nascano leader o persone che poi si trasferiscono
nella sfera politica ma sarebbe pericoloso caricare sul movimento compiti
che non ha. I
movimenti nascono sui alcuni contenuti, sui valori, su sensibilità, poi
da cosa nasce cosa, le contaminazioni, anche le leadership, ma restano
mestieri diversi. Sicuramente
c'è il problema che dobbiamo porci singolarmente come persone e come
persone che sono dentro o responsabili dei movimenti, di cambiare la
politica perché abbiamo scoperto che chi ci rappresentava, chi aveva la
leadership della sinistra era arretrato rispetto alla capacità di leggere
la realtà. Se
vogliamo fare esempi concreti: a Porto Alegre c'era il sindacato dei
lavoratori uniti del Brasile, non c'era la Cgil; c'erano i partiti
riformisti di quei luoghi, non c'erano i partiti dell'Occidente. Quindi
c'è una incapacità di essere all'altezza e di assumersi la responsabilità
di creare una nuova leadership. Ma non dobbiamo caricare di questo il
movimento che può influenzare questo processo. E’ rischioso quello sta succedendo a Milano dove quello che non si legittima come Social Forum anche se si
chiama così, tende a proporsi più come partito politico che come pezzo
di movimento- Lo
abbiamo visto nel passato, nella storia del movimento studentesco: quando
il movimento sceglie la scorciatoia farsi partito, questo ha frenato,
inibito le spinte positive presenti nel movimento, le ha ridotte, perché
le ha ricondotte ad una sintesi è troppo ristretta rispetto all'area con
cui il movimento interloquiva. Almeno
tra di noi non cadiamo nel tranello che è del sistema informativo ma
anche del sistema di potere di negare il diritto al cittadino di
esprimersi, di autorganizzarsi, di fare delle proposte, di mettersi
insieme per portarle avanti. C’è
una spinta positiva? E il sistema comunicativo cosa fa? La negativizza. Dietro
a questa operazione c'è l'incapacità di concepire i movimenti come fatti
positivi, neppure i movimenti di destra vanno trattati in quel modo, si
tratta comunque di capire i problemi che pongono e di dare risposte sul
terreno politico. Berlusconi
non ha vinto certamente per il possesso delle televisioni. Ma i danni più
gravi, prendiamo ad esempio la guerra, li fa l'ideologia di guerra,
l'apparato di comunicazione che deve difendere la guerra. La guerra
finisce, lascia qualche casa distrutta, qualche morto, ma le idee che
passano attraverso l'offensiva ideologica per difendere la guerra sono
molto più negative della guerra in sé, perché si sedimentano nella
testa delle persone. Pensate,
ad esempio, al recente assedio alla Basilica della natività di Betlemme:
rispetto alle duecento persone che stavano all’interno della Basilica,
le persone in armi erano molto poche, alcuni erano poliziotti dell'autorità
nazionale palestinese, poliziotti di un piccolo territorio sancito dalla
comunità internazionale, erano persone in divisa, gli altri erano civili,
c'era il governatore di Betlemme lì dentro, come dire il presidente della
nostra provincia, la Colli locale: l'ho conosciuto, è una persona per
bene. Se in Europa dieci criminali avessero tenuto in ostaggio persone
civili non si sarebbe comunicato nello stesso modo. Ma la televisione fa
in modo che si sedimenti una percezione distorta della realtà: dei
terroristi stanno facendo quella cosa, ecco ciò che rimane. Quindi
c'è un uso della comunicazione che crea opinione pubblica. Questo
sistema di comunicazione è forte su due aspetti: nel difendere la guerra
chiamandola "umanitaria", "etica", e nel difendere i
nostri privilegi. Ed
è su queste due cose, allora, che dobbiamo cercare di rompere, di
trasformare il sistema di comunicazione, perché è quello che scava e
sedimenta di più nelle coscienze. La
questione dell'immigrazione è un esempio. La piccola criminalità viene
percepita come molto più pericolosa della grande criminalità. In
Italia, ad esempio, si usano
termini che sono propaganda bellica contro delle persone: in Francia chi
non ha i documenti in regola (perché è entrato clandestinamente, o perché
non ha più il permesso di lavoro) si chiama "sans papier"; da
noi è un "clandestino". C'è
una offensiva culturale dell'Occidente, e Prodi e gli altri sono dentro
questa cultura. Luciano
Guardigli Sono
d'accordo con Mongelli su molte analisi, sono molto più pessimista sul
discorso dell'autonomia del
movimento. Per questo aspetto il problema è
Cofferati. Non credo che non sia ancora quello di prima e però la
CGIL rappresenta almeno una metà, e la più vicina a noi, del movimento
in questo momento. Sulla
questione della comunicazione. Ho scoperto, tardi, che ci hanno raccontato
un mucchio di balle: non avevo mai pensato, nella mia vita, forse per
provincialismo, che esistesse ancora la schiavitù. Adesso scopro che
esiste sulle nostre strade. Vedo minacciato dagli atti polizieschi a
Napoli e a Genova persino quell'habeas corpus che credevo ormai radicato
nella coscienza dell'Occidente. Qui sono in discussione i principi
fondamentali e c'è stato uno slittamento semantico. Se dobbiamo fare una
guerra senza fine al terrorimo dovremo prima fare chiarezza sul
significato di terrorista, altrimenti torniamo alla 'santa alleanza' di
Matternich: un'alleanza dei conservatori della Terra contro tutti i
movimenti. La guerra che scoppierà in Iraq è assurda perché
tutti sanno che non verrà eliminato nessun tipo di problema. I problemi
nascono dallo stato delle cose, non dagli uomini, come s'illude il potere.
I leader del 68 li hanno inventati, una volta chiusa la stalla,
i mass media. Emilio
Molinari Torno
al problema dell'autonomia dei movimenti dalla politica. Ho la sensazione
che con tutti i suoi limiti chi ha (forse più per condizione oggettiva
che per vocazione) una forte autonomia è il movimento dei movimenti. Mentre
è' innegabile che il movimento operaio (che porta 3 milioni di persone in
piazza, ed ha una grande importanza per il paese) è percorso da un
progetto politico: Cofferati for president. Questo
potenziale, che non è
automaticamente ulivista, non è ds, è tanto pervaso da questo progetto
politico che ne limita evidentemente l'autonomia, che intercetta il
movimento dei girotondi, del Palavobis e addirittura una parte dello
stesso movimento no global che, dopo aver risposto agli assalti di
Rifondazione e dei Verdi è un po' meno preparato culturalmente a non
subire l'impatto e la pressione di un Cofferati che si presenta come
soluzione politica generale. Questo
ha molte ripercussioni su alcune grosse questioni. "Meno
male che è arrivato chi ci salverà": è una scorciatoia che rischia
di far perdere l'autonomia ai movimenti. Sono
d’accordo con Mongelli, i movimenti devono avere una loro dinamica
riferita ai contenuti che portano avanti, poi c'è la sfera della
politica, però, c'è una contaminazione costante, un rapporto. In
Inghilterra, ad esempio il processo di formazione dei partiti
è iniziato dai movimenti. Come
dicevo prima, il processo di dissolvimento delle forme della politica che
hanno caratterizzato il novecento attraversa principalmente la sinistra:
la destra è più avanti nel riposizionamento delle proprie rappresentanze
politiche. Le
socialdemocrazia che si squagliano come neve al sole in tutta l'Europa; i
comunisti che stando al governo o fuori dal governo non recuperano un voto
dalla crisi delle socialdemocrazia sono fenomeni inquietanti. La
seconda questione, insisto, è
l'autonomia dalle dinamiche della globalizzazione. Come
si presentano i partiti di destra, centro destra, sinistra, centro
sinistra sulla scena mondiale e che margini hanno di autonomia rispetto
alle dinamiche della globalizzazione che dettano le leggi degli stati e
delle amministrazioni? Le
istituzioni e i partiti subiscono i poteri sovranazionali che dettano le
leggi. C'è un impero che modifica le regole del gioco degli stati di
diritto, della democrazia. In
questa situazione quali sono i margini di autonomia possibili? Sono
convinto che ci sia una differenza tra centro sinistra e centro destra ma
nell'immaginario collettivo è tutto più confuso: Genova l'ha fatta
Berlusconi, ma Napoli l'ha fatta Bianco, avevano le stesse
caratteristiche; le privatizzazioni in Italia le ha fatte prima Bassanini,
oggi le fa Berlusconi. Vedi
un riprodursi delle stesse dimaniche. Così
però c’è il rischio di perdere di vista il fatto che su alcuni grandi
temi ci siano delle resistenze: ad esempio sull'art. 18. Trovo
però che Cofferati abbia il limite di gestire la difesa dell’art. 18
come un obiettivo locale, anziché con un respiro internazionale. Non
è un obiettivo locale: non si può parlare d’ Europa e poi non agire
per generalizzare i diritti a tutta la gente che in Europa lavora e vive. Questo
è uno dei diritti su cui si è fondata la dichiarazione universale dei
diritti umani del '48, difenderlo significa difendere la civiltà europea.
Allora
c'è bisogno di riqualificare una sinistra che abbia il coraggio e la
forza di rivendicare processi che stanno fuori dalla globalizzazione e
dalle pressioni internazionali. La
preoccupazione della destra comincia ad essere concreta.
Non si risponde stando dentro al tentativo di far quadrare il
cerchio delle compatibilità imposte a livello internazionale dalla
globalizzazione. Se
stai culturalmente dentro queste
compatibilità, dove stai tenendo e dove invece stai indebolendo le poche
resistenze che ci sono per renderti gradito all'establishment
internazionale? La
questione della guerra. Nel 1914 le socialdemocrazie di tutta Europa
votarono la guerra e poi pagarono. Adesso tutta l'Europa ha votato tutta
la guerra. A
questo punto si legittima chi dice: per quale motivo dobbiamo parlare
d'Europa, dovevamo unirci per essere più forti verso l'America, l'America
ci ha imposto due guerre, allora tanto vale che ognuno vada per la sua
strada. Dietro
al prevalere di una componente antieuropea in Francia, in Danimarca c’è
questo ragionamento: siamo subordinati all'America, tanto vale che ognuno
scopra il suo nazionalismo, i suoi interessi nazionali. Allo
stesso tempo le destre usano la propaganda americana contro gli arabi così
come agli Stati Uniti sta bene questa destra che spacca l'Europa. L'ultima
guerra ha molto dello scontro di civiltà. Ma se subisci la pressione
americana e partecipi alla guerra in Afghanistan contro il pericolo arabo,
fomenti le destre che il pericolo arabo lo scoprono paese per paese,
immigrato per immigrato. Questa
corrente di pensiero di destra si sta articolando: in Francia è
rappresentata da quel vecchio arnese di Le Pen, ma in Olanda e in
Danimarca ci sono ben altri personaggi. Il leader della destra olandese è
con questa faccia che si presentava: difendo il meglio della civiltà
europea, difendo gli omosessuali mentre gli arabi li massacrano, difendo
la libertà delle donne che gli arabi rifiutano. Ed
i danesi sono andati al voto in nome della difesa di un welfare che: “se
arrivano gli arabi va a rotoli”. Noi
dovemmo essere in grado di dire: la civiltà europea ha prodotto il
welfare ed ha prodotto i diritti per tutti, compreso il diritto d'asilo,
su quello ci qualifichiamo altrimenti non siamo la civiltà europea. Però
non siamo chiari nell'esprimere queste cose. Flavio
Mongelli Non
dobbiamo sottovalutare un dato fondamentale. Siamo tutti convinti che la
guerra in Afghanistan sia stata una guerra per la difesa degli interessi
strategici dell'occidente.Ma quando parliamo di interessi strategici
dell'Occidente non dobbiamo banalizzare e pensare che si tratti solo di
alcune compagnie che guadagnano di più, perché il gasdotto passa da lì
porta petrolio che serve al mantenimento delle nostre condizioni di vita.
C'è una saldatura, una identificazione tra l'opinione pubblica che
accetta il messaggio secondo cui è giusto fare la guerra perché ritrova
i suoi interessi e le idee della destra; per spezzare questo legame
dobbiamo costruire una prospettiva diversa rendendola chiara e farcendone
capire le convenienze. Oggi
la corruzione interna alle società dell'occidente comincia ad essere
forte, siamo di fronte ad una crisi di civiltà perché i nostri interessi
strategici mettono in discussione i diritti degli altri. Pensate
all'apartheid in Sudafrica ed a quanto era forte il suo rapporto con
l'Inghilterra, con la popolazione e con i partiti inglesi. Chi ha tentato
di impedire un certo tipo di evoluzione della Rodesia ed ha combattuto
contro l'indipendenza? La civile Inghilterra. Così come i francesi hanno
fatto con l'Algeria. Oggi
la stessa cosa rischia di crearsi con l'integrazione. E c'è una saldatura
tra opinione pubblica e poteri sovranazionali il cui cemento va studiato
perché si esprime attraverso un capovolgimento semantico fortissimo: come
altro definire la guerra
"umanitaria" se non come un imbarbarimento del linguaggio? Lella
Bellina Ha
ragione Mongelli: dobbiamo apprestarci a compiere un grande lavoro
culturale. Il voto in Francia è significativo del fatto che è passata in
Occidente la guerra tra poveri. Nelle periferie parigine, Le Pen ha
ottenuto consensi anche dagli immigrati di prima generazione che si sono
inseriti nel mondo del lavoro, che dopo anni di sacrifici, magari,
sono riusciti ad acquistare un alloggio e si schierano contro i
nuovi immigrati che in qualche modo mettono in discussione il misero
benessere conquistato. E'
passato qualcosa di pericoloso e sottile: è passata la conservazione del
nostro piccolo o grande benessere. Torno
sul discorso dell'autonomia, perché oltre al lavoro di lungo periodo ci
sono cose contingenti e scadenze che ci obbligano. Considero
un po' snobistico questo parlare solo del lavoro culturale, perchè
sottintende la che devono essere i partiti ad occuparsi di politica. Considero
la guerra sbagliata e contro la guerra mi batto, faccio le manifestazioni:
che la proponga Berlusconi, la mia mamma, Massimo D'Alema. E'
questo che intendo per autonomia. E,
insisto, questa autonomia ha scarseggiato con il centro-sinistra al
governo. Detto
questo, ci piaccia oppure no, e questo sistema si regge sui partiti. Dopo
le elezioni francesi, la banalissima osservazione fatta da più parti è
stata: uniti si vince, divisi si perde. Ottimo. Ma a me poco importa la
vittoria di una futura colazione che vada da Cossiga a Di Pietro, fino a
Bertinotti ed oltre, se da quella coalizione non mi giungerà un segnale
chiaro su questioni che considero fondamentali. L'autonomia
è un valore, ma è indispensabile che i movimenti entrino in un rapporto,
sia pure conflittuale, con la sfera politica. Luciano
Guardigli Ci
sono momenti storici in cui si verificano situazioni
illuminanti, intrinsecamente rivoluzionarie. I processi culturali
in quei rari casi non sono graduali,
ma istantanei. Ci sono stati momenti storici che hanno visto prese
di coscienza improvvise, non è l'evoluzionismo di Darwin. Dobbiamo capire
quali sono i problemi. Penso
che il problema dell'acqua potrebbe
essere illuminante per la gente, ma bisogna prima conquistare spazio
nell'informazione, fare controinformazione non basta. Fino a questa sera
neanche io, che credo di essere mediamente informato, immaginavo che si
potesse arrivare alla privatizzazione dell'acqua nel 2004. In
Inghilterra le privatizzazioni delle ferrovie hanno portato già al
disastro. Tutto questo denuncia la forza del sistema di interessi privati
che c'è attorno alla politica, che la rende impotente. È la rete del
sistema capitalistico, delle multinazionali e degli interessi privati,
degli azionisti e dei loro interessi quello che tiene insieme il mondo. Da
parte nostra manca un grande progetto credibile.
Da un progetto forte di alternativa nascono le risposte da dare
perché la gente prenda coscienza, altrimenti noi cerchiamo di migliorare
le condizioni della gente e poi la gente cambia idea perché ha,
finalmente, il suo orticello da proteggere dalla massa dei più poveri.
Temo sia contraddittorio, ma automatico. Le grandi parole d'ordine che si
possono trovare culturalmente filtrano subito: non ci vuole tanto a capire
il problema dell'acqua anche contro i mass media se la gente lo sperimenta
sulla propria pelle. Comincerei
a stringere sugli elementi che abbiamo indicato, muoversi assieme per
farli filtrare nel dibattito politico. Sulla pace, per esempio, avremo dei
problemi perché molti anche a sinistra pensano che l'Europa, prima o
dopo, deve esserci anche militarmente.
Sull'acqua, forse, ne avremo meno. Sulla questione dei diritti
credo che una battaglia si possa fare perché i movimenti si sono mossi
autonomamente. Se c'era un pessimismo della politica, oggi il movimento
l'ha in parte dissolta, spero. Tra
le cose che i libri ci hanno insegnato è che la lotta per migliorare la
democrazia, per non tornare indietro non finisce mai. Iole
Garuti Rispetto
all'autonomia credo che il ruolo dei movimenti debba essere quello di
incalzare i partiti, di suggerire tematiche e di controllarne l’azione,
mantenendo una divisione dei ruoli. Senza questa separazione è molto
probabile che a un leader del movimento che si mette in evidenza venga poi
offerto un seggio in parlamento e il movimento subisca allora una battuta
d'arresto: non so quanti partiti gradiscano avere a lato movimenti davvero
forti e indipendenti. I movimenti sono importanti anche perché possono
coinvolgere quelli che sono stanchi e delusi ma che vorrebbero comunque
fare qualcosa per la società senza entrare in un partito dove ci sono
regole e strategie da rispettare, decise altrove. E'
anche vero, e ce ne stiamo accorgendo, che i movimenti hanno già ottenuto
un successo: l'aver fatto capire ai partiti di sinistra (io posso parlare
solo di questi) che hanno fatto degli errori, che devono fare autocritica,
cambiare. Dalla manifestazione di piazza Navona in poi i partiti hanno
capito che se la gente grida, si arrabbia, evidentemente devono modificare
qualche cosa. E
stanno prendendo in esame l'ipotesi di cambiare: c’ è un tentativo di
apertura e di dialogo tra i partiti per arrivare ad una politica unitaria
di sinistra, che mi sembra importante. Ma
c’è soprattutto un enorme lavoro culturale da fare, nei movimenti, con
i movimenti, nella società civile. Emilio
Molinari Da
qualche mese si è ribaltato il rapporto tra movimenti e partiti. I
movimenti, dopo un primo grande slancio, oggi stanno un po' a guardare e
vengono avanti processi politici separati dalle dinamiche dei movimenti. Ho
la sensazione che si ritorni ai partiti che tentano di condizionare i
processi dei movimenti non ai movimenti che forzano, condizionano i
partiti, anche perché i movimenti non hanno saputo relazionarsi tra loro. Luigi
Lusenti Al di là della ampiezza dei movimenti c'è un ventre molle della società in cui non si riesce a far passare idee e comportamenti non omologati, non ortodossi. E’ il ventre molle che si propone protagonista ad ogni elezione. Sono anch’io convinto anch'io che qualcuno debba porre delle domande di programma ai partiti. Attenzione, però, se io pongo questi punti ma poi non ho la forza, la bravura, la capacità di far viaggiare le idee all'interno della gente, i partiti possono pure assumerli per una loro battaglia ma rimarranno minoritari nella società. Il mestiere delle organizzazioni della società civile è quello di far crescere il consenso attorno a questi punti fra le persone. Più crescerà il consenso e maggiore saranno le difficoltà dei partiti a non recepire richieste popolari. Oggi invece si annusa un’aria diversa, un’aria di “restaurazione” condivisa da moltissime persone. Lì vedo l’impegno maggiore di associazioni e volontariato. Se più gente sarà convinta dell’inutilità delle guerra, della necessità di una convivenza globale, di un rispetto reciproco, di valori non solo di consumo, di una difesa del territorio, por citare solo alcuni punti importanti, io credo che anche il quadro politico dovrà essere diverso. L’altra strada, rischia di diventare una testimonianza, di lasciarci, come quei personaggi di Fitzgerald “belli ma dannati”.
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