Noi di quel PCI che avrebbe guardato con naturale speranza ...
(ovvero qualche riflessione sui 5 anni della giunta Pisapia e sul vicino futuro)
Le aspettative ingenerate dalla Giunta Pisapia erano notevoli, complice la giornata vittoriosa all'insegna degli arcobaleni.
Queste
aspettative sono state sostanzialmente deluse ma ciò che oggi ancor più ci
preoccupa è la sensazione che quella stagione, al di là di scelte strategiche
discutibili e risultati contradditori, ed indipendentemente dalle primarie
incombenti, venga definitivamente archiviata anche in caso di vittoria del
centrosinistra.
Ma
andiamo con ordine.
Già
dal suo insediamento, la Giunta Pisapia , compromettendo la stessa affidabilità
del Sindaco, si è chiusa dentro di sé e dei propri livelli istituzionali
dialogando solo con alcuni settori della società e tralasciandone altri,
utilizzando la crisi come ridimensionamento delle possibilità e subordinando i
bisogni sociali alle presunte concretezze possibili; si è insomma trasformata
in
un “governismo riformista” datato,
accompagnato
da una retorica modernista fine a se stessa che non ha saputo parlare nemmeno al
precariato giovanile e intellettuale protagonista del 2010/11.
Una
involuzione che non ha sorpreso noi che abbiamo vissuto l'esperienza del Pci e
l'abbiamo conosciuta nella fase finale delle giunte di sinistra
(1985-1990) a predominio migliorista/craxiano. La deriva moderata di allora si
originava però dall'isolamento dall'esperienza iniziale (la Milano a egemonia
operaia) che aveva saputo produrre risultati importanti.
Come
non ricordare e confrontare:
-
Le battaglie del Garibaldi per la 167 e il diritto dei ceti deboli di abitare il
centro; oppure le centinaia di nuovi appartamenti
di edilizia sociale all'Isola voluti da Cuomo e Tortoreto all’inizio
degli anni ‘80, dopo la stagione dei quartieri IACP degli anni '60.
-
Il confronto col bando del dicembre 2013 con i 10 alloggi in edilizia
convenzionata nell'ambito di quella immensa colata rappresentata dal pii
Isola-Garibaldi
suona particolarmente vergognoso (stridente?) per
una amministrazione che non ha nemmeno tentato di evitare la provocazione.
-
La forte partecipazione diretta, veicolata dagli allora partiti popolari e
movimenti di massa a confronto con il
decentramento odierno, imbragato, burocratizzato e quindi inefficace rispetto ad
un associazionismo diffuso che viene volutamente ostacolato o strumentalizzato.
-
La visione di città/regione che influenzava l'intera Lombardia rispetto ad una
miopia da cerchia dei navigli e ceti sociali relativi, che non ha saputo
cogliere la grande opportunità della città metropolitana lasciata evaporare.
Poco
dopo il successo del 2011 sono prevalsi la paura e la moderazione, ovvero il
condizionamento della Milano dei soliti poteri, complici la crisi e le presunte
immodificabilità delle
scelte della giunta Moratti; analogamente si è percepita la distanza dalla
vivacità e radicalità delle officine programmatiche, immediatamente chiuse.
E’
evidente che le condizioni politiche, sociali e culturali delle esperienze
radicali degli anni ’75/’85, e parimenti di quelle del decennio successivo,
siano estremamente lontane da quelle attuali, e che la città sia stata segnata
e in parte stravolta dalla reazione ventennale delle destre.
Certo
il nuovo clima e le nuove energie in campo hanno avuto un effetto liberatorio
rispetto alla cappa ideologica berlusconiana e morattiana, e per questo ci
saremmo aspettati ben altra volontà e disponibilità nell’affrontare le vere
questioni strutturali.
La
risposta della Giunta Pisapia è sembrata invece carente di visione strategica e
subalterna ai grandi eventi, poco disposta a sporcarsi le mani con le nuove
forme di povertà, con l'emergenza casa,
con l'isolamento delle periferie (ne fa eccezione qualche sperimentazione
positiva quali le case popolari di Niguarda e i servizi di assistenza, che
confermano la fattibilità di certe iniziative), contribuendo al parziale
isolamento dei ceti deboli e precari, facile preda di antipolitica e populismo.
Da
tempo la discussione all'interno dell'esperienza arancione è inchiodata alla
“croce di Sala” conseguente all'accettazione acritica di Expo e ad una
rinuncia politicamente incomprensibile del sindaco uscente di ricandidarsi, che
paradossalmente
appare come resa definitiva alla logica renziana: a questo punto
assistiamo a primarie inquinate da logiche esterne alla storia del
centrosinistra milanese, che impongono scelte chiare e coraggiose con la
promozione di un soggetto alternativo.
Le
dinamiche del partito degli assessori ci ricordano lo stesso clima crepuscolare
all’interno dell’ultima giunta di sinistra dei primi anni ’90; non è un
caso che la principale elaborazione dentro l’Amministrazione Pisapia (quella
di un certo civismo da partito della città) sia partita dalle figure e dal
ruolo dei grandi sindaci di Milano per approdare miseramente ad una
riabilitazione degli ultimi amministratori condannati da mani pulite; così come
non lo è il ritorno dei soliti craxiani-miglioristi in fuga dal tramonto
berlusconiano
e quindi già accasati nel Pd; per non parlare dell'evidente sostegno di
Comunione e Liberazione, orfano degli impresentabili Formigoni e Lupi.
Il
refrain è solo “vincere” (e ci mancherebbe che qualcuno volesse restituire
alla destra la città) senza definire il sistema dei valori, la struttura degli
interessi sociali affermabili con tale vittoria, e infine il programma.
Certamente
la maggioranza che ha sostenuto Pisapia non è risultata immune alle
contraddizioni endogene dell’azionista principale: un PD a mutazione genetica
renziana, irriconoscibile rispetto all’esperienza iniziata nel 2011 e con
proprie aspirazioni "centriste" e “nazioniste” sempre più
evidenti.
Pisapia
e l’area a sinistra del Pd hanno segnato positivi risultati sul terreno
dell’onestà, dell’etica amministrativa e morale, dei diritti civili e della
solidarietà
ai migranti, di iniziative culturali che hanno proposto la città all'
attenzione europea a dimostrazione di un clima realmente cambiato. Anche per
questo stupisce la scelta scellerata di risolvere la questione Rom a Milano con
la chiusura dei 7 campi regolari comunali realizzati negli anni '80, lasciati
degradare in questi ultimi anni per poterli consegnare alla carità individuale
del privato/sociale.
Alcune
aree particolarmente critiche:
Debole
il ruolo svolto verso il Governo centrale sui trasferimenti economici
agli Enti locali e sul rafforzamento di un potere centrale a discapito di quello
locale.
La
dissoluzione dell’ordinamento democratico passa anche per l’abolizione del
suffragio universale; le “Città Metropolitane” si costituiscono infatti con
il voto indiretto, ovvero dei soli consiglieri comunali per il Consiglio
Metropolitano, mentre il Sindaco di Milano diventa “automaticamente” Sindaco
Metropolitano. Due
milioni di cittadine e cittadini e 134 Comuni dell’ ex Provincia di
Milano (escluso il Comune capoluogo) non possono esprimere la propria
rappresentanza, con conseguente sospensione della democrazia.
Crisi
economica, post EXPO, politiche amministrative sono temi fondamentali scippati
alla cittadinanza.
Perché
non si rivendica a gran voce che venga votata dal Parlamento una legge
semplicissima che restituisca la sovranità al popolo per le nuove città
metropolitane?
Debole
la politica urbanistica, edilizia e infrastrutturale. Si continua a costruire
quando rimane un vasto patrimonio invenduto ed inutilizzato (significativa la
Adriano-Marelli dove con una variante si sono addirittura aumentate le
volumetrie nonostante il già realizzato risulti vuoto per quasi la metà:
cinquecento appartamenti).
Questa
amministrazione non è invece riuscita a giocare il proprio peso specifico nelle
vicende che hanno devastato aree agricole e verdi di Città Metropolitana
(pensiamo a TEEM e Bre.Be.Mi) senza nemmeno iniziare la battaglia per i
prolungamenti delle Mm 2 e 3 nell’hinterland, né
per importanti metrotranvie quali quella a nord/est della città per
collegare le 4 linee Mm e la Milano–Limbiate.
Anche
sulle ultime aree che si stanno rendendo disponibili (postExpo, scali
ferroviari, caserme, Bovisa) le logiche sembrano rimanere quelle degli
edificatori, spacciate come riqualificazione del territorio.
Debole
si è rivelata la capacità di ascolto dei rumori e delle voci dissonanti
rispetto alle scelte dell' Amministrazione, espressioni di cittadini
autorganizzati nei quartieri le cui idee e suggerimenti ancora non riescono a
trovare udienza e considerazione in un percorso di partecipazione: parola spesso
esaltata senza però essere supportata da modalità e strumenti effettivi, salvo
episodi sporadici.
La
giusta attenzione alla modernità e alle nuove tecnologie con la promozione di
nuove forme del fare lavoro e impresa (sharingeconomy, crowdfunding sociale,
smart city, coworking, …) non ha saputo fare i conti con l’altra grande
Milano sprofondata
nel lavoro nero, nei voucher e nel Jobs act, favorita da
esternalizzazioni e sussidiarietà che hanno peggiorato le condizioni di vita di
giovani e lavoratori senza migliorare la qualità dei servizi.
Ecco
perché noi che ci richiamiamo:
ai
movimenti sociali
durante la prima repubblica, soprattutto a quell’incredibile comunità
che fu il Pci milanese e -dopo il suo scioglimento- alla breve ma intensa
attività culturale dell’Associazione Gramsci di Laura Conti e Mario Spinella;
a quell’originale e innovatore incubatore di nuova cultura politica che
fu la
Convenzione per l’alternativa di Edgardo Bonalumi, Carlo Cuomo, Ivan della Mea, Massimo Gorla ed Emmanuele Tortoreto; alle varie esperienze di movimenti sindacali e politici con al loro interno tante presenze e figure diverse come Riccardo Terzi e Armando Cossutta,
ci sentiamo impegnati a continuare la difficile battaglia a favore dell’unità di una sinistra rinnovata, a favore della discontinuità, di una radicalità capace di unire, facendo propria la sfida del governo dei processi senza per questo appiattirsi su una logica amministrativista fine a se stessa.
gennaio 2016