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dal 9 al 16 di Gennaio 2004 i risultati di una ricerca storica su alcuni edifici siti nella zona, accompagnati da un'ampia documentazione fotografica e cartografica Conoscere il vissuto del luogo in cui viviamo è il fondamento di un atteggiamento rispettoso e “amorevole”. La città di Milano, che oggi vediamo come una realtà metropolitana e industrializzata, è sorta su uno dei territori più fertili d'Europa, diligentemente utilizzato sin dall'epoca preromana.Fino all' inizio del XIX secolo l'economia del territorio milanese era basata esclusivamente sull'attività agricola; in questo contesto nasce e si sviluppa la tipologia dell cascina, come forma di architettura “spontanea” che deriva dal desiderio e dal tentativo di sfruttare al meglio le risorse locali e di interpretare profondamente i bisogni e le esigenze del territorio e dei suoi abitanti. Espressione tipica delle cultura contadina, rappresenta l’emblema delle capacità dell’uomo di modificare l’ambiente secondo le sue esigenze comportando un impatto minimo. I primi insediamenti rurali, le cosiddette Villae rusticae, risalgono al periodo di dominazione romana ed erano sostanzialmente grandi aziende agricole schiavistiche. Gli edifici abbracciavano una corte chiusa e porticata, creando un complesso quadrato non del tutto dissimile dalle forme rurali più attuali. Trascorsi alcuni secoli di regressione (dal V al X secolo) in ambito agricolo, dopo il X secolo furono principalmente i monaci Umiliati e Cistercensi a dare un nuovo input all'attività agricola a alla costituzione di una nuova tipologia di insediamento agricolo; nelle aree ricche di terreni irrigui ebbero larga diffusione le fondazioni abbaziali. Gli Enti ecclesiastici investirono anche in proprietà fondiarie e per poter utilizzare adeguatamente le risorse finirono con l'edificare efficienti aziende agricole. Se già nel XIII secolo gli insediamenti rurali apparivano come agglomerati di edifici ad uso abitativo e rustici, solo sul finire del XIV secolo fece la sua comparsa la tipologia della cascina lombarda nei suoi caratteri essenziali. La prima registrazione scritta nota del termine cascina risale al XII secolo ma deriva presumibilmente dalla lingua latina medievale. Si tratterebbe di un vocabolo originario dell’Italia settentrionale, nato come cassina e derivato dal volgare capsia, variazione del latino capsus, ossia recinto o steccato per contenere animali. Sembra comunque altrettanto plausibile una connessione con caseus, cacio, sempre legata all’attività di allevamento che si svolgeva nelle cascine, accanto o in alternativa a quella agricola. La tradizionale cascina lombarda non era una semplice casa colonica; era piuttosto un complesso edilizio strettamente ancorato ad esigenze produttive, era il cuore di un’azienda agricola e zootecnica autosufficiente e molto spesso in grado anche di offrire la propria produzione sul mercato. Spesso i complessi cascinali costituivano veri e propri borghi agricoli formati da una serie di costruzioni disposte attorno ad uno spazio scoperto centrale denominato aia. L’edificio principale, generalmente arricchito da un più elaborato apparato decorativo e dotato di portico e loggia, era destinato al proprietario o al massaro. Facevano parte del complesso anche le abitazioni delle famiglie dei contadini e degli allevatori, edifici frugali dalla forma stretta e allungata. I cosiddetti rustici completavano il panorama degli edifici costituenti il tipico complesso cascinale. Essi comprendevano le stalle, i pollai e le porcilaie, i fienili, i portici per tenere al riparo gli attrezzi, i magazzini per conservare i prodotti dei campi. Questa tipologia era riscontrabile soprattutto nella Bassa Milanese, laddove la pianura è sempre stata particolarmente irrigua e l’agricoltura molto evoluta. Gli insediamenti rurali nella zona a nord dei fontanili, la cosiddetta pianura asciutta, conducevano un’attività finalizzata principalmente all’autosostentamento ed erano generalmente strutture dall’aspetto più modesto; erano perlopiù formate da un corpo di fabbrica lineare, dotate di un portico a pian terreno e spesso di una loggia al piano superiore. Spesso queste case monofamiliari, edificate attiguamente, costituivano dei veri e propri borghi agricoli, diversamente gestiti rispetto alle cascine padronali a corte, poiché presso questi nuclei di abitazioni non esistevano gerarchie bensì rapporti paritari tra più gruppi familiari. In entrambi i casi il materiale di costruzione era il mattone pieno cotto in fornace, facilmente reperibile nella pianura lombarda. Questo, oltre ad avere un ottimo impatto estetico, presentava particolari caratteristiche di durabilità nonché una notevole resistenza fisico – meccanica. La scelta dei materiali locali non solo presentava vantaggi economici e logistici ma era anche una risposta naturale alla tipologia del sito e al clima. Legambiente, come associazione impegnata sul territorio nella salvaguardia del patrimonio ambientale e culturale, intende sottolineare il valore che ancora oggi ricopre l’edilizia rurale non solo nell’ambito della memoria storica e culturale ma anche in quello del recupero e riutilizzo dei suddetti fabbricati. Se infatti apparentemente il restauro in stile comporta spese di notevole entità esiste la possibilità di elaborare progetti mirati in grado di salvaguardare la struttura originaria della cascina sfruttandone i vantaggi e adeguandola alle esigenze più moderne. LA
CASCINA DI VIA SAN MAMETE Il
quartiere di Crescenzago, oggi parte integrante della città di Milano,
costituiva, prima del 1923, un borgo autonomo. Il primo insediamento
databile con certezza risale al 1140, anno in cui una comunità di
Canonici regolari Agostiniani edificò, presso l'attuale via Berra, il
complesso conventuale di Santa Maria Rossa, trasformato nel XV secolo e
presto decaduto. Tra il 1456 e il 1465,
grazie al contributo di Francesco Maria Sforza, si assistette ad
un’opera di riorganizzazione territoriale della città che culminò
nella costruzione del Naviglio della Martesana, reso navigabile a partire
dal 1471; esso influì in modo rilevante sulla morfologia del territorio e
sulla tipologia dei conseguenti insediamenti umani. La
parte situata a destra della Martesana, irrigata da rogge e fontanili, era
dominata dai campi e costellata da insediamenti rurali. Entrambe
le sponde del Naviglio erano caratterizzate da una vegetazione rigogliosa
che contribuì, nel XVIII secolo, a conferire al luogo un aspetto ameno e
un’atmosfera piacevole e rilassante, caratteristiche che gli fecero
meritare il nome di “Riviera”. Essa divenne meta delle gite fuori
porta dei milanesi, dei quali i più abbienti possedevano addirittura
lussuose residenze. Una
ricca vegetazione caratterizzava anche la parte più strettamente rurale
del borgo dove sorgeva il Bosco di Crescenzago, parte della vasta distesa
boschiva che si espandeva fino ai confini con Sesto San Giovanni. Esso si
sviluppava alle spalle di quella che oggi si chiama via S. Mamete e che
allora aveva la denominazione di via Lazzaretto. Tale strada derivava il
suo nome, come facilmente si può dedurre, dalla presenza di un ricovero
per appestati edificato in seguito ad una visita del Cardinale Carlo
Borromeo, nel 1576, quando
Milano fu colpita da una grave epidemia di peste.
Nel corso del secolo XVIII fu
trasformato in cascina e, a causa del suo stato di degrado e abbandono,
alla fine degli anni Ottanta fu abbattuto. Negli
stessi anni, affianco al ricovero degli appestati fu costruito l'oratorio
di San Mamete al Lazzaretto, un edificio di modeste dimensioni ma di
pregevole aspetto. Esso subì nel XVII secolo delle trasformazioni ma
conservò, all’interno della sagrestia, un affresco cinquecentesco
raffigurante la Deposizione fra i
SS. Rocco e Sebastiano con l’immagine di una finestra a trompe l’oeil
da cui si scorge l’immagine del Lazzaretto. Proprio
di fronte all’oratorio di San Mamete, al numero civico 75, si trova una
cascina che testimionia le origini rurali
di Crescenzago. La
documentazione cartografica ne attesta la presenza a partire dal XIX.
Sulle carte del Catasto Lombardo Veneto, nel punto in cui oggi vediamo la
cascina, è segnalata la presenza di una Casa
Colonica. L’edificio in esame non era peraltro l’unico casolare ad
uso rurale del luogo. Infatti, proprio di fronte ad esso e confinante con
la chiesetta è attualmente ubicata al numero civico 74, una struttura con
la medesima destinazione d’uso. Essa è già citata nelle carte del
Catasto Teresiano, con la doppia denominazione di Porzione
di casa da Massaro e Casa
d’affitto, appartenente al Livellario dell’Abbazia di Santa Maria
di Crescenzago, Don Giuseppe Cravenna. Nel Catasto Lombardo assume poi la
medesima definizione della cascina in questione, ossia Casa
colonica. L’edificio,
sito in via San Mamete 75, ha mantenuto la sua funzione di cascina per
gran parte del secolo scorso. Allora vi risiedeva la famiglia del padrone
ma, come spesso accadeva nei complessi edilizi rurali, anche le famiglie
dei lavoratori fittaboli la abitavano. Il
complesso, sviluppato attorno ad un'aia centrale, è composto da tre corpi
principali, realizzati in mattone, che ospitavano sia spazi abitativi sia
destinati ad uso lavorativo. Il
più vasto, quello situato sul lato destro era l'antica stalla con la
caratteristica facciata “a capanna”; sono ancora visibili tre aperture
per la ventilazione, un tempo coperte da graticole in mattoni e
attualmente tamponate, che sottolineavano la tripartizione dello spazio
interno. Si può notare il prolungamento del tetto a
coppi a copertura di un portico laterale che veniva denominato
barchessa. Gli
edifici attigui erano probabilmente adibiti a magazzini per attrezzi e
granai, mentre il lato
sinistro rappresentava la parte abitata. Fino
a pochi decenni fa si poteva osservare, attorno all’edificio, la
presenza di numerosi terreni, occupati da distese boschive e campi
coltivati ad erba, granaglie, frumento orzo, granturco etc. che fino agli
anni Sessanta erano irrigati con le acque provenienti dal Canale Villoresi. La
cascina era abitata da fittavoli che praticavano l'allevamento e
coltivavano i terreni circostanti. Negli
anni Ottanta si verificò una massiccia espansione edilizia che portò
alla cementificazione di buona parte dei terreni agricoli. Proprio in
quegli anni il territorio circostante perse i suoi ultimi caratteri
rurali. Considerati gli scarsi risultati della produzione anche i
lavoranti della cascina di via San Mamete interruppero le attività di
allevamento e agricoltura cosicchè l'edificio mantenne unicamente la sua
funzione abitativa. Negli
anni Novanta, in attesa della costruzione della nuova parrocchia, Gesù a
Nazaret, per gli abitanti del quartiere, considerate le ridotte dimensione
della chiesetta di San Mamete, i locali della cascina vennero utilizzati
per ospitare le attività della chiesa parrocchiale. Così la stalla venne
trasformata in uno spazio ospitale e accogliente dove si celebrava la
Santa Messa, il magazzino divenne un bar e gli altri spazi furono
sfruttati per le attività parrocchiali. Per
gli abitanti del quartiere la nuova chiesa assunse la particolare e
significativa denominazione di Cattedrale-Stalla. E' lecito pensare che
questo edificio si sia potuto fino ad oggi conservare
anche grazie a questa curiosa destinazione. Così, nel 1997 fu
portata a termine la costruzione della nuova sede della chiesa
parrocchiale Gesù a Nazaret, in via Trasimeno 53 e da allora la cascina
verte in condizioni di abbandono e degrado. La
cascina di via San Mamete è inserita nel particolare complesso ambientale
dominato dal Naviglio Martesana che, dal dicembre 1998, è assoggettato
alla tutela prevista dalla legge 29 giugno 1939 n° 1497 per i beni di
elevato pregio ambientale e paesaggistico. Sarebbe quindi auspicabile
riuscire a preservarla in quanto costituisce una testimonianza storica e
culturale di un mondo contadino tipico della pianura padana e una preziosa
traccia degli insediamenti rurali che si svilupparono lungo le fertili
rive del Naviglio Martesana. La
cascina secondo il quartiere Per
comprendere il ruolo sociale che questa cascina ricopre nel quartiere,
abbiamo distribuito un questionario agli allievi della scuola elementare
di via San Mamete e alle loro famiglie. Da
quanto è emerso, più della metà degli adulti
conosce la cascina ma una minima parte di essi ci si è recato. Da
quando l'edificio ha perso la sua funzione di cascina e in seguito di
chiesa, la sua frequentazione è sostanzialmente cessata. Alla nostra
domanda “per quale motivo ci sei stato” la risposta più frequente è
risultata “ero di passaggio”. Nonostante
questa apparente noncuranza, la maggior parte delle persone intervistate
conosce l'antica destinazione dell'edificio e si dichiara contento della
sua presenza nel quartiere.
Molti ritengono che si tratti di un'importante testimonianza del passato e
vorrebbero che la struttura venisse ristrutturata e riqualificata; alcuni
pensano anche ad un riutilizzo di tipo sociale destinato ad anziani e
bambini. Anche
i più piccoli mostrano una particolare sensibilità nei confronti della
cascina, che conoscono ma che per le attuali condizioni non frequentano.
Essi ne percepiscono già il valore storico e si domandano perchè sia
ridotta così; la identificano come un ambiente naturale poiché,
istintivamente, la associano
alla presenza di verde e di animali. Si ringraziano i
ragazzi delle classi V A e IV C della scuola elementare di via San Mamete
e le loro famiglie. LA
CASCINA DI PIAZZA GOVERNO PROVVISORIO L'attuale
quartiere di Turro fino al primo ventennio del Novecento costituiva un
comune autonomo. Non
vi è alcuna testimonianza scritta che ne attesti la storia precedente al XV secolo. Alcuni elementi, come lo
stesso nome, potrebbero far pensare ad origini piuttosto antiche.
L'insediamento potrebbe essersi sviluppato proprio attorno ad una
“turris” di fondazione
romana, ubicata lungo una strada di comunicazione, con la funzione di
ostello oppure di fortificazione difensiva. Una
località chiamata Tauris Turris, che pareva trovarsi al di fuori delle mura della città “ma poco lontano da
essa” viene menzionata
nell'opera del Giulini Storia di
Milano in riferimento ad alcune carte milanesi risalenti al 950. Grazie
ad alcuni atti dell'archivio parrocchiale della chiesa di Turro, datati
1489 si può sostanzialmente essere certi dell'esistenza di un
insediamento. Il
quartiere di Turro agli inizi del Novecento aveva un aspetto molto diverso rispetto a quello odierno; infatti
una buona parte dei terreni era occupata da prati e campi, coltivati dai
lavoranti delle cascine presenti sul territorio. Tra
queste uno dei pochi esempi rimasti è proprio l'edificio sito in piazza
Governo Provvisorio n. 9. Da
documenti catastali è stato possibile individuare l'edificio
corrispondente alla cascina, a partire dalla metà del Settecento (Catasto
Teresiano). L'edificio viene indicato come Casa
da massaro ed è ubicato in un nucleo in cui si individuano altri
edifici e terreni coltivati; si evidenzia inoltre la presenza di più
rogge, l' Acqualonga, la Viscontea e la Scragna. Nelle
carte del Catasto Lombardo-Veneto, che rappresentano l'assetto
territoriale ottocentesco, viene chiamata casa
da massaro con giardino. La
cascina di piazza Governo Provvisorio
è, dal 1963, di proprietà del Comune di Milano e dal 1999 è
stata assegnata al Consiglio di Zona 2. Prima
del 1963 faceva parte di un più ampio nucleo di edifici e terreni
coltivati, compresi nel comune di Turro, che l'Ospedale Maggiore di Milano
aveva acquisito da un sostanzioso lascito. Quest'ultimo secondo la
documentazione desunta dagli Archivi dello stesso Ospedale Maggiore
proveniva dai coniugi Giovanni Antonio Valtorta e Carolina Ubaldi. Il
complesso dei beni risulta acquisito da un Valtorta già dal 1819,
Vincenzo, il padre di Giovanni Antonio al quale passarono in eredità. Nel
1842 risulta essere inclusa in una possessione detta Velata, affittata ai
fratelli De Gasperi, di cui facevano parte anche terreni
in parte avvitati, in parte prativi. L'edificio
di piazza Governo Provvisorio, nell'ambito
dell'architettura rurale, ricalca un modello molto diffuso nella pianura
asciutta, quello della cascina a ballatoio. Si
presenta infatti come una struttura a corpo unico con un portico a piano
terra e un ballatoio ligneo al primo piano, affacciati su un ampio spazio
verde. Fino
agli anni Quaranta del secolo scorso la cascina, oltre a svolgere funzione
abitativa, aveva anche quella
di azienda agricola di medie dimensioni. Gli
spazi abitati erano quelli rivolti verso l'attuale piazza Governo
Provvisorio, un tempo denominata piazza Mazzini, mentre sul lato porticato
si aprivano la stalla e i depositi. Gli
affittuari della cascina praticavano sia l'allevamento che l'agricoltura. Le
stalle ospitavano, all'inizio del Novecento, quattordici mucche e due
cavalli. Il terreno antistante era coltivato con alberi da frutta e
ortaggi. La proprietà terriera si estendeva anche oltre la zona
circostante la cascina; infatti la medesima famiglia si occupava anche dei
terreni situati dove oggi sorge il Parco Lambro e che erano coltivati
principalmente a grano e foraggio, utile quest'ultimo per alimentare il
bestiame sopra citato. Nonostante
la cascina non fosse un'azienda agricola di vastissime dimensioni
produceva ortaggi, frutta e latte in buona quantità tanto da rifornire
giornalmente un lattaio e poter vendere il resto dei prodotti al Verziere;
i fruitori più assidui dei prodotti provenienti dai terreni della cascina
erano i degenti della clinica Villa Turro che veniva quotidianamente
rifornita. Alla
fine degli anni Trenta la cascina cominciò a perdere la sua funzione
produttiva mantenendo solo la funzione di dimora. Il
portico e le parti adiacenti alle stalle cominciarono ad essere utilizzate
come magazzini, laboratori o addirittura come parcheggi per le auto e gli
stessi prati furono in parte affittati perdendo in ogni caso la loro
funzione di orti. Da
alcuni anni la cascina è disabitata e nonostante il recente rifacimento
della copertura, c'è l'evidente rischio che lo stato di abbandono possa
portare in breve tempo ad un degrado della struttura assai preoccupante. La
speranza più viva è quella che possa essere finalmente realizzato un
progetto di ristrutturazione responsabile e di riutilizzo degli spazi. La
cascina secondo il quartiere Per comprendere come
gli abitanti del quartiere recepiscano e accolgano la presenza di questo
edificio abbiamo distribuito dei questionari agli allievi della scuola
elementare di via Russo e alle loro famiglie. Tra gli adulti,
circa un terzo ha dichiarato di conoscerla ma non necessariamente di
esserci stato. Alcuni ricordano di esserci stati quando erano bambini,
altri perchè in passato, qui aveva il suo laboratorio un falegname e
pochi altri dicono di esserci casualmente passati. Pochissimi conoscono
l'antica destinazione dell'edificio ma sono contenti che si trovi proprio
nel loro quartiere perchè ricorda loro la campagna e ritengono sia una
presenza in grado di far conoscere ai propri figli una realtà diversa. Quando abbiamo
domandato che nuova destinazione avrebbero voluto dare alla cascina è
emerso il desiderio comune di realizzare un centro di aggregazione
con fini culturali e ludici, per giovani, anziani e bambini.
Qualcuno vorrebbe valorizzare lo spazio verde, pochi pensano ad un uso
abitativo. Tra i bambini, meno
della metà conosce e frequenta la cascina di piazza Governo Provvisorio. Qualcuno
ci è passato, qualcuno abita nella piazza o ricorda di averci giocato
quando era molto piccolo. Pochissimi sanno
cosa fosse in passato ma sono felici che sia nel loro quartiere perchè,
nel contesto in cui vivono è un edificio anomalo; molti lo immaginano
come spazio per giocare e associano alla struttura la presenza di animali.
Qualcuno la giudica bella e antica. E' molto
interessante notare che, quando abbiamo chiesto ai bambini di immaginare
una nuova destinazione per quest'edificio, molti abbiano pensato ad una
fattoria o ad uno spazio che ospiti animali. Molti lo immaginano invece come parco giochi o come campo sportivo e qualcuno come struttura dove svolgere attività varie o come libreria.
Si
ringraziano gli allievi delle classi IV A e IV D della seconda elementare
di via Russo e le loro famiglie
L'ANTICO
BORGO RURALE DI GRECO Il
quartiere di Greco era anticamente un borgo autonomo rispetto al capoluogo
milanese. Le prime notizie scritte risalgono al IX secolo. Intorno al
Mille era un borgo agricolo, un
piccolissimo centro abitato circondato da un'estensione di campi. Le prime
testimonianze scritte in grado di attestare con certezza l'esistenza del
borgo risalgono al XIV secolo. Il nucleo originario corrisponde all'area
compresa tra l'attuale via Conti, piazza Greco, via delle Rimembranze di
Greco e la linea ferroviaria. L'esistenza
e la rilevanza del borgo rurale di Greco sono attestate anche dal Manzoni
che, ambientando il romanzo “i Promessi Sposi” all'epoca della
dominazione spagnola ci induce ad immaginare la descrizione che offre del
borgo proprio in quel periodo. L'autore parla, nel capitolo XXXIII, di un
luogo chiamato Greco “poco lontano dalla città” e narra che
Renzo “uscì dalla strada maestra per andare ne' campi in cerca
di qualche cascinotto...”, restituendoci una fedele immagine di Greco e
del suo contesto. Attorno
al minuscolo originario nucleo, nel corso dei secoli, si costituì un
centro abitato più consistente che tr a il 1600 e il 1700 raggiunse un notevole sviluppo urbanistico. La
presenza di canali e acque sorgive permetteva alla vegetazione di crescere
rigogliosa e ai campi di estendersi e produrre ortaggi in grosse quantità.
Questi presupposti indussero molte famiglie patrizie milanesi ad
acquistare fondi nel contado di Greco e
a costruirvi residenze per la villeggiatura. La famiglia Litta
risiedette per qualche tempo in una villa situata in via Conti, un tempo
via Litta, attigua alla
chiesetta parocchiale di San Martino, ricostruita intorno al XVI secolo su
una fondazione del XII. La villa fu abbattuta negli anni Settanta. Negli
anni Venti il borgo di Greco fu annesso al comune di Milano mantenedo un
anima rurale, accanto alla nuova impronta industriale, determinata dalla
forte presenza di fabbriche nel circondario ( Breda, Pirelli. Marelli
etc.). L'attuale
cascina Conti, così denominata per la sua ubicazione in via Carlo Conti,
è ciò che rimane del borgo rurale di Greco. La
parte più antica del complesso, sul
lato destro rispetto all'entrata, risale al XV secolo mentre gli altri
edifici sono piu recenti. Nei
documenti catastali settecenteschi (Catasto Teresiano) il nucleo è già
presente e rimane pressochè invariato nelle mappe del Catasto Lombardo
Veneto del 1863. Nei
primi anni del Novecento il complesso era abitato da ventotto famiglie.
Molte persone avevano abbandonato il lavoro dei campi per diventare operai
ma circa la metà degli abitanti praticava ancora le attività agricole e
di allevamento. I
campi circostanti, che si estendevano fino a via delle Rimembranze, erano
coltivati a foraggio e servivano ad alimentare il bestiame allevato nella
cascina, bovini e cavalli da traino. Le
mucche venivano fatte pascolare sui prati a marcite. Gli
altri terreni, irrigati grazie alle acque sorgive (provenienti dalla
roggia Gualdina) erano coltivati ad ortaggi e fornivano abbondanti
raccolti che venivano venduti al Verziere. Il
complesso edificato di via Conti presenta
un impianto tipico delle architetture rurali lombarde. In passato
l'accesso era costituito da un arco in mattoni, abbattuto accidentalmente
nel 1995. Gli edifici sono sviluppati attorno ad un'ampia corte centrale e
presentavano funzioni sia abitative che lavorative. Accanto agli spazi
abitati non mancavano infatti strutture adibite a fienili, a magazzini per
attrezzi e atte ad ospitare il bestiame, ubicate principalmente in bassi
fabbricati al centro del cortile. Gli
edifici sono realizzati in mattone e si sviluppano su un piano terra e su
un primo piano. La parte più antica è provvista di una torretta
fortificata, tipologia diffusa nel Quattrocento in ambito lombardo,
di pregevole aspetto e discretamente conservata. Gli
edifici più recenti presentano ballatoi
in pietra e ferro mentre quelli più antichi sono provvisti di
caratteristici ballatoi in legno che vertono attualmente in condizioni
pessime. Il
deterioramento delle strutture coinvolge purtroppo l'intero complesso,
abbandonato a se stesso e disabitato dagli anni Novanta. Lasciare
Cascina Conti a questo degrado significa cancellare consapevolmente
non solo un edificio rurale ma una testimonianza viva del nostro passato. La cascina secondo
il quartiere Ci siamo chiesti
come gli abitanti del quartiere di Greco accolgano la presenza
del complesso rurale e abbiamo distribuito nella scuola elementare
di via Bottelli dei questionari coinvolgendo allievi e genitori. Tra gli adulti più
della metà conosce la cascina e sa dove si trova ma sono pochi quelli che
abitualmente la frequentano. Buona parte di loro non ci è mai stata.
Alcuni ci sono semplicemente passati, altri volevano visitarla proprio
perchè è parte integrante del quartiere. Molti la conoscono
come cascina o fattoria, alcuni non sanno cosa fosse in passato; quasi
nessuno sa che era il nucleo del borgo rurale di Greco. La stragrande
maggioranza si dichiara felice di accogliere il complesso nel proprio
quartiere perchè lo riconosce come memoria storica, come angolo di
campagna, e perchè valorizza il quartiere. Alcuni non la vorrebbero perchè
è un esempio di degrado. Pensando ad un
ipotetico riutilizzo quasi tutti hanno immaginato un centro di
aggregazione per bambini e anziani o uno spazio culturale. Alcune persone hanno
espresso la loro curiosità riguardo alla storia della cascina. Anche tra i bambini
molti la conoscono e sanno dove si trova ma, così come gli adulti, meno
della metà l'ha potuta visitare. Un piccolo nucleo racconta di averla
vista durante una gita scolastica, alcuni ci sono solo passati accanto.
Meno della metà sa che in passato era una cascina o una fattoria,
qualcuno pensa ad una casa o ad una trattoria mentre gli altri non sanno
che funzione avesse. Quasi tutti sono
felici che si trovi proprio nel loro quartiere, perchè la definiscono
storica, ci sono affezionati e
la associano ad un ambiente naturale. Alcuni pensano che
si potrebbe trasformarla in un centro per anziani, per poveri o ammalati,
in un centro di aggregazione
o in un parco giochi, altri vorrebbero degli orti o una fattoria. Si ringraziano i
ragazzi delle classi III, IV e V B della scuola elementare di via Bottelli
e le loro famiglie. |