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Cascine a Milano

  Legambiente Milano, in collaborazione con il Consiglio di Zona 2,  ha esposto

dal 9 al 16 di Gennaio 2004 

i risultati di una ricerca storica su alcuni edifici siti nella zona, accompagnati da un'ampia documentazione fotografica e cartografica

 

Conoscere il vissuto del luogo in cui viviamo è il fondamento di un atteggiamento rispettoso e “amorevole”.  La città di Milano, che oggi vediamo come una realtà metropolitana e industrializzata, è sorta su uno dei territori più fertili d'Europa, diligentemente utilizzato sin dall'epoca preromana.Fino all' inizio del XIX secolo l'economia del territorio milanese era basata esclusivamente sull'attività agricola; in questo contesto nasce e si sviluppa la tipologia dell cascina, come forma di architettura “spontanea” che deriva dal desiderio e dal tentativo di sfruttare al meglio  le risorse locali e di interpretare profondamente i bisogni e le esigenze del territorio e dei suoi abitanti.

Espressione tipica delle cultura contadina, rappresenta l’emblema delle capacità dell’uomo di modificare l’ambiente secondo le sue esigenze comportando un impatto minimo.

I primi insediamenti rurali, le cosiddette Villae rusticae, risalgono al periodo di dominazione romana ed erano sostanzialmente grandi aziende agricole schiavistiche. Gli edifici abbracciavano una corte chiusa e porticata, creando un complesso quadrato non del tutto dissimile dalle forme rurali più attuali.

Trascorsi alcuni secoli di regressione (dal V al X secolo) in ambito agricolo, dopo il X secolo furono principalmente i monaci Umiliati e Cistercensi a dare un nuovo input all'attività agricola a alla costituzione di una nuova tipologia di insediamento agricolo; nelle aree ricche di terreni irrigui ebbero larga diffusione le fondazioni abbaziali. Gli Enti ecclesiastici investirono anche in proprietà fondiarie e per poter utilizzare adeguatamente le risorse finirono con l'edificare efficienti aziende agricole.

Se già nel XIII secolo gli insediamenti rurali apparivano come agglomerati di edifici ad uso abitativo e rustici, solo sul finire del XIV secolo fece la sua comparsa la tipologia della cascina lombarda nei suoi caratteri essenziali.

La prima registrazione scritta nota del termine cascina risale al XII secolo ma deriva presumibilmente dalla lingua latina medievale. Si tratterebbe di un vocabolo originario dell’Italia settentrionale, nato come cassina e derivato  dal volgare capsia, variazione del latino capsus, ossia recinto o steccato per contenere animali. Sembra comunque altrettanto plausibile una connessione con caseus, cacio, sempre legata all’attività di allevamento che si svolgeva nelle cascine, accanto o in alternativa a quella agricola.

La tradizionale cascina lombarda non era una semplice casa colonica; era piuttosto un complesso edilizio strettamente ancorato ad esigenze produttive, era il cuore di un’azienda agricola e zootecnica autosufficiente e molto spesso in grado anche di offrire la propria produzione sul mercato.

Spesso i complessi cascinali costituivano veri e propri borghi agricoli formati da una serie di costruzioni disposte attorno ad uno spazio scoperto centrale denominato aia.

L’edificio principale, generalmente arricchito da un più elaborato apparato decorativo e dotato di portico e loggia, era destinato al proprietario o al massaro. Facevano parte del complesso anche le abitazioni delle famiglie dei contadini e degli allevatori, edifici frugali dalla forma stretta e allungata. I cosiddetti rustici completavano il panorama degli edifici costituenti il tipico complesso cascinale. Essi comprendevano le stalle, i pollai e le porcilaie, i fienili, i portici per tenere al riparo gli attrezzi, i magazzini per conservare i prodotti dei campi.

Questa tipologia era riscontrabile soprattutto nella Bassa Milanese, laddove la pianura è sempre stata particolarmente irrigua e l’agricoltura molto evoluta.

Gli insediamenti rurali nella zona a nord dei fontanili, la cosiddetta pianura asciutta, conducevano un’attività finalizzata principalmente all’autosostentamento ed erano generalmente strutture dall’aspetto più modesto; erano perlopiù formate da un corpo di fabbrica lineare, dotate di un portico a pian terreno e spesso di una loggia al piano superiore. Spesso queste case monofamiliari, edificate attiguamente, costituivano dei veri e propri borghi agricoli, diversamente gestiti rispetto alle cascine padronali a corte, poiché presso questi nuclei di abitazioni non esistevano gerarchie bensì rapporti paritari tra più gruppi familiari.

In entrambi i casi il materiale di costruzione era il mattone pieno cotto in fornace, facilmente reperibile nella pianura lombarda. Questo, oltre ad avere un ottimo impatto estetico, presentava particolari caratteristiche di durabilità nonché una notevole resistenza fisico – meccanica. La scelta dei materiali locali non solo presentava vantaggi economici e logistici  ma era anche una risposta naturale alla tipologia del sito e al clima.

Legambiente, come associazione impegnata sul territorio nella salvaguardia del patrimonio ambientale e culturale, intende sottolineare il valore che ancora oggi ricopre l’edilizia rurale non solo nell’ambito della memoria storica e culturale ma anche in quello del recupero e riutilizzo dei suddetti fabbricati. Se infatti apparentemente il restauro in stile comporta spese di notevole entità esiste la possibilità di elaborare  progetti mirati in grado di salvaguardare la struttura originaria della cascina sfruttandone i vantaggi e adeguandola alle esigenze più moderne.

 

 

LA CASCINA DI VIA SAN MAMETE

 

 

Il quartiere di Crescenzago, oggi parte integrante della città di Milano, costituiva, prima del 1923, un borgo autonomo.

Il primo insediamento databile con certezza risale al 1140, anno in cui una comunità di Canonici regolari Agostiniani edificò, presso l'attuale via Berra, il complesso conventuale di Santa Maria Rossa, trasformato nel XV secolo e presto decaduto.

Tra il 1456 e il 1465,  grazie al contributo di Francesco Maria Sforza, si assistette ad un’opera di riorganizzazione territoriale della città che culminò nella costruzione del Naviglio della Martesana, reso navigabile a partire dal 1471; esso influì in modo rilevante sulla morfologia del territorio e sulla tipologia dei conseguenti insediamenti umani.

La parte situata a destra della Martesana, irrigata da rogge e fontanili, era dominata dai campi e costellata da insediamenti rurali.

Entrambe le sponde del Naviglio erano caratterizzate da una vegetazione rigogliosa che contribuì, nel XVIII secolo, a conferire al luogo un aspetto ameno e un’atmosfera piacevole e rilassante, caratteristiche che gli fecero meritare il nome di “Riviera”. Essa divenne meta delle gite fuori porta dei milanesi, dei quali i più abbienti possedevano addirittura lussuose residenze.

Una ricca vegetazione caratterizzava anche la parte più strettamente rurale del borgo dove sorgeva il Bosco di Crescenzago, parte della vasta distesa boschiva che si espandeva fino ai confini con Sesto San Giovanni. Esso si sviluppava alle spalle di quella che oggi si chiama via S. Mamete e che allora aveva la denominazione di via Lazzaretto. Tale strada derivava il suo nome, come facilmente si può dedurre, dalla presenza di un ricovero per appestati edificato in seguito ad una visita del Cardinale Carlo Borromeo, nel  1576, quando Milano fu colpita da una grave epidemia di peste.  Nel corso del secolo XVIII  fu trasformato in cascina e, a causa del suo stato di degrado e abbandono, alla fine degli anni Ottanta fu abbattuto.

 Negli stessi anni, affianco al ricovero degli appestati fu costruito l'oratorio di San Mamete al Lazzaretto, un edificio di modeste dimensioni ma di pregevole aspetto. Esso subì nel XVII secolo delle trasformazioni ma conservò, all’interno della sagrestia, un affresco cinquecentesco raffigurante la Deposizione fra i SS. Rocco e Sebastiano con l’immagine di una finestra a trompe l’oeil da cui si scorge l’immagine del Lazzaretto.

Proprio di fronte all’oratorio di San Mamete, al numero civico 75, si trova una cascina che testimionia le origini rurali  di Crescenzago.

La documentazione cartografica ne attesta la presenza a partire dal XIX. Sulle carte del Catasto Lombardo Veneto, nel punto in cui oggi vediamo la cascina, è segnalata la presenza di una Casa Colonica. L’edificio in esame non era peraltro l’unico casolare ad uso rurale del luogo. Infatti, proprio di fronte ad esso e confinante con la chiesetta è attualmente ubicata al numero civico 74, una struttura con la medesima destinazione d’uso. Essa è già citata nelle carte del Catasto Teresiano, con la doppia denominazione di Porzione di casa da Massaro e Casa d’affitto, appartenente al Livellario dell’Abbazia di Santa Maria di Crescenzago, Don Giuseppe Cravenna. Nel Catasto Lombardo assume poi la medesima definizione della cascina in questione, ossia Casa colonica.

L’edificio, sito in via San Mamete 75, ha mantenuto la sua funzione di cascina per gran parte del secolo scorso. Allora vi risiedeva la famiglia del padrone ma, come spesso accadeva nei complessi edilizi rurali, anche le famiglie dei lavoratori fittaboli la abitavano.

Il complesso, sviluppato attorno ad un'aia centrale, è composto da tre corpi principali, realizzati in mattone, che ospitavano sia spazi abitativi sia destinati ad uso lavorativo.

Il più vasto, quello situato sul lato destro era l'antica stalla con la caratteristica facciata “a capanna”; sono ancora visibili tre aperture per la ventilazione, un tempo coperte da graticole in mattoni e attualmente tamponate, che sottolineavano la tripartizione dello spazio interno. Si può notare il prolungamento del tetto a  coppi a copertura di un portico laterale che veniva denominato barchessa.

Gli edifici attigui erano probabilmente adibiti a magazzini per attrezzi e granai, mentre il lato sinistro rappresentava la parte abitata. Fino a pochi decenni fa si poteva osservare, attorno all’edificio, la presenza di numerosi terreni, occupati da distese boschive e campi coltivati ad erba, granaglie, frumento orzo, granturco etc. che fino agli anni Sessanta erano irrigati con le acque provenienti dal Canale Villoresi.

La cascina era abitata da fittavoli che praticavano l'allevamento e coltivavano i terreni circostanti.

Negli anni Ottanta si verificò una massiccia espansione edilizia che portò alla cementificazione di buona parte dei terreni agricoli. Proprio in quegli anni il territorio circostante perse i suoi ultimi caratteri rurali. Considerati gli scarsi risultati della produzione anche i lavoranti della cascina di via San Mamete interruppero le attività di allevamento e agricoltura cosicchè l'edificio mantenne unicamente la sua funzione abitativa.

Negli anni Novanta, in attesa della costruzione della nuova parrocchia, Gesù a Nazaret, per gli abitanti del quartiere, considerate le ridotte dimensione della chiesetta di San Mamete, i locali della cascina vennero utilizzati per ospitare le attività della chiesa parrocchiale. Così la stalla venne trasformata in uno spazio ospitale e accogliente dove si celebrava la Santa Messa, il magazzino divenne un bar e gli altri spazi furono sfruttati per le attività parrocchiali.

Per gli abitanti del quartiere la nuova chiesa assunse la particolare e significativa denominazione di Cattedrale-Stalla. E' lecito pensare che  questo edificio si sia potuto fino ad oggi conservare  anche grazie a questa curiosa destinazione. Così, nel 1997 fu portata a termine la costruzione della nuova sede della chiesa parrocchiale Gesù a Nazaret, in via Trasimeno 53 e da allora la cascina verte in condizioni di abbandono e degrado.

La cascina di via San Mamete è inserita nel particolare complesso ambientale dominato dal Naviglio Martesana che, dal dicembre 1998, è assoggettato alla tutela prevista dalla legge 29 giugno 1939 n° 1497 per i beni di elevato pregio ambientale e paesaggistico. Sarebbe quindi auspicabile riuscire a preservarla in quanto costituisce una testimonianza storica e culturale di un mondo contadino tipico della pianura padana e una preziosa traccia degli insediamenti rurali che si svilupparono lungo le fertili rive del Naviglio Martesana.

 

La cascina secondo il quartiere

 

Per comprendere il ruolo sociale che questa cascina ricopre nel quartiere, abbiamo distribuito un questionario agli allievi della scuola elementare di via San Mamete e alle loro famiglie.

Da quanto è emerso, più della metà degli adulti  conosce la cascina ma una minima parte di essi ci si è recato. Da quando l'edificio ha perso la sua funzione di cascina e in seguito di chiesa, la sua frequentazione è sostanzialmente cessata. Alla nostra domanda “per quale motivo ci sei stato” la risposta più frequente è risultata “ero di passaggio”.

Nonostante questa apparente noncuranza, la maggior parte delle persone intervistate conosce l'antica destinazione dell'edificio e si dichiara contento della sua presenza nel  quartiere. Molti ritengono che si tratti di un'importante testimonianza del passato e vorrebbero che la struttura venisse ristrutturata e riqualificata; alcuni pensano anche ad un riutilizzo di tipo sociale destinato ad anziani e bambini.

Anche i più piccoli mostrano una particolare sensibilità nei confronti della cascina, che conoscono ma che per le attuali condizioni non frequentano. Essi ne percepiscono già il valore storico e si domandano perchè sia ridotta così; la identificano come un ambiente naturale poiché, istintivamente,  la associano alla presenza di verde e di animali.

 

Si ringraziano i ragazzi delle classi V A e IV C della scuola elementare di via San Mamete e le loro famiglie.

LA CASCINA DI PIAZZA GOVERNO PROVVISORIO

 

L'attuale quartiere di Turro fino al primo ventennio del Novecento costituiva un comune autonomo.

Non vi è alcuna testimonianza scritta che ne attesti  la storia precedente al XV secolo. Alcuni elementi, come lo stesso nome, potrebbero far pensare ad origini piuttosto antiche. L'insediamento potrebbe essersi sviluppato proprio attorno ad una “turris”  di fondazione romana, ubicata lungo una strada di comunicazione, con la funzione di ostello oppure di fortificazione difensiva.

Una località chiamata Tauris Turris, che pareva trovarsi  al di fuori delle mura della città “ma poco lontano da essa”  viene menzionata nell'opera del Giulini Storia di Milano in riferimento ad alcune carte milanesi risalenti al 950.

Grazie ad alcuni atti dell'archivio parrocchiale della chiesa di Turro, datati 1489 si può sostanzialmente essere certi dell'esistenza di un insediamento.

Il quartiere di Turro agli inizi del Novecento aveva  un aspetto molto diverso rispetto a quello odierno; infatti una buona parte dei terreni era occupata da prati e campi, coltivati dai lavoranti delle cascine presenti sul territorio.

Tra queste uno dei pochi esempi rimasti è proprio l'edificio sito in piazza  Governo Provvisorio n. 9.

Da documenti catastali è stato possibile individuare l'edificio corrispondente alla cascina, a partire dalla metà del Settecento (Catasto Teresiano). L'edificio viene indicato come Casa da massaro ed è ubicato in un nucleo in cui si individuano altri edifici e terreni coltivati; si evidenzia inoltre la presenza di più rogge, l' Acqualonga, la Viscontea e la Scragna.

Nelle carte del Catasto Lombardo-Veneto, che rappresentano l'assetto territoriale ottocentesco, viene chiamata casa da massaro con giardino.

La cascina di piazza Governo Provvisorio  è, dal 1963, di proprietà del Comune di Milano e dal 1999 è stata assegnata al Consiglio di Zona 2.

Prima del 1963 faceva parte di un più ampio nucleo di edifici e terreni coltivati, compresi nel comune di Turro, che l'Ospedale Maggiore di Milano aveva acquisito da un sostanzioso lascito. Quest'ultimo secondo la documentazione desunta dagli Archivi dello stesso Ospedale Maggiore proveniva dai coniugi Giovanni Antonio Valtorta e Carolina Ubaldi.

Il complesso dei beni risulta acquisito da un Valtorta già dal 1819, Vincenzo, il padre di Giovanni Antonio al quale passarono in eredità.

Nel 1842 risulta essere inclusa in una possessione detta Velata, affittata ai fratelli De Gasperi, di cui facevano parte anche terreni  in parte avvitati, in parte prativi.

L'edificio di piazza Governo Provvisorio,  nell'ambito dell'architettura rurale, ricalca un modello molto diffuso nella pianura asciutta, quello della cascina a ballatoio.

Si presenta infatti come una struttura a corpo unico con un portico a piano terra e un ballatoio ligneo al primo piano, affacciati su un ampio spazio verde.

Fino agli anni Quaranta del secolo scorso la cascina, oltre a svolgere funzione abitativa,  aveva anche quella di azienda agricola di medie dimensioni.

Gli spazi abitati erano quelli rivolti verso l'attuale piazza Governo Provvisorio, un tempo denominata piazza Mazzini, mentre sul lato porticato si aprivano la stalla e i depositi.

Gli affittuari della cascina praticavano sia l'allevamento che l'agricoltura.

Le stalle ospitavano, all'inizio del Novecento, quattordici mucche e due cavalli. Il terreno antistante era coltivato con alberi da frutta e ortaggi. La proprietà terriera si estendeva anche oltre la zona circostante la cascina; infatti la medesima famiglia si occupava anche dei terreni situati dove oggi sorge il Parco Lambro e che erano coltivati principalmente a grano e foraggio, utile quest'ultimo per alimentare il bestiame sopra citato.

Nonostante la cascina non fosse un'azienda agricola di vastissime dimensioni produceva ortaggi, frutta e latte in buona quantità tanto da rifornire giornalmente un lattaio e poter vendere il resto dei prodotti al Verziere; i fruitori più assidui dei prodotti provenienti dai terreni della cascina erano i degenti della clinica Villa Turro che veniva quotidianamente rifornita.

Alla fine degli anni Trenta la cascina cominciò a perdere la sua funzione produttiva mantenendo solo la funzione di dimora.

Il portico e le parti adiacenti alle stalle cominciarono ad essere utilizzate come magazzini, laboratori o addirittura come parcheggi per le auto e gli stessi prati furono in parte affittati perdendo in ogni caso la loro funzione di orti.

Da alcuni anni la cascina è disabitata e nonostante il recente rifacimento della copertura, c'è l'evidente rischio che lo stato di abbandono possa portare in breve tempo ad un degrado della struttura assai preoccupante.

La speranza più viva è quella che possa essere finalmente realizzato un progetto di ristrutturazione responsabile e di riutilizzo degli spazi.

 

La cascina secondo il quartiere

 

Per comprendere come gli abitanti del quartiere recepiscano e accolgano la presenza di questo edificio abbiamo distribuito dei questionari agli allievi della scuola elementare di via Russo e alle loro famiglie.

Tra gli adulti, circa un terzo ha dichiarato di conoscerla ma non necessariamente di esserci stato. Alcuni ricordano di esserci stati quando erano bambini, altri perchè in passato, qui aveva il suo laboratorio un falegname e pochi altri dicono di esserci casualmente passati.

Pochissimi conoscono l'antica destinazione dell'edificio ma sono contenti che si trovi proprio nel loro quartiere perchè ricorda loro la campagna e ritengono sia una presenza in grado di far conoscere ai propri figli una realtà diversa.

Quando abbiamo domandato che nuova destinazione avrebbero voluto dare alla cascina è emerso il desiderio comune di realizzare un centro di aggregazione  con fini culturali e ludici, per giovani, anziani e bambini. Qualcuno vorrebbe valorizzare lo spazio verde, pochi pensano ad un uso abitativo.

Tra i bambini, meno della metà conosce  e  frequenta la cascina di piazza Governo Provvisorio. Qualcuno ci è passato, qualcuno abita nella piazza o ricorda di averci giocato quando era molto piccolo.

Pochissimi sanno cosa fosse in passato ma sono felici che sia nel loro quartiere perchè, nel contesto in cui vivono è un edificio anomalo; molti lo immaginano come spazio per giocare e associano alla struttura la presenza di animali. Qualcuno la giudica bella e antica.

E' molto interessante notare che, quando abbiamo chiesto ai bambini di immaginare una nuova destinazione per quest'edificio, molti abbiano pensato ad una fattoria o ad uno spazio che ospiti animali.

Molti lo immaginano invece come parco giochi o come campo sportivo e qualcuno come struttura dove svolgere attività varie o come libreria.

 

Si ringraziano gli allievi delle classi IV A e IV D della seconda elementare di via Russo e le loro famiglie

   

L'ANTICO BORGO RURALE  DI GRECO

 

 

Il quartiere di Greco era anticamente un borgo autonomo rispetto al capoluogo milanese. Le prime notizie scritte risalgono al IX secolo. Intorno al Mille era un borgo agricolo,  un piccolissimo centro abitato circondato da un'estensione di campi. Le prime testimonianze scritte in grado di attestare con certezza l'esistenza del borgo risalgono al XIV secolo. Il nucleo originario corrisponde all'area compresa tra l'attuale via Conti, piazza Greco, via delle Rimembranze di Greco e la linea ferroviaria.

L'esistenza e la rilevanza del borgo rurale di Greco sono attestate anche dal Manzoni che, ambientando il romanzo “i Promessi Sposi” all'epoca della dominazione spagnola ci induce ad immaginare la descrizione che offre del borgo proprio in quel periodo. L'autore parla, nel capitolo XXXIII, di un luogo chiamato Greco “poco lontano dalla città” e narra che  Renzo “uscì dalla strada maestra per andare ne' campi in cerca di qualche cascinotto...”, restituendoci una fedele immagine di Greco e del suo contesto.

Attorno al minuscolo originario nucleo, nel corso dei secoli, si costituì un centro abitato più consistente che tr a il 1600 e il 1700  raggiunse un notevole sviluppo urbanistico.

La presenza di canali e acque sorgive permetteva alla vegetazione di crescere rigogliosa e ai campi di estendersi e produrre ortaggi in grosse quantità. Questi presupposti indussero molte famiglie patrizie milanesi ad acquistare fondi nel contado di Greco e  a costruirvi residenze per la villeggiatura. La famiglia Litta risiedette per qualche tempo in una villa situata in via Conti, un tempo via Litta,  attigua alla chiesetta parocchiale di San Martino, ricostruita intorno al XVI secolo su una fondazione del XII. La villa fu abbattuta negli anni Settanta.

Negli anni Venti il borgo di Greco fu annesso al comune di Milano mantenedo un anima rurale, accanto alla nuova impronta industriale, determinata dalla forte presenza di fabbriche nel circondario ( Breda, Pirelli. Marelli etc.).

L'attuale cascina Conti, così denominata per la sua ubicazione in via Carlo Conti, è ciò che rimane del borgo rurale di Greco.

La parte più antica del complesso,  sul lato destro rispetto all'entrata, risale al XV secolo mentre gli altri edifici sono piu recenti.

Nei documenti catastali settecenteschi (Catasto Teresiano) il nucleo è già presente e rimane pressochè invariato nelle mappe del Catasto Lombardo Veneto del 1863.

Nei primi anni del Novecento il complesso era abitato da ventotto famiglie. Molte persone avevano abbandonato il lavoro dei campi per diventare operai ma circa la metà degli abitanti praticava ancora le attività agricole e di allevamento.

I campi circostanti, che si estendevano fino a via delle Rimembranze, erano coltivati a foraggio e servivano ad alimentare il bestiame allevato nella cascina, bovini e cavalli da traino.

Le mucche venivano fatte pascolare sui prati a marcite.

Gli altri terreni, irrigati grazie alle acque sorgive (provenienti dalla roggia Gualdina) erano coltivati ad ortaggi e fornivano abbondanti raccolti che venivano venduti al Verziere.

Il complesso edificato di via Conti presenta  un impianto tipico delle architetture rurali lombarde. In passato l'accesso era costituito da un arco in mattoni, abbattuto accidentalmente nel 1995. Gli edifici sono sviluppati attorno ad un'ampia corte centrale e presentavano funzioni sia abitative che lavorative. Accanto agli spazi abitati non mancavano infatti strutture adibite a fienili, a magazzini per attrezzi e atte ad ospitare il bestiame, ubicate principalmente in bassi fabbricati al centro del cortile.

Gli edifici sono realizzati in mattone e si sviluppano su un piano terra e su un primo piano. La parte più antica è provvista di una torretta fortificata, tipologia diffusa nel Quattrocento in ambito lombardo,  di pregevole aspetto e discretamente conservata.

Gli edifici più recenti presentano  ballatoi in pietra e ferro mentre quelli più antichi sono provvisti di caratteristici ballatoi in legno che vertono attualmente in condizioni pessime.

Il deterioramento delle strutture coinvolge purtroppo l'intero complesso, abbandonato a se stesso e disabitato dagli anni Novanta.

Lasciare  Cascina Conti a questo degrado significa cancellare consapevolmente non solo un edificio rurale ma una testimonianza viva del nostro passato.

 

La cascina secondo il quartiere

Ci siamo chiesti come gli abitanti del quartiere di Greco accolgano la presenza  del complesso rurale e abbiamo distribuito nella scuola elementare di via Bottelli dei questionari coinvolgendo allievi e genitori.

Tra gli adulti più della metà conosce la cascina e sa dove si trova ma sono pochi quelli che abitualmente la frequentano. Buona parte di loro non ci è mai stata. Alcuni ci sono semplicemente passati, altri volevano visitarla proprio perchè è parte integrante del quartiere.

Molti la conoscono come cascina o fattoria, alcuni non sanno cosa fosse in passato; quasi nessuno sa che era il nucleo del borgo rurale di Greco.

La stragrande maggioranza si dichiara felice di accogliere il complesso nel proprio quartiere perchè lo riconosce come memoria storica, come angolo di campagna, e perchè valorizza il quartiere. Alcuni non la vorrebbero perchè è un esempio di degrado.

Pensando ad un ipotetico riutilizzo quasi tutti hanno immaginato un centro di aggregazione per bambini e anziani o uno spazio culturale.

Alcune persone hanno espresso la loro curiosità riguardo alla storia della cascina.

Anche tra i bambini molti la conoscono e sanno dove si trova ma, così come gli adulti, meno della metà l'ha potuta visitare. Un piccolo nucleo racconta di averla vista durante una gita scolastica, alcuni ci sono solo passati accanto. Meno della metà sa che in passato era una cascina o una fattoria, qualcuno pensa ad una casa o ad una trattoria mentre gli altri non sanno che funzione avesse.

Quasi tutti sono felici che si trovi proprio nel loro quartiere, perchè la definiscono storica, ci sono affezionati  e la associano ad un ambiente naturale.

Alcuni pensano che si potrebbe trasformarla in un centro per anziani, per poveri o ammalati, in  un centro di aggregazione o in un parco giochi, altri vorrebbero degli orti o una fattoria.  

 

Si ringraziano i ragazzi delle classi III, IV e V B della scuola elementare di via Bottelli e le loro famiglie.