per un'altra lombardia |
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Spunti
programmatici per una alternativa al centrodestra in Lombardia Premessa Si
è venuta manifestando in questi ultimi anni una comune volontà tra
movimenti, associazioni, forze politiche di opposizione, nella lotta
contro la guerra, per la difesa della democrazia e per l’allargamento
della partecipazione, per una nuova centralità del lavoro, per una
politica antiliberista che proponga all’Italia e all’Europa uno
sviluppo coerente con l’estensione dei diritti ed il rispetto
dell’ambiente e, dunque, capace di cambiare una crescita cieca e
rovinosa. Si
afferma di conseguenza il bisogno non solo della lotta contro un
privatismo assoluto ed indiscriminato, ma per una rivalorizzazione e
riqualificazione del pubblico. Acqua e energia, scuola ed università,
sanità e previdenza, conoscenze e culture, sono beni comuni che non
possono essere abbandonati alle leggi di mercato, ma debbono essere
qualificati come patrimoni e diritti da condividere. In
questo contesto l’immigrazione è stata colta come un’occasione
straordinaria di arricchimento civile e culturale, la prova decisiva di
quanto lavoro e cittadinanza possano procedere insieme per dare un volto
di giustizia ad una globalizzazione feroce. Tutto
questo in Lombardia è stato ed è duramente contrastato dalle forze che
governano da due legislature. Le lotte del mondo del lavoro, la vitalità
dei movimenti nella società, la penetrazione di progetti alternativi, le
innovazioni di molte amministrazione locali, sono attaccate e offuscate da
una cultura e da una iniziativa politica che ha anticipato qui le peggiori
lineee del Governo Berlusconi ed ha ceduto il campo ai sentimenti xenofobi
e razzisti che la Lega ha sparso a piene mani. La
Lombardia si ritrova oggi con una società poco coesa, una economia
indebolita, un sistema pubblico destrutturato, un orientamento di governo
che costringe le risorse della popolazione e la ricchezza del territorio
in un disegno regressivo e conservatore di autoisolamento, fuori da
progetti di respiro europeo o anche solo nazionale. Ora
che per scrollarsi di dosso i marchi politici in disgrazia a livello
nazionale, la destra si sta inventando una “lista del Governatore”,
non basta che l’opposizione che vuole andare al governo adotti le sue
scelte e i suoi progetti nel chiuso degli apparati.
Noi elettori impegnati nella società lombarda a sostegno e
promozione di progetti civili e di diritti sociali che la Giunta di destra
ha insistentemente attaccato e messo in discussione in questi anni,
guardiamo preoccupati a come l’opposizione tutta si prepara alla
scadenza elettorale regionale della prossima primavera: voci di candidati
possibili, ma ancora insufficiente attenzione al programma in costruzione
e alla mobilitazione sociale chiamata a sostenere la prossima campagna
elettorale. Già
per le elezioni del 2005 occorre essere in grado dalla nostra regione di
lanciare un messaggio alternativo e di fare campagna su questioni
concrete, per ricomporre Nord e Sud, qualità dell’economia e modelli di
vita solidale, diritti e partecipazione democratica, lavoro e natura. Noi
ci rivolgiamo all’intera coalizione che si opporrà alla destra, anche a
quella parte di essa che ancora non cogliesse la drammaticità e la
velocità dei processi in corso e stentasse ad aggiornare la propria
analisi. Senza
sufficiente ascolto della società, senza ripensamento e verifica della
rappresentanza e senza progetto politico, anche le lotte più generali,
che in Lombardia ricevono sostegno da un sindacato e da una articolazione
di movimenti e associazioni molto vivi, vengono relegate in una
dimensione difensiva, mentre si inaridisce la democrazia, che viene scossa
dall’offensiva restauratrice e azzittita dal fragore delle armi. Eppure,
mai come in questa fase le classi dominanti sono apparse incapaci di una
proposta attrattiva per la nuova generazione, di un orizzonte inclusivo
per tutti i popoli del pianeta, di una risposta per la sopravvivenza della
specie umana. Si
tratta di una crisi rilevante, a cui sembrano rispondere con lucidità i
movimenti che hanno assunto la lotta per la pace come una forma
costituente della politica e che hanno articolato proposte alternative
sempre più incisive sulle questioni di lungo periodo, ma che non sono in
grado di reggere senza la politica il peso di uno scontro sui poteri in un
passaggio epocale in cui enorme è la posta in gioco. Per
questo sentiamo il bisogno di un nuovo modo di far politica, di un
circuito produttivo tra sinistra e movimenti, tra programma partecipazione
e rappresentanza, di una aggregazione che vada oltre la pratica dei poteri
e che circoscriva con chiarezza gli obiettivi per cui mobilitare e
mobilitarsi. Ci
sentiamo parte, nello specifico della Lombardia, di un processo
nazionale di ricomposizione a sinistra e di riequilibrio dell’alleanza
che si profila per battere Berlusconi. Infatti
la crisi è globale e locale, come globale e locale deve essere la
risposta da articolare e da mettere in campo, proiettando sul territorio
una visione organica di comprensione dei processi sempre più veloci,
sempre più insensati, sempre più autoritari che governano una società
ridotta al silenzio o, al massimo, a fare da spettatrice, mentre ricompare
attualissimo il conflitto tra capitale e lavoro e guerra e terrorismo si
inseguono in una spirale perversa che vorrebbe dettare le regole delle
relazioni tra popoli e culture. Così
ci è parso utile indicare da Milano e dalla Lombardia sette percorsi
di ricerca, di proposta e di lotta, attorno a cui, da una parte articolare
spunti programmatici e, dall’altra favorire un processo politico
aggregativo. Percorsi tuttaltro che già definiti, da radicare nei
movimenti, da insediare nel mondo del lavoro, da alimentare continuamente
con innovazione culturale, da aprire a tutti i democratici in cerca di
convergenze durature e di una strategia di lungo respiro. Sette
spunti politico-programmatici per la Lombardia 1.
Siamo di fronte all’inquietante novità della guerra preventiva cui si
risponde efficacemente solo con una lotta per la pace che diventa
il discrimine dei comportamenti politici. Il nodo irrisolto di un
durissimo confronto tra una concezione unipolare della civiltà e della
sicurezza e una prospettiva di riunificazione del mondo sta, sul
territorio, in un modello di consumo meno distruttivo e in una
apertura agli immigrati nella condivisione delle risorse materiali
e immateriali a disposizione. Si tratta di nodi di fondo per respingere la
militarizzazione della politica e della stessa globalizzazione
economica, modificando, nel profondo, le pulsioni che hanno
attraversato in questi anni la Lombardia, i suoi comportamenti civici, le
decisioni delle sue istituzioni e riflettendo sul diffondersi di una
economia di guerra pur nella crisi del suo apparato produttivo. Va
affermata una idea delle autonomie locali aperta al mondo e solidale ed
occorre ripensare al collegamento dello stile di vita e dei comportamenti
allo sviluppo di economie solidali, all’accoglienza degli immigrati,
alla crescita della multiculturalità, alla smilitarizzazione degli
interventi per la sicurezza dei cittadini. 2.
La Lombardia è stata a lungo la Regione di maggior sviluppo economico,
caratterizzata da un modello industriale ad alta stabilità occupazionale
e da un sistema di welfare rafforzato anche a livello locale. Oggi è la
regione più colpita dalla crisi della redistribuzione della ricchezza
creata da uno sviluppo che manifesta le sue ineliminabili contraddizioni.
Il governo di centro destra ha attaccato lo stato sociale e svalorizzato
la funzione del pubblico proprio quando ha lasciato a se stesso un modello
di sviluppo che si è irrimediabilmente inceppato. La Lombardia è
ancorata ad un uso esclusivo e sconsiderato delle fonti energetiche
fossili che porta alla distruzione del territorio, a effetti
climatici preoccupanti, alla congestione insostenibile del traffico. E’
questo modello si sviluppo, oggi divoratore del territorio anche
nel passaggio dalle grandi industrie alla produzione diffusa, che va
ridisegnato e il cui mutamento è la premessa di una vivibilità, di un
rapporto con l’ambiente, di un rinnovamento del welfare necessario per
il benessere dei cittadini. Il
piano energetico della Lombardia adottato dalla Giunta attuale prevede
addirittura una infrazione del protocollo di Kyoto. L’alternativa sta
nel ridisegnare produzione, consumi, mobilità e qualità sociale in un
contesto di transizione ad un nuovo paradigma energetico, con risparmio di
risorse, efficienza energetica dei processi, passaggio alle fonti
rinnovabili, costruzione credibile del contesto per una “’economia
dell’idrogeno”. Un
enorme sforzo che va dalle normative sulle emissioni e sul traffico allo
sviluppo della ricerca, alle politiche industriali, alle scelte di
programmazione del territorio, al rafforzamento dell’intervento pubblico
nelle municipalizzate, alla cooperazione verso i paesi ricchi di fonti
rinnovabili, ma privi di tecnologie, nella prospettiva di un riflesso
globale dell’azione di risanamento locale. 3.
Il lavoro e la cultura del lavoro hanno permeato Milano e la
Lombardia. Ma oggi siamo di fronte alla più grande trasformazione del
mondo del lavoro nel dopoguerra ed essa avviene nel silenzio della società
e nella solitudine in cui questa lascia i lavoratori, nonostante le
mobilitazioni del sindacato. Mentre
diminuiscono importanza e peso dei lavoratori nella vita e negli affari
dello Stato e cresce la capacità dell’impresa globale di far valere i
propri interessi, vengono smantellati il modello sociale e di relazioni
sindacali, la forma attiva di inclusione attraverso i diritti del lavoro,
che avevano caratterizzato la crescita industriale della Lombardia e le
prime ondate di immigrazione dal sud. La
precarizzazione non il diritto è la nuova cifra del lavoro, lasciato al
corso libero della contrattazione economica e ridotto a esperienza
prevalentemente individuale. Anche nel lessico degli amministratori la
parola anziano sostituisce ormai abitualmente quella di pensionato:
l’una evocativa di ceto debole da assistere, l’altra di diritti
provenienti dal lavoro ormai disattesi. Un
programma che prescinda dal lavoro non connette la sua realizzabilità a
forze reali. Occorre pensare ad una politica industriale e ad
interventi formativi mirati a qualificare le prestazioni e a ridurre la
flessibilità, mentre tutte le amministrazioni pubbliche, da subito, non
dovrebbero ricorrere al lavoro precario in imitazione della legge 30 che
va abrogata. In Lombardia
deve trovare sostegno la richiesta di democrazia sindacale che trova nella
legge sulla rappresentanza e nel referendum sui contratti due punti
immediati di realizzazione. In
questo contesto la questione salariale, i redditi da lavoro, la difesa
delle pensioni, la politica fiscale e il ripristino pieno della
progressività dell’imposta sul reddito trovano piena collocazione. 4.
Occorre riflettere sul carattere riduttivo, elitario e oligarchico, della democrazia
anche a partire dalla Lombardia, non solo perché qui sono nate e maturate
le esperienze involutive di Craxi e Berlusconi, ma perché oggi la vita
politica e la partecipazione hanno raggiunto livelli preoccupanti di
estraniazione dalle istituzioni, con lo svuotamento dei consigli comunali
e del consiglio regionale e con la riduzione dei cittadini a puri
spettatori di vicende consumate nella cerchia di un ceto professionale che
si occupa della cosa pubblica avendo smarrito il senso dell’interesse
generale. Oggi
la distinzione di fondo da percepire, per rivalutare il ruolo della
politica e della partecipazione, è il capovolgimento della direzione
“alto-basso”, che informa tutti i processi decisionali anche pubblici
e a cui anche la sinistra si è di frequente rassegnata. Bilanci
partecipativi, decentramento e autonomia dei comuni, pluralismo effettivo
e scelte etiche, devono far parte di programmi visibilmente
verificabili. Nella costruzione di un rapporto nuovo e continuamente
attivo tra rappresentanti e rappresentati e nella individuazione di canali
stabili e autonomi di collegamento tra movimenti e istituzioni, attivi già
all’atto di definizioni di programmi e liste, sta il cuore di un cambio
di marcia, in Lombardia ancor più necessario che altrove. Lo
stesso principio di laicità dello Stato non appartiene al pluralismo
delle scelte: né è la condizione prima, ma questo valore è stato in
Lombardia ampliamente intaccato senza adeguata opposizione. 5.
Da almeno tre anni le economie occidentali sono entrate in stagnazione. In
tutto l’Occidente le condizioni dei lavoratori e di buona parte del ceto
medio sono peggiorate. Il liberismo che guida la globalizzazione non solo
non risolve la crisi congiunturale, ma agisce sulle disuguaglianze con
profondità tale da sconvolgere la condizione materiali di masse ingenti.
L’effetto della destinazione al mercato e alla concorrenza di settori
decisivi nella vita sociale è destinato ad acuire le condizioni di
iniquità. Questo processo ha avuto nella giunta Formigoni in Lombardia
uno dei più lucidi e efficaci anticipatori. La “libertà di scelta” e
la concorrenza del privato con il pubblico sono stati i grimaldelli
ideologici che hanno aperto il varco alle più devastanti trasformazioni
del welfare lombardo mai attuate. La destrutturazione della
sanità e dell’assistenza innanzitutto, ma anche la privatizzazione
strisciante di tutti i settori della scuola e la deriva affaristica
riscontrata nella formazione, sono sotto gli occhi di tutti. Occorre
una ripresa della iniziativa, articolata a livello locale su un progetto
di lunga lena, determinato nel rilancio del carattere pubblico e
nella lotta alle privatizzazioni dei settori dei beni pubblici, da opporsi
anche culturalmente all’azione intrapresa dalla destra da oltre un
decennio e in grado di riorganizzare e dare peso alla domanda sociale e
alla conseguente risposta dell’investimento pubblico. In questo contesto
trova spazio la straordinaria vitalità del Terzo Settore, inteso
come elemento integrativo e non sostitutivo dell’intervento pubblico. Bisogna
non solo parlare di sanità, ma del legame nuovo tra welfare e beni
comuni, tra welfare e qualità dell’occupazione, tra welfare e ambiente
in uno sviluppo non distruttivo. Soprattutto
dove la ricchezza prodotta, come nella nostra Regione,si mantiene elevata,
la crescita degli interessi privatistici e speculativi punta ad estendere
anche ai beni comuni il concetto di propietà e di commercio. E’
su questa frontiera, come dimostra la direttiva europea “Bolkenstein”
contro cui il movimento si attrezza a combattere, che si sposta l'invasività
del capitale e con l'espropriazione dei mezzi di produzione si realizza
anche una colonizzazione delle esistenze ed una monetizzazione di ogni
atto vitale, in base ad una cultura che ha trovato nella attuale Giunta
Regionale fertile terreno. La
storia di solidarietà e mutualismo della Lombardia è una storia che non
riguarda solo il lavoro, ma la messa in comune a patrimonio di beni
naturali (come l'acqua o l'energia o l'etere), di risorse delle comunità
locali (la professionalità,la conoscenza, la formazione), di tradizioni
culturali (le istituzioni scientifiche e culturali, le fondazione
pubbliche ecc). La
battaglia per il mantenimento pubblico dei beni comuni è fondamento
irrinunciabile della democrazia sociale, mentre la spesa pubblica va
posta al centro di una strategia di sviluppo, coesione sociale e
redistribuzione del reddito che allarghi la sfera dei diritti sociali e
naturali. 6.
La Lombardia ha accolto sul proprio territorio l'espansione della prima
rivoluzione industriale e ha successivamente rinnovato il tessuto
produttivo dando vita a modelli di rilievo nazionale ed europeo (il
Triangolo Industriale, le PP.SS, i distretti produttivi). La ricerca, la
formazione, i saperi operai, hanno rappresentato nell'arco di oltre un
secolo la ricaduta e il patrimonio di un aggiornamento produttivo
costante. Oggi immense aree dismesse caratterizzano le periferie urbane e
la deindustrializzazione apre voragini che nessuna attività
consistente è in grado di riempire. E’
venuta meno la desiderabilità sociale di uno sviluppo che aveva
tenuto nel dopoguerra fino agli anni ’80 e che oggi manifesta tutta la
sua insostenibilità. E’ venuta meno anche una classe imprenditoriale
che, pur nel conflitto e nella autonomia del ruolo, rendeva possibile la
prospettiva di un patto sociale anche nella produzione e che oggi sarebbe
soggetto indispensabile per una politica industriale di riconversione
democraticamente definita. In fondo, l’altra faccia della centralità
del lavoro è la responsabilità sociale dell’impresa e quando la prima
è rimossa la seconda viene meno. Tanto
è vero che la finanziarizzazione dell'economia in Lombardia passa da un
utilizzo speculativo delle aree dismesse e dalla rinuncia ad investimenti
qualificati nei settori strategici nella nuova divisione internazionale
del lavoro, che sono, almeno in Europa, collegati sempre più ad uno
sviluppo socialmente e ambientalmente più desiderabile. “Reindustrializzare”,
è parola e concetto “eversivo” in un quadro che trascura
completamente il fine sociale dell'attività economica e produttiva e non
si pone il problema della sua compatibilità con la conservazione
dell'ambiente e dei beni naturali e con la fruibilità effettiva di
diritti oggi resi indisponibili. C’è
oggi l'occasione in Lombardia di affrontare la crisi dell’auto e la
riqualificazione dell’occupazione con una politica industriale
innovativa orientata alla mobilita’ come prodotto sostenibile e
socialmente desiderabile. 7.
Il processo di costruzione democratica dell'Europa rappresenta una
delle fondamentali opportunità per la comunità internazionale. E’ in
questo contesto e non in quello del federalismo previsto dalle modifiche
in corso alla Costituzione che riprende vigore il riferimento a Regioni e
a Comuni, in una prospettiva cioè di Europa Federale, unita, autonoma,
solidale. Un'Europa
dal basso che riconosce i diritti sociali e che rappresenti il lavoro
nella sua irriducibilità al primato che l'impresa e il mercato assumono
nella globalizzazione liberista e che, quindi, si opponga alla deriva
della costruzione di società chiuse, socialmente omogenee, in scontro
culturale tra loro e con visioni del mondo inconciliabili. Società in
conflitto permanente tra loro, addirittura in contrapposizione preventiva,
ma ricompattate al proprio interno intorno al primato del mercato e
dell'impresa. Non
è il mercato che regala diritti, ma è l'assunzione di questi che pone
limiti al rapporto economico e all'asimmetria tra capitale e lavoro. In
questa fase costituente dell'Europa occorre che la battaglia per la
democrazia sociale affondi le sue radici ad ogni livello, nella struttura
di ogni istituzione, a partire dai programmi concreti che si danno le
autonomie locali e le Regioni e nella rivendicazione di un progetto che
superi la costituzionalizzazione dell'Europa liberista di Amsterdam e di
Maastricht. Anche la Costituzione Europea, come quella italiana, non può
essere risucchiata nel pantano delle cose qualunque, negoziabili sulla
base dei rapporti di forza. Pensare l’Europa è compito urgente della
politica militante ad ogni livello ed è in questa prospettiva che ogni
assemblea dovrà pronunciarsi e operare per una sua costituzionalizzazione
nel vivo dei processi e a sviluppo di un modello sociale oggi largamente
disatteso. Questo punto programmatico si permea di tutti quelli precedenti
e intravvede nell’arretratezza del processo costituente in corso in
Europa e nella pericolosità della revisione costituzionale in corso nel
nostro Paese lo snodo su cui impegnare da subito le migliori aspettative e
spendere la più decisa mobilitazione. Il
percorso proposto Abbiamo
qui illustrato volutamente solo punti indicativi e non esaustivi di una
svolta programmatica necessaria in Lombardia. Noi
che operiamo nei movimenti e nelle organizzazioni della società civile,
nel mondo del lavoro e della cultura e che sottoscriviamo in forma
personale questa proposta, chiediamo alla coalizione in formazione di non
ridurre il coinvolgimento ad un mero allargamento al ceto politico, ma di
aprire un grande dibattito su tutto il territorio lombardo fra le forze
politiche, fra le forze sociali, le associazioni ed i movimenti per
arrivare ad un programma, il più possibile condiviso e comune, da
sostenere attivamente e da onorare anche dopo le elezioni con un impegno
da cittadini e non da semplici spettatori. Un percorso partecipato, a
partire da una assemblea che organizzeremo entro Novembre, per
stimolare le energie più vive della società della nostra regione e
attrarre l’attenzione delle personalità più attente e responsabili. Così
facendo cerchiamo anche di lavorare sulla massa critica che precede e
determina la nascita di un modo nuovo di far politica a sinistra. ASSEMBLEA
DI PRESENTAZIONE “L’ALTRA LOMBARDIA”, MERCOLEDI’ 1 DICEMBRE ORE
20.30 PRESSO LA CAMERA DEL LAVORO DI MILANO, CORSO DI PORTA VITTORIA 43 Hanno
finora aderito: Mario
Agostinelli (Forum Mondiale delle Alternative)
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