| Milano, 5 Dicembre 1997 
RELAZIONI 
  
 Alfiero GRANDI 
 Elena CORDONI    
INTERVENTI 
  
 Pierre CARNITI 
 Nicola CACACE 
 Tiziano TREU  
 Cesare SALVI  
 Livia TURCO 
 Fiorella GHILARDOTTI 
 Fabio  MUSSI
        
      
       ******************   Il
      ponte  della
      Lombardia periodico
      di commento critica
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      2000   Presidente Paolo
      Pinardi   Direttore
      resp. Luigi
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      Trib. MI n.
      304 maggio 1992         |  | Alfiero
      Grandi 
      Con Elena Cordoni ci siamo divisi i compiti nell'introdurre la giornata di
      oggi, quindi Elena illustrera' i contenuti delle proposte di legge e io il
      quadro in cui inserire la proposta. La riduzione dell'orario di lavoro e'
      un importante mezzo per difendere ed allargare il numero degli occupati.
      Non e' l'unico strumento a questo fine, anzi, i risultati migliori li puo'
      dare in stretto intreccio con altri, in particolare con il sostegno
      all'ampliamento o alla creazione di nuove attivita' nelle aree piu'
      svantaggiate del Mezzogiorno. A costo di forzare un po' voglio dire che
      vanno tenuti insieme la riduzione dell'orario di lavoro e gli interventi
      per favorire nuovi investimenti, in particolare nel Mezzogiorno .
      Controllo degli straordinari e riduzione dell'orario di lavoro sono anche
      aspetti rilevanti della condizione di lavoro e della sua organizzazione.
      Vanno quindi visti in tutte le loro potenzialita'. Inoltre il regime degli
      orari di lavoro ha oggi una complessita' ed un'articolazione senza
      precedenti, anche in rapporto alla diffusione pervasiva dell'informatica e
      di nuove forme di organizzazione del lavoro, che rendono possibili nuove
      frontiere di scelta da parte delle persone in materia di orari. E' quindi
      evidente che controllo e riduzione dell'orario entrano in rapporto diretto
      con forme di flessibilita' e di organizzazione di tipo nuovo. Per questo
      la misura settimanale del tempo, pure importante, e' solo uno degli
      aspetti da affrontare, perche' e' necessario guardare ad altri aspetti,
      sia piu' tradizionali come l'orario giornaliero, sia perche' sempre piu'
      occorre guardare all'insieme della vita lavorativa e ai suoi ritmi, che
      cambiano e cambieranno ancora di piu'. Si delinea infatti l'esigenza di
      superare nella vita la rigida divisione tra il tempo per l'istruzione e il
      tempo per il lavoro. Cosi' il controllo e la riduzione dell'orario si
      inseriscono in una politica dei tempi, che deve affrontare un nuovo e
      diverso equilibrio tra il tempo del lavoro e la vita delle persone. I
      tempi di vita sono infatti sempre piu' condizionati, e a loro volta
      condizionano, dagli orari di lavoro. A questo proposito va sottolineata la
      proposta di dare al Sindaco poteri reali per programmare e riorganizzare
      la politica dei tempi nel territorio, attraverso un vero e proprio piano
      regolatore degli orari. E' evidente che in questo modo si potrebbero
      riordinare servizi, trasporti e cosi' via, per diminuire la quantita' di
      tempo necessaria in rapporto al lavoro. Secondo valutazioni largamente
      accettate in Europa, occorre uno sviluppo del 3% per creare nuova
      occupazione. E, come ha scritto il Prof. Cacace che tra poco interverra',
      occorrerebbero ritmi di sviluppo, impensabili oggi, per assorbire
      quantita' rilevanti di disoccupazione in un tempo ragionevolmente breve.
      Poiche' gli incrementi di produttivita' sono alti e soprattutto, a livelli
      bassi di aumento del prodotto interno lordo dei vari Paesi, tendono ad
      eguagliare l'aumento di produzione, si spiega perche' oggi e in futuro sia
      necessario affrontare, oltre al necessario sostegno allo sviluppo, anche
      il problema di una diversa distribuzione del lavoro. In particolare una
      diversa distribuzione del lavoro deve anzitutto aggredire la massa degli
      straordinari, oltre che forme di doppio lavoro, spesso in nero, non
      accettabili. I recenti dati forniti dall'ISTAT parlano di un 6-7% di
      straordinari nelle aziende con piu' di 500 dipendenti, a fronte di una
      riduzione degli occupati del 3,6%. Il conto e' presto fatto. Nei limiti e
      con l'equilibrio prima descritti, il contenimento degli straordinari e la
      riduzione dell'orario di lavoro sono scelte di fondo per i prossimi anni.
      E' certamente vero che la riduzione, consistente delle forme di lavoro
      precedentemente dominanti, pone problemi complessi, basta pensare ai
      2.000.000 di giovani e ragazze che lavorano oggi con rapporto di
      collaborazione o partita I.V.A. Tuttavia non e' pensabile che, sia pure in
      forme nuove e diverse, anche per questi nuovi rapporti di lavoro non
      vengano introdotte soglie di controllo e di garanzia in materia di orario
      della loro prestazione. E' evidente infatti che, se le regole dovessero
      essere limitate solo ai rapporti tradizionali, non potrebbe che ampliarsi
      la forbice, gia' messa in luce dalla relazione alla proposta di legge
      presentata da Livia Turco nella precedente legislatura, di una crescente
      divaricazione tra orario contrattuale, cioe' quello individuato sul piano
      teorico, e quello reale. Non solo e' impensabile che l'orario legale si
      divarichi da quello reale senza che nulla accada, ma anche per il
      sindacato si aprirebbero problemi rilevanti da una divaricazione tra
      previsione di orario scritta nei contratti e orario di fatto, che oggi
      nell'industria sta mediamente tra le 43 e le 44 ore, con punte molto
      maggiori in alcune aree del nostro Paese. L'intervento per controllare e
      ridurre gli straordinari e' una condizione necessaria per affrontare la
      riduzione dell'orario di lavoro, quindi una politica dell'orario e' a
      tutto campo, verso tutte le forme di lavoro, con l'obiettivo di definire
      un quadro di regole generali al cui interno si eserciti la contrattazione
      tra le parti, o almeno si definiscano le regole del contratto individuale
      nel campo dei nuovi lavori.Ci sono problemi reali, da non sottovalutare,
      che spingono ad una ripartizione squilibrata del lavoro. Per le imprese e'
      sovente piu' semplice rispondere alle loro esigenze di flessibilita' con
      gli straordinari e anche tra i lavoratori ci sono comprensibili
      aspettative salariali. Proprio per spiegare in modo definito questo punto
      abbiamo elaborato una tabella, che e' a disposizione di tutti quelli che
      sono qui, in cui risulta del tutto chiaro che, anche con l'aggravio
      contributivo stabilito dalla legge del '96, l'ora di lavoro normale e'
      largamente meno conveniente per l'impresa dell'ora di straordinario. E
      questo spiega la ragione per cui, da parte del sistema delle imprese, c'e'
      una pressione per l'uso degli straordinari e anche la ragione
      dell'interesse dei lavoratori attraverso delle maggiorazioni, che non
      hanno pero' il versamento di parti importanti del salario ordinario. A
      questa spinta occorre offrire insieme un'alternativa di diversa e piu'
      equilibrata distribuzione del lavoro, anche in nome della tutela di chi
      lavora, e la garanzia che non vi siano perdite salariali rispetto ai
      livelli attuali, che sono il risultato di una lunga fase di contenimento
      dei salari e quindi riduzioni che non sarebbero, in questo caso,
      accettate. E' evidente che la riduzione dell'orario di lavoro apre delle
      opportunita' di grande interesse per le persone nell'uso del loro tempo.
      Non e' tuttavia vero che controllo degli straordinari e riduzione
      dell'orario siano contro gli interessi dell'impresa, non solo perche' in
      molte imprese si pratica gia' oggi con successo la riduzione dell'orario
      di lavoro, ma ancora di piu' perche' un intervento sull'orario entra in
      rapporto con l'insieme dell'organizzazione del lavoro. Spesso e' ragione
      dell'aumento della produttivita' e quindi le imprese possono aderire a
      questo processo con vere e proprie contropartite in termini di
      flessibilita', utilizzo degli impianti e cosi' via. Secondo alcune
      ricerche in materia, il 40% della riduzione dell'orario viene in realta'
      riassorbita in incrementi di produttivita'. Su questo ha ragione l'Ing. De
      Benedetti: le imprese, o meglio una parte di esse, non possono limitarsi a
      respingere una prospettiva come questa, perfino con argomenti paradossali
      come l'affermazione che piu' orario porterebbe a piu' occupazione, ma
      debbono porre sul tappeto semmai un loro diverso punto di vista
      nell'affrontare il problema, per gestire una tendenza inarrestabile di
      lungo periodo, tendenza che la collettivita' deve favorire con misure
      appropriate. Si puo' discutere sul come la maggioranza parlamentare sia
      arrivata alla formulazione dell'intesa che, com'e' noto, contiene
      l'obiettivo delle 35 ore a partire dal 2001 per le aziende con piu' di 15
      dipendenti. Resta il fatto che solo chi proponeva, e forse auspica ancora
      oggi, il cambiamento della maggioranza puo' proporre di fare finta di
      nulla accantonando l'impegno. Sarebbe un errore, perche' il valore
      essenziale dell'intesa sta nell'avere scritto nell'agenda del Governo e
      della maggioranza l'obiettivo della riduzione dell'orario di lavoro. Se si
      leva lo sguardo oltre le ragioni contingenti di polemica, si puo' vedere
      che la questione dell'orario di lavoro e' di fondo, di lungo periodo e non
      merita di esaurirsi in uno sterile e paralizzante blocco reciproco da
      parte di soggetti politici e sociali. In questa direzione il Pds aveva del
      resto presentato, assieme alla reiterazione del progetto di legge che ho
      ricordato prima, l' 11 settembre del '96 un progetto di legge alla Camera,
      con al centro anche l'obiettivo delle 3 5 ore, riprendendo appunto il filo
      del ragionamento contenuto in proposte gia' presentate in precedenza. Per
      il Pds il punto di riferimento restano le proposte di legge presentate.
      Non avrebbe senso presentare oggi un'ulteriore edizione dei nostri disegni
      di legge, anche perche' nel frattempo alcuni aspetti hanno trovato
      parziale attuazione. Confermiamo la sostanza delle nostre proposte di
      legge sull'orario, il cui corpo di proposte puo' e deve essere oggetto di
      confronto con le posizioni degli altri partiti della maggioranza e anche
      oltre, se vi fosse una reale disponibilita', per arrivare a una sintesi
      con le proposte degli altri gruppi che sostengono il Governo. La
      convergenza parlamentare puo' essere un contributo offerto al Governo, se
      si scegliera' di partire da una nuova proposta di legge, come dice
      l'accordo di maggioranza e che il Governo stesso e' impegnato a
      presentare, oppure si puo' scegliere di partire da un processo di
      unificazione in sede parlamentare delle proposte che ci sono gia', con il
      concorso attivo del Governo. Sono vie diverse, che possono portare allo
      stesso risultato e per noi entrambe valide. Partendo dall'intesa dei
      Governi di Italia e Francia, tradotta anche in un comunicato ufficiale, la
      questione dell'orario dovrebbe essere posta a livello europeo. Quanto e'
      uscito dal vertice di Lussemburgo non basta; in questa direzione aiuta la
      mozione proposta da Michel Rochard e approvata dal Parlamento Europeo.
      Scegliendo con nettezza la riduzione dell'orario il Parlamento Europeo ha
      proposto di riconvertire l'uso delle risorse che oggi sono utilizzate per
      affrontare i problemi della disoccupazione, e quindi anche con i relativi
      costi, in termini sostanzialmente assistenziali, per cui senza rimuovere
      le cause piu' di fondo. Queste risorse potrebbero infatti essere piu'
      utilmente rivolte a finanziare la riduzione dell'orario senza ridurre il
      salario, mettendo cosi' in moto un meccanismo virtuoso di nuove future
      risorse legate all'allargamento della base occupazionale. Purtroppo
      l'indirizzo del Parlamento Europeo non ha conseguenze operative e il
      recente vertice di Lussemburgo su questo punto e' francamente deludente.
      Si puo' e si deve riaprire il problema a livello dei Governi europei,
      senza trascurare l'esigenza di elaborare una nuova direttiva europea,
      essendo ormai inadeguata quella lontana del '93. Una nuova legge organica
      sull'orario di lavoro che superi quella del '23 - in Italia e' quella
      ancora sostanzialmente in vigore - e' piu' che mai necessaria e in questo
      senso l'accordo di maggioranza e' un indubbio passo avanti rispetto ai
      ritardi e alle resistenze che hanno, fino ad ora, impedito una riforma
      legislativa di tutta la materia dell'orario e dei tempi. Alcune novita'
      sono state introdotte, prima con le penalita' sugli straordinari e piu'
      recentemente con il cosiddetto Pacchetto Treu. Passi avanti importanti,
      anche se non risolutivi. La stessa introduzione delle 40 ore settimanali,
      sulla base di un nostro emendamento al cosiddetto Pacchetto Treu, ha
      necessariamente un carattere emblematico, anche se non a caso ha posto il
      problema dell'entrata in vigore effettiva della nuova normativa sugli
      straordinari oltre le 40 ore. E la soluzione momentanea e' stata, come
      afferma la legge, un rinvio di sei mesi delle modalita' applicative, con
      un contestuale impegno del Governo a presentare una proposta organica in
      materia, cosa che il Governo pero' fino ad ora non aveva fatto. Si sta
      avvicinando la data di scadenza, e' difficile immaginare che in poche
      settimane il problema possa essere risolto, ne' sarebbe accettabile che
      venisse risolto male e frettolosamente. Quindi e' preferibile, anche se
      come male minore e lo dico con dispiacere, il rinvio ancora di qualche
      mese, per consentire a Governo e maggioranza di mettere a punto le
      proposte in materia di riforma dell'orario e dei tempi. Il recepimento
      della direttiva comunitaria non sembra la via piu' adatta a risolvere il
      problema. I fatti ci dicono che le parti sociali non sono oggi in grado di
      andare sotto le 40 ore, che infatti sono ribadite in una recente intesa
      tra Cgil-Cisl-Uil e Confindustria. E le 40 ore, lo voglio ricordare, sono
      gia' previste dalla norma citata, cioe' quella del Pacchetto Treu. Anzi,
      la norma di legge afferma che i contratti collettivi possono stabilire una
      durata minore dell'orario di lavoro e quindi gia' oggi e' teoricamente
      possibile, per via contrattuale, fissare l'orario legale sotto le 40 ore.
      Il Governo ha preso l'impegno, con Rifondazione e con tutta la
      maggioranzaj di arrivare a 35. Non essendo in grado oggi le parti sociali
      di affrontare da sole il problema delle 35 ore, non sembra possibile
      ipotizzare la via del recepimento della direttiva comunitaria per
      affrontare questo problema. Poiche' questa e' la situazione, e'
      inevitabile che Governo e maggioranza si assumano le loro responsabilita'
      politiche, avanzando una proposta di legge organica. L'individuazione di
      un orario legale che a regime sia di 35 ore settimanali, articolando su
      questa base tutto il resto, giornaliero, plurisettimanale, part-time,
      massimo degli straordinari, eccetera, pone il problema del rapporto tra
      legge e contrattazione. La legge per noi ha l'obiettivo di indicare, con
      una certa gradualita', l'orario legale di riferimento, individuando un
      massimo di straordinario effettuabile e creando le condizioni per
      scoraggiare gli straordinari. E' chiaro che per il Pds la legge ha un
      compito di regolazione e insieme di sostegno all'iniziativa delle parti
      sociali. Del resto la legge, senza incrociare un ruolo attivo delle parti
      sociali, rischierebbe seriamente di restare inapplicata e di lasciare
      immodificato l'orario di fatto. L'errore commesso da Rifondazione e' stato
      di dare l'impressione di voler realizzare l'obiettivo prescindendo dalle
      parti sociali. Per noi la legge e' necessaria, ma deve essere orientata a
      sostenere l'iniziativa del sindacato e la contrattazione tra le parti.
      Sbaglia pero' anche chi ritiene che la legge non dovrebbe occuparsi dei
      problemi sociali. E' vero invece che la legge deve aiutare le parti
      sociali a raggiungere gli obiettivi di interesse generale e in questa
      direzione si deve muovere la proposta della legge sull'orario. Del resto
      anche nell'accordo di maggioranza si dice con chiarezza che verra'
      istituita una sede di concertazione tra Governo e parti sociali, per
      individuare problemi e modalita' e quindi per meglio elaborare la stessa
      proposta di legge. Per dirla in modo sintetico: ne' prevaricazione delle
      parti sociali, ne' delega in bianco, ma leggi di sostegno all'iniziativa
      contrattuale. Se si costruisce un parallelismo coerente tra regole
      previste dalla legge e intervento dello Stato per sostenere, anche
      finanziariamente, la riduzione dell'orario di lavoro, si puo' rendere piu'
      agevole raggiungere l'obiettivo. Il finanziamento potrebbe provenire: da
      penalita' contributive crescenti al crescere dello straordinario,
      ovviamente partendo dal livello di orario legale indicato nel tempo dalla
      legge; dalla riconversione graduale della spesa per ammortizzatori sociali
      che sono indirizzati oggi all'allontanamento dal lavoro: prepensionamenti,
      rnobilita' lunga, e' stata scritta prima ma oggi lo risottolineo, e non e'
      casuale; da sanzioni per infrazioni di normative sul lavoro; da contributi
      decisi strutturalmente dallo Stato. Gia' oggi c'e' un fondo, anche se non
      ben definito nelle sue finalita', che e' alimentato dal contributo dello
      Stato; la Finanziaria del '98 prevede di portarlo da 400 a
      800.000.000.000. Durante la crisi di governo erano state fatte delle
      ipotesi per avere un ordine di grandezza delle esigenze necessarie per
      finanziare la riduzione dell'orario. Il progetto - lo ripeto, del tutto
      teorico, ipotetico - costruito su cinque anni per realizzare la riduzione
      a 35 ore, aveva individuato per l'industria un fabbisogno di 2.500
      miliardi l'anno, necessari per garantire agli enti di previdenza le stesse
      entrate e ai lavoratori lo stesso accantonamento a fini pensionistici,
      anche se questo calcolo non teneva conto degli effetti occupazionali e
      quindi contributivi indotti. Per avere un punto di paragone dei costi va
      ricordato che solo per prepensionamenti, prima della discussione che si
      sta facendo in queste ore, la spesa nel '97 sara' di oltre 3.000 miliardi.
      Quindi, come vedete, anche la polemica sulla questione del finanziamento
      necessario per la riduzione dell'orario utilizza sempre due pesi e due
      misure: quando le spese riguardano i prepensionamenti non si discutono,
      quando invece si parla del finanziamento della riduzione dell'orario,
      chissa' perche' diventa improvvisamente spreco di risorse. Resta centrale
      l'obiettivo di non diminuire il potere d'acquisto e quindi si tratta di
      rendere compatibile questo obbiettivo con la tenuta economica delle
      imprese. Gli incrementi di produttivita', attesi nel sistema delle
      imprese, fanno prevedere - sono conti del piano economico e finanziario
      approvato nel luglio scorso - margini per poter realizzare questo
      obiettivo, anche con qualche spazio per contenuti incrementi di salario
      reale. E' chiaro che per realizzare un obiettivo di questo rilievo, che
      nei cinque anni ipotizzati potrebbe consentire 100.000 posti di lavoro
      all'anno, e' necessario un accordo di fondo tra le parti. Le imprese
      potrebbero avere certezza di costi e di impegni per un periodo congruo, i
      sindacati, attraverso una programmazione retributiva contenuta, potrebbero
      ottenere risultati occupazionali di condizioni di lavoro di tutto
      rispetto. Si tratta in sostanza di valutare se, invece di proseguire in
      una polemica sterile tra soggetti politici e sociali, aggravati da atti
      pesanti di interdizione delle relazioni contrattuali - penso alla rottura
      di alcune trattative contrattuali - non sia piu' utile ricercare sulla
      riduzione dell'orario di lavoro un accordo complessivo di concertazione
      tra Governo e parti sociali, in grado di reggere un progetto per sua
      natura complesso e impegnativo. E' chiara la novita' della proposta: non
      solo concertare la legge, ma concertare le politiche di tutti per
      perseguire l'obiettivo della riduzione dell'orario di lavoro. La nostra
      proposta e' qualcosa di piu' della concertazione appunto della sola legge,
      si tratta di concertare, o almeno di provarci, tutta la strategia
      dell'orario. Se questo patto fosse realizzato, per un periodo considerato
      congruo dal Governo e dalle parti sociali in sede di concertazione, e'
      difficile immaginare che si possa aprire un contrasto insanabile per
      qualche mese in piu' o in meno nella realizzazione degli obiettivi, pur
      restando evidente che solo un intervento consistente, e adeguatamente
      sostenuto in tempi definiti, puo' ottenere risultati occupazionali
      consistenti. Per il rapporto di reciproca influenza che c'e' tra i diversi
      aspetti del problema, e' evidente che il raggiungimento di un punto di
      equilibrio, anche in materia di costi, dovrebbe essere valutato nel suo
      insieme, non per una rigidita' su ogni singolo aspetto. E' evidente che
      una scelta di questo valore di impegno, potrebbe creare le condizioni per
      rivedere, in un modo sistematico e in un arco di tempo definito, le
      aliquote contributive sul lavoro, che dovrebbero essere fortemente
      penalizzanti al di sopra dell'orario legale e, al contrario, molto
      favorevoli al di sotto di quel limite, anzi esattamente in proporzione
      all'abbassamento di auel limite. Vorrebbe dire passare dal sostegno caso
      per caso ad un'iniziativa di carattere generale. Queste misure potrebbero
      avere il pregio di cominciare ad invertire il carico complessivo del costo
      del lavoro, senza contraddire i meccanismi di calcolo della riforma
      previdenziale del '95. La riforma e la diminuzione della contribuzione,
      senza modificare la situazione pensionistica dei lavoratori, potrebbe
      cosi' essere l'intervento strategico di supporto alla riduzione
      dell'orario di lavoro. Anche le parti sociali sono chiamate ad un
      comportamento contrattuale coerente con questi obiettivi. E' infatti poco
      comprensibile che l'ora di straordinario sia oggi piu' conveniente per le
      imprese, anche perche' la retribuzione oraria attuale dello straordinario
      non contiene alcune voci retributive che sono presenti nell'orario
      normale, ad esempio l'accantonamento per il TFR. Semmai dovrebbe essere il
      contrario, cioe' l'ora di straordinario dovrebbe costare di piu'. Quindi
      occorre costruire un sistema retributivo che, al di sopra dell'orario
      legale, sia coerente con il sistema di penalizzazioni contributive che la
      legge ha gia' iniziato ad introdurre e che puo' e deve rendere piu'
      incisive ed organiche nelle iniziative dei prossimi mesi. Il progetto di
      legge del Governo francese - lo ricordo a solo titolo di esempio, non per
      una particolare francofilia - parla di una penalizzazione costituita da
      due aspetti: uno e' l'obbligo, sopra la quarantunesima ora, di recuperare
      lo straordinario al 50% attraverso una sorta di banca delle ore; I'altro
      e' la penalizzazione del 25% degli straordinari, che peraltro verrebbero
      anche plafonati entro il tetto di 130 ore annue. La riduzione d'orario
      sopra descritta guarda alla generalita' del problema, ferma restando la
      validita' dei contratti di solidarieta' come alternativa possibile alle
      forme di allontanamento dal lavoro oggi esistenti, come prepensionamenti.
      La questione e' di grande attualita', vista la facilita' con cui ritornano
      proposte che nella sostanza, comunque chiamate, sono prepensionamenti.
      Cosi' e' importante l'introduzione del part-time, la cui diffusione in
      termini piu' ampi e' possibile e necessaria ma che, va ricordato, in
      Europa e' maggiormente diffuso in stretto rapporto con la quota di
      popolazione attiva: e' piu' alta la sua diffusione dove piu' alta e'
      l'occupazione. L'Olanda, di cui molto si parla, anche a sproposito, ci
      indica appunto questo rapporto. La discussione sulla riduzione dell'orario
      di lavoro non puo' procedere per pregiudizi. Cosi' si fa confusione e si
      alimentano tensioni inutili nella maggioranza e nei rapporti con le parti
      sociali. Il Governo e' bene che parli per atti e non per dichiarazioni.
      Sono atti una proposta di legge che traduca l'accordo, la necessaria
      riunione della maggioranza - ho visto che sono arrivati i tre Ministri,
      compresa Livia Turco e vorrei ricordare che l'accordo non e' tra Governo e
      Rifondazione, ma deve essere tra Governo e tutta la maggioranza - e
      l'attivazione, come previsto, della sede di concertazione con le parti
      sociali. Il rischio e' che, anziche' riuscire a rimuovere qualche
      ideologismo di troppo di Rifondazione, in questo modo le rigidita'
      flniscono con i1 prevalere, con conseguenze politiche imprevedibili. La
      riduzione dell'orario e' un asse strategico da cui non si puo' e non si
      deve arretrare. La legge puo' essere importante per aiutarla, le parti
      sociali sono fondamentali per realizzarla. Per fare tutto questo occorre
      pero' un clima costruttivo, in cui sia possibile confrontare i diversi
      punti di vista, non scambiarsi anatemi. In questo senso e' sperabile che
      nel frattempo anche Confindustria vada oltre un eccesso di terrorismo sui
      conti, ponendo i problemi per quello che realmente sono. E' del tutto
      evidente che allo stato dei fatti il rischio concreto e' di mutare in
      straordinario quello che oggi e' normale orario di lavoro. L'aggravio per
      le imprese sarebbe molto limitato, ma soprattutto sarebbe un'operazione
      prevalentemente di facciata. Per questo l'accordo con le parti sociali e
      in questo ambito il ruolo del sindacato e' strategico per costruire una
      scelta vera, con le gradualita' necessarie. Inoltre la riduzione
      dell'orario di lavoro puo' delineare anche un complesso ma importante
      sviluppo per costruire un nuovo rapporto tra lavoro, istruzione e
      formazione.Il tempo "liberato" puo' essere usato in molti modi e
      certamente il ruolo della persona deve restare decisivo nella scelta, ma
      non c'e' dubbio che, in quanto intervengano risorse della collettivita',
      si puo' condizionare parte dell'uso del tempo reso libero dalla riduzione
      dell'orario in connessione con istruzione e formazione, aspetti che oggi
      tutti riteniamo decisivi.
 
   Nicola Cacace
 
      Mi sembra che abbiate davanti alcuni nodi, di cui io ne enuncio quattro:
      1) legge prescrittiva o legge di sostegno; 2) rapporti tra orario legale e
      contrattuale, di cui parla questo famoso comunicato/accordo
      Prodi-Bertinotti - ricordiamoci che nella piu' scema delle aziende ci sono
      almeno dodici, tredici orari diversi tra lavoro notturno, lavoro caldo,
      lavoro ai raggi x, lavoro femminile, eccetera. Quindi, quando parliamo di
      35 ore, dobbiamo dire per chi valgono queste 35 ore, perche' molti dei
      lavoratori che fanno i lavori piu' penosi ne fanno gia' meno di 35
      (turnisti, eccetera); 3) riduzioni difensive (modello EC Volkswagen per
      intenderci), e riduzioni offensive ( EC Bonfiglioli, VAT e altro ancora).
      Sono due cose completamente diverse, di cui nessuno ancora ha parlato e
      che bisogna approfondire per non fare confusione; 4) i rapporti con il
      part-time, importanti perche' si rischia di far confliggere questi
      obiettivi. Per esempio il Pacchetto Treu prevede - in quegli scaglioni di
      cui parlava Pierre Carniti adesso - di dare degli sconti: fino a 32 ore
      sconti sugli oneri sociali del 5%, da 30 a 35 facciamo pagare il doppio;
      ma sul part-time con stipendio dimezzato non c'e' bisogno di dare nessuno
      sconto, in nessuna parte del mondo, perche' il part-time ha paga
      dimezzata, ha gia' una produttivita' superiore e semmai andrebbe fatto
      pagare di piu'. Mc Donald's in tutto il mondo fa solo contratti part-time,
      perche' due ragazzi in otto ore friggono il 20-30% in piu' di un ragazzo
      in otto ore. Il dibattito sulle 35 ore in Italia e' kafkiano, per colpa di
      molti. Il Governo non ha ancora, al di la' di queste quattro righe,
      chiarito almeno le linee-guida di questo progetto, su cui ci sono
      moltissimi nodi. Ho partecipato anche ieri al dibattito della Cgil e
      Cofferati parla di legge prescrittiva; cio' e' tecnicamente impossibile:
      se noi facessimo una legge che stabilisce che dall' 1 gennaio gli orari,
      non solo legali ma anche contrattuali e di fatto, devono essere di 35 ore,
      non potremmo tecnicamente applicarla, perche' non e' possibile in quanto
      ogni contratto prevede moltissimi orari gia' diversi (a parte il fatto dei
      costi, dei tempi, degli adeguamenti). Il sindacato ha mostrato di soffrire
      lo scavalco di Rifondazione in modo anche eccessivo rispetto alla sua
      storia, che e' una storia di lotte secolari per la riduzione dell'orario
      di lavoro in tutto il mondo. Quindi capisco benissimo le reazioni emotive,
      pero' mi sembra che adesso bisognerebbe passare oltre, il dibattito in
      Cgil ieri sotto questo profilo mi incoraggia. I media hanno poco capito
      della questione e meno ancora hanno cercato di capire. Io vi dico
      semplicemente questo: scrivevo di queste cose su quattro giornali, Sole 24
      Ore, Corriere della Sera, Repubblica e Unita'; ora posso scrivere solo
      sull'Unita'. Repubblica non mi ha pubblicato una replica all'articolo del
      mio amico Silos Labini, e parlo di Repubblica. Questo per spiegare il
      clima che si sta creando, a cui, noi partiti della sinistra e di
      governo,dobbiamo in qualche modo anche reagire. La Confindustria fa il suo
      mestiere, lo fa con una logica piu' da vecchia societa' industriale che da
      societa' post-industriale nella quale la qualita' conta molto piu' della
      quantita'. Lo fa con scarsa misura, lo fa con un uso eccessivo di vocaboli
      non politically correct, io ne ho citato qui alcune frasi che sono
      virgolettate: "proposte da accattoni", Fossa;
      "diktat", Agnelli senior; "proposte pauperistiche",
      Callieri; "proposte antistoriche". Questo e' il tenore, il
      livello; in Francia, in Svezia, in Olanda c'e' un diverso livello, sono
      contrari anche li' ma per altri motivi: vogliono l'annualizzazione degli
      straordinari, non sono contrari alle 35 ore tout-court. La verita' e' che
      mi sembra che dall'avvento del Dr. Fossa in Confindustria si spara su
      tutti gli uccelli, anche quelli per cui la caccia non e' consentita: oggi
      contro la legge delle 35 ore, ieri contro il recepimento della normativa
      CEE delle 40 ore; inoltre Fossa ha attaccato Prodi per sette mesi perche'
      voleva la Tremonti bis e tris. Mi sembra che questo sia abbastanza
      scontato, anche se rende la faccenda piu' difficile; pero' parla a nome -
      anche questo dovremmo ricordarlo - di un settore (medie e grandi imprese)
      che riduce da venti anni l'occupazione del 4% l'anno; se prendete un libro
      ISTAT '76-'96, troverete ridotta l'occupazione costantemente; non e' un
      peccato, tutte le grandi imprese riducono l'occupazione, pero' mi sembra
      che anche la legittimita' a parlare di strumenti per aumentare
      l'occupazione viene da una fonte rappresentante soprattutto di questi
      interessi e che oggi su 20.000.000 di occupati, ne rappresenta 800.000 in
      meno. Secondo me esercita un potere eccessivo, non solo nella trattativa
      ma anche nel dominio sui media, anche su quelli che non sono dell'area
      contraria, e questa e' una cosa molto grave. Qui nessuno dice che abbiamo
      la ricetta magica, nessuno e' cosi' stupido da dire che la riduzione
      dell'orario e la ridistribuzione del lavoro e' la ricetta magica, ma
      nessuno e' cosi' scemo da pensare che noi potremmo crescere nei prossimi
      anni del 4% l'anno. Ce l'ha detto il BIT, ce l'ha detto l'OCSE, ce l'ha
      detto la Commissione che se volessimo dimezzare la disoccupazione al 2005
      dovremmo crescere piu' del 4% l'anno e noi facciamo fatica a superare il
      2% . Quest'anno il reddito crescera' dell'1,3% da stime dell'ISCO di ieri
      e di zero l'occupazione. Mi dispiace per il mio amico Tiziano Treu, ma
      questo l'ha detto l'ISCO; questo per dirvi qual e' il quadro. Nel
      quadriennio ultimo '94-'97, compreso quest'anno perche' ormai sappiamo
      tutto, essendo a Natale, il PIL e' cresciuto al tasso medio dell'1,8%,
      l'occupazione si e' ridotta al tasso medio dello 0,4%, cioe' la
      produttivita' e' cresciuta del 2,2%. Ancora quest'anno, come gia' dicevo,
      avremo una crescita zero, quindi il discorso della ridistribuzione del
      tempo di lavoro e' un discorso che va fatto per questo, che e'
      obbligatorio affrontare, che la sinistra italiana ha fatto con ritardo
      dopo essere partita con largo anticipo. E devo dirvi anche che la sinistra
      in Europa oramai non si distingue piu' sul mercato, non si distingue piu'
      sulla competitivita', non si distingue piu' sulle privatizzazioni, si
      distingue solo un po' sul welfare e sulla concezione del tempo. La destra
      continua a dire che il tempo e' denaro tout-court, la sinistra grosso modo
      dice che il tempo e' vita e quindi gli da' un'accezione piu' ampia. Oggi
      nessun importante Paese Europeo con disoccupazione inferiore all'8% ha
      orari medi superiori a 1.500 ore. Attenzione, quando leggete queste
      statistiche, le statistiche degli orari medi, 1.800 ore o 1.400, sono due
      tipi di statistiche: le statistiche che non considerano il part-time; il
      Sole 24 Ore e tutti i giornali italiani fanno sempre questo scherzetto: le
      statistiche dell'Olanda hanno un orario annuo di 1.400 ore perche' hanno
      il 38% di tutti gli occupati che lavorano part-time; loro invece
      pubblicano le statistiche solo dei full time. Conclusione: tutti i Paesi
      del mondo che hanno una disoccupazione inferiore all'8% oggi, compresi gli
      Stati Uniti, hanno un part-time superiore al 20%. Non c'e' un Paese
      importante, a parte Lussemburgo, con una percentuale inferiore a questa;
      parlo dei primi quindici Paesi dell'OCSE, parlo dell'Olanda famosa, della
      Gran Bretagna che tutti citano. Se noi avessimo la quota di part-time
      inglese, che e' del 25%, noi avremmo 2.000.000 di occupati in piu'. Noi
      siamo in una situazione inferiore a quella inglese e naturalmente il
      part-time e' solo uno dei modi, perche' ad esempio Danimarca, Olanda,
      Svezia e Germania hanno ridotto la settimana lavorativa, in Francia molti
      hanno la quinta settimana di ferie, in Svezia e Olanda c'e' l'anno
      sabbatico. In Danimarca e in Olanda c'e' la pensione progressiva, che
      significa che a cinquant'anni passano a part-time e prendono un quarto di
      pensione. Quindi lo Stato non ci rimette niente, li paga, gli da' un
      quarto di pensione ed e' un fatto anche sociale, perche' assicura un
      passaggio morbido dall'occupazione, e nel frattempo risparmia sui costi
      sociali. Appare chiaro che la legge sulle 35 ore sara' una legge di
      sostegno e non di obblighi. Io spero che stasera - abbiamo qui il Ministro
      - il Ministro cominci a dire. Mi rendo conto che il problema non e'
      semplice, che bisogna stare attenti anche al linguaggio, perche' abbiamo
      un accordo con una parte, che l'ha imposto. Sono d'accordo con Carniti che
      queste cose non si fanno per legge, lui ha citato l'esempio francese e
      questo dimostra che ci sono diversi tipi di legge in Europa e ormai ci
      siamo anche per questo. C'e' l'esempio italiano, che ha tenuto per
      settant'anni una legge sulle 48 ore quando e' passato invece molto prima
      alle 40 ore; c'e' l'esempio francese, che ha tenuto per trentacinque anni,
      fino agli accordi di Grenelle del '68, una legge del '36 che parlava di 40
      ore e invece i contratti erano di 48. Gli accordi di Grenelle sono quelli
      che dettero quasi a tutti i francesi le 40 ore. Quindi c'e' un Paese che
      ha fatto la legge prima e che e' diventata di fatto dopo. Dovremmo seguire
      questo esempio e devo dire che - noi parliamo dei francesi sempre molto
      male, anche a sinistra - qui nessuno ha ricordato che Jospin, quando ha
      annunciato queste famose 35 ore alla fine del suo discorsetto del 10
      ottobre ai francesi, in cui ha inteso dire Çho cercato di mettervi
      d'accordo, visto che non siete d'accordo noi abbiamo deciso di dare una
      spinta al processo, perche' crediamo sia indispensabile per tutti quei
      motiviÈ, ha affermato: noi faremo una Çloi d'orientation e d'incitationÈ,
      una legge di orientamento e di incitazione. L'accordo Bertinotti/Prodi
      parla anche di questo. Io non farei adesso qui un discorso piu' da
      practitioner che da tecnico, ma e' chiaro che qui a nessuno conviene
      adesso spaccarsi in due, perche' e' logico che quelli vogliono la legge
      prescrittiva. Ed e' un non senso una legge prescrittiva su questo tema, si
      puo' fare una legge prescrittiva sul salario minimo, quello si', ammesso
      di essere in grado di farlo rispettare, ma non su un orario di questo
      tipo, considerandone la complessita' attuale; forse trenta, cinquant'anni
      fa sarebbe stato piu' facile. L'accordo Prodi/Bertinotti parla intanto del
      modello francese, perche' dice "il governo si impegna, tenuto conto
      anche della dichiarazione comune di intenti fra Italia e Francia per una
      comune politica europea del lavoro." I francesi, sia Jospin per
      iscritto nel testo ufficiale, (l'unico testo che c'e' finora), e sia i
      vari discorsi dell'Obrie (che ha parlato del premio di 9.000 franchi per
      chi aumentera' almeno del 60%, se riduce l'orario del 10%), parlano di
      "legge di sostegno". Noi vogliamo rafforzare questo processo,
      questo e'; deve essere questa la nostra tesi. Primo, perche' questo e'
      l'unico modo tecnicamente possibile, e secondo perche' il Governo ha
      sempre ripetuto che: 1. questa legge non deve ostacolare la competitivita'
      di settori e imprese; 2. questa legge e' orario legale, la riduzione
      dell'orario legale di lavoro a 35 ore, quindi, non parla di obblighi
      contrattuali per niente. C'e' sempre stata differenza tra orario legale,
      contrattuale e orario di fatto, c'e' differenza tra ore straordinarie e
      ore supplementari. Per anni molte nostra aziende fino a 48 ore non hanno
      pagato gli straordinari, perche' le consideravano ore supplementari. 3.
      Poi dice anche che il disegno di legge dovra' tenere conto della
      situazione economica. Ora, per tre punti passa una sola circonferenza, la
      quadratura del cerchio e' difficile, perche' tutti abbiamo parlato poco e
      abbiamo fatto confusione. Anche all'interno del sindacato non tutti sanno
      negoziare gli orari perche' e' una cosa complicata e perche' c'e' questa
      paura di rompere ancora questo fronte che si e' ricomposto con grande
      difficolta'. A Treu pero' voglio anche dire questo: un atteggiamento
      collaborativo delle organizzazioni sindacali secondo me potremo averlo, ma
      se non presentate un vostro disegno, voi non avrete nessun disegno al
      tavolo. Nessuno e' cosi' stupido da venire li', come e' successo gia' per
      i lavori manuali, per le esenzioni, per i lavori penosi, per gli
      equivalenti. Se avanziamo come Governo una proposta, sia pure come
      guide-line, che chiarisca questi punti nel modo meno dirompente possibile,
      cio' e' fattibile anche su questo accordo che Carniti ha criticato. Il
      Sole 24 Ore intervista un Premio Nobel americano, parla dello sviluppo,
      dei settori, eccetera, e poi insiste e chiede: Çma secondo Lei le 35
      ore...È? Questo non sapeva manco cos'erano le 35 ore, quello gliel'ha
      spiegato e poi alla fine l'intervistato risponde: "io non so cosa
      sono le 35 ore, pero' quello che posso dire e' che la domanda non cresce
      all'infinito, il progresso tecnico cresce indefinitamente". Questo
      l'abbiamo sperimentato da 200 anni; quindi che significa questo? Che il
      PIL cresce all'1%, perche' non cresce all'infinito, e il progresso tecnico
      cresce al 3%. Che significa in termini occupazionali? Che l'occupazione si
      riduce dell'1%. Il Sole fa un titolo di otto colonne e dice che il Premio
      Nobel e' contrario alle 35 ore; allora io gli scrivo una letterina che non
      viene pubblicata. Ho scritto contro l'Agnelli del "pericolo
      giallo", venti anni fa quando si opponeva all'importazione di motori
      giapponesi; vi ricordate la faccenda dell'Alfa Romeo, quando fece
      l'accordo con la Nissan perche' c'era bisogno di motori giapponesi?
      Agnelli il giovane, perche' il vecchio e' piu' attento, ha tirato fuori il
      "pericolo giallo" e io mi chiedo: ma come, il liberismo, la
      libera concorrenzaÉ e questo, per importare un motore per fare una
      macchina, parla di "pericolo giallo" ? L'orario contrattuale non
      dovra' necessariamente seguire quello legale, perche' e' tecnicamente
      impossibile, perche' l'hanno escluso i francesi, perche' l'abbiamo escluso
      noi, pero' dobbiamo trovare i modi, dovete trovare i modi politically
      correct per dirlo. Che significa questo? Che gli imprenditori che vanno
      sotto le 40 ore pigliano gli incentivi che decidera' il Governo. E' la
      proposta Rochard, che in Italia purtroppo nessuno conosce; questa
      relazione, molto bella, e' tecnicamente informata e cancella tante
      sciocchezze che sono state scritte. Quindi le aziende che restano a 40 ore
      pagano un supplemento di orario supplementare, non straordinario. Questa
      e' la mia tesi naturalmente, poi sentiremo Treu, sull'orario legale e
      l'orario contrattuale. Quindi nella legge dovra' essere scritto che per
      gli orari superiori a quello legale bisogna pagare l'indennita' di lavoro
      straordinario. Voglio dire che su questo punto e' importante che si
      affrontino questi nodi. Per quanto riguarda tempi, l'accordo prevede che
      entro gennaio Treu deve presentare una proposta di legge, la
      concertazione. Il tavolo trilaterale secondo me ci potra' essere solo dopo
      che il Governo avra' fatto questa proposta. Sciogliere questi nodi
      consapevoli che, in tutta Europa, l'elemento tempo e' un aspetto molto
      importante per la differenza tra progressisti e conservatori .   
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