
| MOVIMENTI, AUTONOMIAE RAPPORTO CON LA POLITICAL’incontro
      organizzato attorno a questo tavolo, è una novità anche per noi
      redattori del “il ponte della Lombardia”.  Lo
      abbiamo convocato perché sentiamo alcune esigenze: l’uscire dalla
      generica richiesta di contributi che facciamo spesso a persone
      rappresentative di associazioni e movimenti; sottolineare la sempre
      maggiore importanza della società civile organizzata; far dialogare fra
      loro queste persone; inserire anche i compagni che, con fatica, danno
      forma al ponte in questo confronto. Introduco questo forum con una
      brevissima osservazione e con una domanda che spero stimolino i nostri
      ospiti.   Sono
      presenti: Luigi Lusenti, Lella Bellina, Luciano Guardigli della redazione
      del Ponte, Iole Garuti dell'associazione "Libera", Edda Boletti
      delle Girandole, Flavio Mongelli dell'Arci, Emilio Molinari di Attac.   *
      i testi degli interventi di Boletti, Mongelli e Molinari non sono stati
      rivisti dagli autori.     Luigi
      Lusenti   Dal
      6 luglio 2001, giorno del primo sciopero della sola Fiom, una serie di
      eventi (Genova, la marcia Perugia-Assisi, il Forum di Porto Alegre, il
      Congresso della Cgil, il Palavobis) segnano una ripresa della
      partecipazione e della militanza. Questa
      partecipazione e questa militanza che si sono espresse nelle diverse
      occasioni, sono sovrapponibili, sommabili, diverse, c’è un filo
      conduttore che le lega?   Edda
      Boletti   L’Associazione
      delle Girandole, di cui faccio parte, è nata grazie al governo Berlusconi:
      i falsi in bilancio, la sospensione delle scorte ai magistrati a rischio,
      le rogatorie sono temi su cui abbiamo deciso di mobilitarci. Dopo
      la legge sulle rogatorie abbiamo fondato l’associazione e organizzato
      una prima manifestazione davanti al Palazzo di Giustizia. L’ambito
      in cui ci muoviamo è quello della giustizia, tema sul quale già da
      prima, a Milano,  ci eravamo
      mosse. Noi abbiamo rotto il ghiaccio, poi sono venuti i girotondi (con i
      quali spesso ci confondono). Il
      due febbraio eravamo in Piazza Navona, dove Moretti ha un po’ oscurato
      il professore di Firenze Pancho e  Lidia
      Ravera che avevano già espresso molte delle cose che lui ha poi
      platealmente detto. Se Fassino e Rutelli, dopo quello che avevano sentito,
      invece di leggere i discorsi che si erano preparati, avessero mediato un
      po’, il “caso Moretti”, probabilmente non sarebbe esploso. Tornando
      indietro: nel mese di dicembre avevamo interpellato i partiti di sinistra
      di Milano per coinvolgerli, senza ottenere alcuna risposta positiva; a
      gennaio c’è stato  il
      Palavobis e allora tutti si sono accodati, tanto che sabato scorso
      all’iniziativa organizzata dall’Ulivo a Sesto San Giovanni, non
      c’era nessuno che non avesse pensato e promosso l’incontro del
      Palavobis. In
      realtà la maggior parte del lavoro lo abbiamo fatto noi, poi sono
      arrivati Flores d'Arcais e gli altri. Adesso
      è cambiato l’atteggiamento dei partiti nei nostri confronti: ci
      cercano, ci parlano. Vogliamo
      collegarci ai girotondi,  a
      Libera e ad altre associazioni, ma non vogliamo essere strumentalizzati e
      non vogliamo capi.   Flavio
      Mongelli   I
      movimenti nati nell’ultimo periodo hanno per matrice comune non tanto i
      contenuti quanto la speranza nella possibilità di un cambiamento.  E’
      stato sostanzialmente il movimento internazionale contro la
      globalizzazione neoliberista a dare l’avvio, a segnare la svolta dalla
      rassegnazione alla fiducia. Dopo
      l’89, la fine dell’Unione Sovietica e la caduta del muro di Berlino,
      si era spenta un po’ anche la speranza del cambiamento, non perché
      stesse da quella parte, ma perché le idee neoliberiste acquistavano
      ancora più forza e c’è stato come un tunnel in cui tutti sono entrati.
      Il movimento internazionale contro il liberismo ha rappresentato una novità
      ed ha restituito la fiducia nella possibilità di cambiare.  Una
      fiducia più laica rispetto a prima (infatti lo slogan di Porto Alegre è
      “un altro mondo è possibile”, non “il sol dell’avvenire”). Dal
      giudizio negativo sulle condizioni di vita nel mondo e su tante situazioni
      insopportabili (la povertà, ogni tipo di attacco alla democrazia e così
      via)  nasce la reazione e un
      nuovo scatto di cittadinanza attiva. Questo
      mi pare il primo  elemento che
      collega situazioni diverse. Ce
      ne è poi un secondo: i movimenti nascono quando si registra un gap tra la
      sensibilità, le idee che cominciano a percorrere un numero sempre
      maggiore di persone e la rappresentazione politica di queste idee. Ed i
      partiti, il sistema di rappresentanza delle idee sul terreno politico, si
      sono dimostrati arretrati rispetto a quello che stava succedendo nella
      realtà. I
      movimenti nascono perché c’è una critica su diversi aspetti del
      funzionamento della società e una domanda di politica diversa, di
      rappresentazione diversa, di lettura, di categorie di interpretazione
      diverse della realtà.     Iole
      Garuti   Per
      rispondere alla domanda se questi movimenti sono collegabili sarebbe bene
      vedere come sono nati e soprattutto di quali problematiche si occupano. A
      me sembra che i grandi temi su cui le persone si sono attivate siano tre:
      la giustizia (l’uguaglianza dei diritti e dei doveri), il lavoro
      (l’art. 18), la pace (e dentro la pace i rapporti internazionali e la
      globalizzazione). I
      movimenti possono collegarsi, e quindi unirsi, se comprendono che pur nel
      rispetto delle rispettive specificità c’è un filo rosso che li unisce,
      cioè l’idea di un modello di vita basato sul bene collettivo e non
      sull’arricchimento individuale. L’uguaglianza dei diritti è
      importante tanto per la giustizia quanto per il lavoro e per chi vuole la
      pace. Bisogna lavorare perché i diversi movimenti riescano a collaborare. Io
      vorrei discutere un problema, già citato, che sta a monte, quello dei
      rapporti fra i movimenti e i partiti, naturalmente i partiti vicini a
      queste tematiche: perché i partiti della sinistra, soprattutto il più
      rappresentativo della sinistra, i DS, sono stati così cauti, timidi,
      incerti nel capire l’importanza dei movimenti? La mancata partecipazione
      ufficiale alla manifestazione di Genova contro il G8 è stata
      significativa. E questa astensione dalle manifestazioni non è capitata
      soltanto di recente. Per quanto riguarda la giustizia ad esempio, mentre
      nel ’92-‘93 i partiti della sinistra e la Camera del Lavoro erano in
      piazza a favore di Mani Pulite, negli anni successivi non c’erano più e
      io non ho ancora capito il perché. E’ più facile invece capire le
      esitazioni rispetto a cortei per la pace: avendo detto sì alla guerra
      ‘per motivi umanitari’, fare contemporaneamente una manifestazione per
      la pace veniva male. Per
      quanto riguarda i problemi del mondo del lavoro poi è da chiarire il
      rapporto con il sindacato: se si accusa Cofferati di essere un
      conservatore si lascia infatti supporre che ci sia una divergenza 
      netta tra partiti della sinistra ‘innovatori’ e movimento
      sindacale. Accennavo
      prima a un modello di vita proprio della sinistra, che richiede una
      strategia e un metodo politico diverso: diversità che dovrebbe essere
      costante e sempre visibile, anche nell’azione politica quotidiana.
      Mirare solo a ottenere qualche voto in più porta a una politica di
      piccolo cabotaggio; bisogna invece proporre un’idea alta della politica,
      perseguire obiettivi fondamentali per l’esistenza delle persone, fare
      una politica di valori, se si vogliono ottenere o recuperare ampi
      consensi. E qui i movimenti danno indicazioni chiare, hanno proposto temi
      altissimi, questioni di principio,  I
      movimenti hanno funzioni diverse dai partiti e sono diversi i temi sui
      quali si mobilitano, ma questi temi sono perfettamente compatibili, quindi
      i movimenti si possono unire, anzi bisogna trovare il modo perché succeda
      (anche se sinceramente non vedo facilmente Flores d'Arcais con Agnoletto…) Quanto
      alla globalizzazione, è prevedibile che l’ideologia marxista prima o
      poi tornerà in certi paesi, dove lo sfruttamento dei lavoratori è la
      regola (anche in Italia, se continuiamo così). Credo che i partiti della
      sinistra debbano tornare ad avere valori indiscutibilmente e apertamente
      di sinistra: uguali diritti per tutti e un 
      miglioramento delle condizioni di vita che non veda alcuni favoriti
      rispetto ad altri: se si va avanti, si va avanti tutti insieme.      Flavio
      Mongelli   C’è
      un altro elemento che accomuna i movimenti: il protagonismo dei giovani. I
      giovani,  che hanno categorie
      di interpretazione della realtà meno inquinate dalle esperienze, sono
      capaci di indignarsi naturalmente per le ingiustizie, la povertà nel
      mondo. Una indignazione vera, come reazione disincantata rispetto ai
      soprusi. La stessa che aveva portato noi ad essere cittadini attivi, la
      stessa che noi stiamo recuperando oggi.      Emilio
      Molinari   Sono
      d’accordo con Mongelli sul fatto che la ripresa di un interesse
      politico, di un protagonismo, nasce perché c’è stato un movimento che
      ha affrontato i temi del pianeta ed ha detto a tutti: non va bene una
      politica  che si poggia su relazioni interpartitiche, interpersonali,
      in una dimensione ristretta che non parla del mondo, e non parlando del
      mondo non parla neppure del nostro paese. Si
      possono discutere i modi, le forme, ma questa attenzione al pianeta è
      stato un segnale per tutti  della
      necessità di cambiare. Vorrei
      indicare alcuni elementi che distinguono i movimenti in atto nel nostro
      paese, che potrebbero anche diventare dati su cui ragionare insieme. Il
      cosiddetto “movimento no global” è l’unica forma della politica che
      include il mondo. E’
      drammatico, ma se pensiamo a uomini politici capaci di ragionare oltre i
      confini. purtroppo, dobbiamo ritornare a Mitterand, a Khol, e in Italia,
      ad Andreotti e a Craxi, dopo di loro la caduta è stata spaventosa. Allora,
      ci sono un movimento che ragiona in una dimensione internazionale e un
      altro che possiamo individuare nell’area Palavobis, girotondi, ecc.: i
      primi si domandano se è possibile costruire un mondo diverso da questo, i
      secondi se è possibile avere un governo meno indecente di questo. Non
      sono solo temi, sono orizzonti diversi che rischiano di non trovare
      convergenza, mentre, da una parte e dall’altra, bisogna compiere uno
      sforzo al dialogo: i grandi temi di cosa succede nel mondo devono essere
      posti, ma ignorare i temi  posti
      degli altri è un errore.  Credo
      che il movimento no global soffra di una forma maggioritaria di rifiuto
      per la politica; tra l’altro, sembra paradossale, ma questo
      atteggiamento è esasperato nella componente cattolica: la politica faccia
      ciò che vuole, noi facciamo le cose concrete.  Anche
      chi vuole cambiare il mondo deve porsi il problema di una relazione con le
      istituzioni e la politica, con chi governa.  Sto
      nel movimento no global e a loro lo dico tutti i giorni, vorrei dirlo
      anche agli altri, al movimento operaio, così come al movimento sulla
      giustizia. Ci sono problemi di giustizia o di diritti che oggi vanno
      ampliati. Allora
      dico a chi era al Palavobis che è una questione di giustizia,
      sicuramente, pretendere che Berlusconi sia trattato come un altro
      cittadino, ma è un problema di diritto e giustizia anche quello posto
      dall’art.18; e dico al movimento operaio che è una questione di diritto
      e di giustizia la questione dell’ acqua e della sua privatizzazione, che
      viene posta solo dal movimento no global. In
      Sicilia l’acqua oggi non c’è, ma dopo la finanziaria di Berlusconi,
      l’acqua verrà privatizzata in tutto il paese e, nel giro di due anni,
      diventerà proprietà di tre o quattro multinazionali.  E’
      un problema di diritto e di giustizia spaventoso, ma non ne parla nessuno.
       Può
      essere questo un terreno su cui i diversi movimenti si possono
      confrontare?  Non
      c’è ideologismo, c’è una visione del mondo, 
      dei diritti e della giustizia che va rivista, riconsiderata, che
      non può essere legata solo alle questioni del lavoro, solo alle questioni
      di un governante che fa ciò che vuole. Terza
      considerazione: Berlusconi Berlusconi
      rappresenta una anomalia oppure il suo aspetto di anomalia personale fa
      parte di un disegno che comincia ad essere globale? Gli
      Stati Uniti hanno un presidente che oltre a subordinare le sue scelte ali
      desideri dell’apparato industriale militare e dei petrolieri (altro che
      conflitto di interessi) è un pericolo spaventoso per l’umanità; in
      Europa, dopo le elezioni in Francia, Danimarca, Olanda, alcune tendenze
      vengono avanti; nel nostro paese, i fatti di Napoli e Genova ci parlano di
      una modifica dello stato di diritto nel rapporto tra il cittadino e lo
      stato. C’è
      una eguaglianza di diritti dei ricchi che non rispettano le regole della
      giustizia ma c’è una eguaglianza dei poveri che vengono sempre più
      esclusi da ogni forma di diritto. Ormai
      siamo in un mondo un cui i paesi democratici e civili stanno mandando al
      diavolo cento anni di storia del diritto, nei processi, con le leggi
      anti-terrorismo, con i centri di detenzione. La
      convenzione di Ginevra e tutte le convenzioni sui diritti umani sono state
      stracciate.  Berlusconi
      si colloca in questa tendenza generale, di cui anche noi dobbiamo
      discutere, sapendo che partiamo da bisogni e sensibilità diverse ma che
      dobbiamo individuare tre o quattro temi che insieme dobbiamo approfondire.     Lella
      Bellina   Mi
      collego all’ultima parte del ragionamento di Molinari per fare
      un’affermazione un po’ provocatoria: auguro lunga vita a Berlusconi
      (fino alla fine della legislatura). Gli
      auguro lunga vita perché è il soggetto che in Italia, per la sua
      arroganza, per i sui modi, per la sua incapacità di porre le questioni in
      modo meno violento, ha fatto scattare la reazione. Nella scorsa
      legislatura a guida sono “passate” cose devastanti presentate in modo
      "migliore", meno fastidioso: Berlusconi ci indigna perché
      propone cose terribili e, in più, lo fa in modo fastidioso e plateale. Gli
      auguro lunga vita perché la sua presenza mi dà la speranza che i
      movimenti di opposizione oggi presenti riescano in un prossimo futuro a
      trasformarsi in qualcosa di solido, che abbia una sponda politica. Gli
      auguro lunga vita perché una caduta del suo 
      governo domani ed elezioni politiche dopo domani porterebbe
      probabilmente ad una finta unità della sinistra “contro il pericolo di
      destra” , che non solo non avrebbe in sé un’idea di società diversa,
      ma potrebbe produrre l’effetto (movimento no global a parte perché,
      vista la sua dimensione internazionale è meno direttamente collegabile al
      colore della compagine governativa) di pacificare il movimento sociale.  Se
      a Genova le forze dell’ordine non avessero massacrato i manifestanti,
      probabilmente il 21 luglio non saremmo stati trecentomila e se non
      avessero insistito, sicuramente nei giorni successivi le piazze d’Italia
      non si sarebbero riempite. Se
      la questione dell’art. 18 non fosse stata posta in modo così violento,
      probabilmente  la
      manifestazione del 23 marzo a Roma non ci sarebbe stata.  Se
      non ci fosse stata tanta arroganza sulle questioni della giustizia al
      Palavobis, probabilmente, non sarebbe successo nulla (a proposito di
      giustizia: considero l’esistenza del centro di via Corelli un cosa
      incivile almeno tanto quanto quella per cui quarantamila persone sono
      andate al Palavobis…)  Insomma,
      Berlusconi ci sta paradossalmente  dando
      una mano….. Ho
      fatto questa lunga premessa per tornare al tema dell’autonomia dei
      movimenti rispetto al sistema politico e, soprattutto, al Governo. Il
      Governo D’Alema ha orgogliosamente partecipati alla guerra nel Kosovo,
      agghiacciante tanto quanto la guerra in Afghanistan del governo Berlusconi.
       Ma
      alla marcia Perugia Assisi, nell’anno della guerra nella ex Jugoslavia
      eravamo, forse, in diecimila. Alla Perugia Assisi del 14 ottobre dello
      scorso anno hanno partecipato  trecentomila
      persone compreso D’Alema, compreso Fassino, compreso Rutelli, compresi i
      Ds, compreso Sergio Cofferati. La
      Cgil, che considerò la guerra in Kosovo una “contingente necessità",
      nel febbraio di quest’anno ha concluso il suo congresso sostenendo che
      bombardare l’Alghanistan è stato un errore. Guerra
      orrenda era la prima, guerra orrenda è stata questa, orrende sono tutte
      le guerre. Eppure
      una differenza, evidentemente, c’era…. Sulle
      questioni del lavoro il governo di centro sinistra ha aperto la strada ai
      provvedimenti peggiori che adesso si stanno concretizzando: flessibilità,
      contratti a termine, il manifesto D’Alema-Blair identico al manifesto
      Berlusconi-Blair. Ma
      allora perché, con il governo di centro sinistra,  il sindacato non è sceso in piazza, il Palavobis non si è
      riempito, non ci sono state manifestazioni di indignazione spontanea?  Ecco
      la mia domanda. Sono
      davvero autonomi questi movimenti dalla politica e dalla coalizione che
      governa il paese, o sono in qualche modo influenzabili, oppure sono
      talmente spontanei da essere vittime di come le cose vengono presentate
      piuttosto che coscienti della sostanza delle cose?     Edda
      Boletti   Quando
      c’era il governo di centro sinistra abbiamo tentato di mobilitarci, ma
      la gente non partecipava. Per
      me, ad esempio, era stato uno scandalo la bicamerale di D’Alema, così
      come il 513 sulle questioni di mafia, 
      ma ricordo che alle iniziative 
      fatte davanti al Palazzo di Giustizia eravamo in pochissimi.Allora
      veniva spenta qualsiasi cosa su muovesse nella società civile (penso che
      per Iole Garuti sarà stato lo stesso con Libera).      Lella
      Bellina   Quindi
      quel che fa muovere la gente è la repulsione per Silvio Berlusconi?     Luciano
      Guardigli   Non
      solo per Silvio Berlusconi. Credo che più in generale sia emerso un
      errore di strategia del capitalismo. Fino alla fine degli anni Ottanta i
      blocchi tenevano fermo il mondo. Finita quella situazione c'è stato il
      lento impugnare la situazione da parte del pensiero unico americano, ma
      adesso il mondo intero ha fatto irruzione dentro la politica. Si è aperta
      una fase di forte partecipazione, perché s'era chiusa la speranza, pur
      gestita malissimo in URSS, di un'alternativa possibile. Per parlare del
      mio mestiere, per esempio, erano anni che non uscivano libri che
      parlassero in termini globali, che parlassero del mondo. Di recente il
      dibattito si è ampliato. In Africa moriva più gente di oggi e pochi da
      noi si interrogavano sulla soluzione possibile di quei problemi,
      sembravano lontani. L'idea
      di questo capitalismo è di un unico terzo di umanità che vive
      decentemente in un mondo in sfacelo. Questa è la scelta per cui si
      cercano complici nelle società cosiddette evolute. Neanche le materie
      prime africane erano considerate più di qualche massacro di persone che
      valgono ancora meno. L'Africa sembrava affondare. Ma è scattato un
      rifiuto etico più che politico, soprattutto in Europa. Oggi si ha la
      sensazione che la gente, in particolare i giovani, si rifiuti di pensare
      che l'Africa sia ormai un esotico relitto dove andare ben vaccinati a
      vedere com'era il mondo. Proprio
      in questi giorni, per esempio, ci sono stati incontri politici tra
      l'Europa e il Sud America, cosa che non era immaginabile prima, ma che dà
      qualche speranza. Se l'Europa si deciderà a rappresentare un'alternativa
      politica e culturale agli Stati uniti potrebbe riaprirsi uno spiraglio, ma
      devono subentrare problemi economici di sviluppo per il nostro continente,
      gli USA devono arrivare alla minaccia per fermarci. Il
      nostro orizzonte oggi è l'Europa. Per noi è stata una iniezione di
      torpore il governo di centro sinistra: sono andate deluse molte
      aspettative, ma l¹obiettivo dell'Europa ha tenuto. Sul piano del lavoro,
      quindi dei rapporti tra le persone, invece, non si è avuto il coraggio
      (del resto ce ne vuole molto) per progettare un'alternativa di politica
      sociale al pensiero unico statunitense. Basta leggere Bukowskji per capire
      quale futuro spetta ai lavoratori subordinati nel modello americano. Su
      questo piano, tuttora, né l'Europa, né, nel suo piccolo, l'Ulivo ci
      rassicurano. Sarà
      vero anche che i lavori pubblici che inaugura Berlusconi li ha fatti il
      governo di centro sinistra, ma è anche vero che sulla repressione a
      Napoli, per  il G8, 
      vede responsabilità gravi del governo di allora, che sulla
      giustizia i primi cedimenti sono stati lì, che D'Alema 
      avrebbe forse concesso ai radicali 
      l¹articolo 18. C'era
      una sorta di stant by del movimento di fronte a tutto questo. L'irruzione
      del mondo nella politica, i movimenti, in qualche modo ci ha aperto un
      po'gli occhi. Il
      vero problema  è  questa teoria
      dei due terzi, perché poi non sai dove è il limite. La
      mattina alle 6 Milano è piena di extracomunitari che vanno a fare le
      pulizie negli uffici, questo esercito silenzioso è l'unico che rimarrà
      fuori? Se
      è l'unico che rimarrà fuori il centro destra continuerà ad avere voti. Ma
      se cominci ad attaccare i diritti non solo dei metalmeccanici, ma dei
      bancari, dei giornalisti, l'attacco allo stato sociale si rivela in tutta
      la sua asprezza anche perché la caduta delle socialdemocrazie toglie
      l'alibi a questo sistema. C'è
      una offensiva culturale dell'Occidente, e Prodi e gli altri sono dentro
      questa cultura.     Flavio
      Mongelli   Credo
      sia ingiusto pensare che il governo Berlusconi sia in qualche modo la
      continuità del governo D’Alema. Ci sono differenze profonde.  Anche
      se la bicamerale ci ha indignato, l’intervento massiccio del governo
      Berlusconi sulla giustizia è come un carro armato rispetto ad un colpo di
      pistola: il falso in bilancio; la questione dei capitali all’estero; il
      tentativo di condizionare la magistratura; l’obiettivo di ridurre il
      potere nelle sole mani del governo, rispetto alla magistratura ma anche al
      ruolo del parlamento. Dietro  a
      tutto questo c’è un disegno di modifica del patto costituzionale, delle
      regole fondanti la nostra democrazia. Nel
      governo precedente questo progetto non c'era, così come non c’era un
      attacco così forte ai diritti dei lavoratori; in più, in un
      encefalogramma piuttosto piatto e poco coraggioso, ci sono stati anche
      elementi positivi come la riforma del welfare,  Oggi
      siamo in presenza di un disegno eversivo forte. La prima repubblica è
      finita, la seconda non è ancora nata. Mentre alla base della prima
      repubblica c'erano  i valori
      nati dalla resistenza antifascista, non c’è una convergenza di tutti
      rispetto a quelli che dovrebbero essere i pilastri della seconda
      repubblica. Berlusconi
      sta costruendo la seconda repubblica non con un progetto istituzionale di
      ampio respiro da discutere con le persone, ma un pezzo alla volta, sta
      modificando l’assetto costituzionale del nostro paese. Per questo non si
      possono fare paragoni tra quello che sta facendo questo governo e quel che
      ha fatto il precedente. In
      questo quadro, l’aspetto di rottura vera è stato l’emergere del
      mondo.  Nessuno
      si aspettava trecentomila persone a Genova, così come i milioni di
      persone nelle piazze nei giorni successivi (centomila a Milano,
      cinquantamila a Genova, centomila a Roma, ecc.)  C’è
      stata una ribellione molto forte alle violenze di Genova ed è emersa una
      nuova sensibilità, una nuova consapevolezza, percepita grazie alla
      capacità di vedere il fallimento di una politica della quale il governo
      di centro sinistra rappresentava la fine del percorso. Il fallimento dell'
      ipotesi neoliberista  si
      evidenzia proprio adesso: l’economia americana che non tira,
      l’Argentina, che doveva essere un modello, che crolla, i problemi che
      restano irrisolti. Sono
      d’accordo con Molinari: Berlusconi rappresenta una grande parte della
      popolazione italiana che  l’ha
      votato perché si riconosce nel suo modello. E
      allora, forse, un modo per leggere Berlusconi e l'esito delle elezioni in
      l’Olanda in Francia è che l’Occidente è malato di localismo. Quando
      sono stato a Porto Alegre, parlando con un contadino dei Sem terra mi sono
      reso conto che lui vedeva se stesso, il sud del mondo, ma
      contemporaneamente vedeva il Nord (gli tolgono l’acqua, non ha la terra
      e chi interviene sulla sua vita quotidiana viene dal fuori,
      dall’Occidente, è la multinazionale). Noi vediamo sono noi stessi:
      culturalmente stiamo andando verso un sistema di apartheid e prevalgono i
      sentimenti egoistici, la conservazione dei privilegi acquisiti. E
      questa forma di egoismo ed egocentrismo ci impedisce di vedere le
      conseguenze di quello che facciamo. Kyoto è un esempio: impestiamo tutto
      il mondo, provochiamo disastri nel pianete ed i governi non fanno niente
      per modificare la loro azione in modo radicale. C’è una difficoltà a
      vedere la globalità del nostro agire perché ci interessa 
      solo ciò che ci dà e mantiene ricchezze e privilegi. Ma
      i Berlusconi, i partiti che nascono nell’arco di tre mesi, non possono
      essere etichettati soltanto come razzisti o fascisti perché sono molto
      lontani da quel modello: esprimono la volontà di chiudersi e mantenere i
      privilegi. Lo
      vedete anche in società lontane da noi.  Uno
      dei pericoli di Israele e ciò che la porterà alla rovina è questo non
      vedere l’altro o vederlo soltanto come nemico o potenziale nemico: è la
      chiusura un se stessi che manda in crisi le società. Viceversa,
      ciò che può permettere ai movimenti di crescere insieme e contaminarsi
      è l'acquisizione da parte di tutti di una dimensione globale, non
      localistica. Il localismo, che sta alla base del fenomeno della lega e
      dell’atteggiamento nei confronti degli immigrati è il vero male: è
      l’incapacità, il rifiuto di leggere una realtà che potrebbe mettere in
      discussione le sicurezze che ci siamo costruiti; è l'atteggiamento che ci
      porta ad affermare il nostro diritto a costo di negare quello degli altri. Porre
      con forza la questione dell'uguaglianza dei 
      diritti è un modo per non essere localisti.  I
      temi su cui i movimenti possono dialogare sono da una parte
      l’universalità dei diritti, dall’altro la possibilità di vedere 
      globalmente il mondo ed i problemi.     Lella
      Bellina   Sono
      d’accordo con l’esigenza di raccordare le idee, trovare un filo
      conduttore che permetta ai movimenti di dialogare.  Così
      come convince il ragionamento sul fatto che 
      una visione globale può permettere ai movimenti di parlare a
      interlocutori che storicamente non vengono da esperienze e forme di lotta
      di movimento ed anche di durare nel tempo (perché abbiamo visto movimenti
      nascere e spegnersi nell'arco di una stagione). Il
      movimento no global, ad esempio, non è nato a Genova, non è nato a
      Seattle, è frutto di un percorso, si è sviluppato, ha posto delle
      questioni.  Il
      nodo però sul quale, volenti o dolenti, dovremo confrontarci, non fosse
      altro che perchè la democrazia nel nostro paese prevede che prima o poi
      si voti, è il rapporto con la politica che mi pare tutti quanti stiamo un
      po’ eludendo. Le
      rivendicazioni sacrosante dei movimenti sulla giustizia, sull’acqua,
      sulla pace, prima o poi dovranno diventare domande che richiedono delle
      risposte che a loro volta impongono delle scelte rispetto ai partiti della
      sinistra e del centro sinistra. Schematizzo:
      siamo in grado come società civile, come movimenti, di porre tre, quattro
      questioni che riteniamo fondamentali ai partiti della sinistra e, se ci
      saranno risposte che non ci convincono, siamo in grado di dire loro:
      allora non ci stiamo? Per
      me il rifiuto della guerra come strumento di soluzione dei conflitti o,
      peggio ancora, come strumento di domino è questione fondamentale: su
      questo sono intransigente. In
      caso di elezioni non voterò un partito, una coalizione che ha appoggiato
      la guerra.  Così
      come non voterò chi propone di rilevare le impronte digitali agli
      immigrati. E
      se non avrò alternative non mi turerò il naso: mi asterrò. Sui
      gradi temi della pace, dei diritti, sulle questioni del lavoro e
      dell'immigrazione, sono in grado questi movimenti in qualche modo di
      "imporsi" ai partiti? Ho la sensazione di no.  I
      movimenti pongono questioni vere, rivendicazioni sacrosante, in alcuni
      casi, come il movimento no global sono anche in grado di fare proposte non
      rivoluzionarie ma alternative come la tobin tax. E poi? Vivo
      con preoccupazione lo scollamento tra un movimento di opposizione sociale
      che esiste, è variegato e forte, e un sistema politico che non è
      recettivo né corrispondente. Questo ragionamento vale anche per il
      sindacato. In
      questi ultimi mesi la Cgil, intercettando il reale sentire di chi
      rappresenta, si è accreditata come il soggetto che più limpidamente e
      rigorosamente si oppone all'attacco ai diritti del lavoro di questo
      governo e mai, come ora, si è attestata su una linea "di
      sinistra". Peccato che il suo funzionamento interno non si sia
      minimamente modificato e che la costruzione dei nuovi gruppi dirigenti
      dopo il congresso avvenga secondo dinamiche asfittiche, autoreferenziali e
      assolutamente impermeabili a ciò che di nuovo è intervenuto. C'è
      un altro elemento, oltre a quelli già citati, che ha accomunato finora i
      movimenti: l'assenza di leader onnicomprensivi, il loro non identificarsi
      in una singola persona.  Eppure
      dopo il 23 marzo, è a Sergio Cofferati (e non, ad esempio, alla Cgil come
      soggetto collettivo) che tutti guardano, attribuendogli virtù salvifiche. Non
      credo all'uomo della provvidenza, comunque si chiami.  Per
      questo pongo un'altra questione. E' possibile che i movimenti in qualche
      modo irrompano nella sfera della politica non solo con i propri contenuti
      ma anche segnando la formazione dei gruppi dirigenti? 
           Emilio
      Molinari   La
      domanda che hai posto all'inizio, cioè grado di autonomia e rapporto tra
      movimenti e sfera politica è un po' provocatoria, ma anch'io me la sono
      posta.  Ad
      esempio l'altra sera a Milano c'è si è tenuta una affollata assemblea
      con Santoro al termine della quale è bastato che Santoro nominasse
      Cofferati, per far scattare in piedi tutti i presenti.  Ho
      la netta sensazione che ci sia una sinistra ed anche una parte del
      movimento no global, disperatamente alla ricerca dell'uomo della
      provvidenza, dell'uomo che "ci fa vincere" secondo tutti i
      meccanismi mass mediatici. Adesso hanno deciso che quell'uomo è Sergio
      Cofferati.  Il
      problema non sono le sue personali qualità, né se alle elezioni del 2005
      avremo Sergio Cofferati come leader politico. Il problema è, ancora una
      volta, come arriveremo a quella scadenza, su quali contenuti, con quali
      conti fatti col passato, attraverso quali passaggi democratici e quanto
      conteranno, a quel punto,  i
      movimenti.  Su
      questo dobbiamo interrogarci tutti.  Siamo
      a tal punto alla ricerca dell'uomo giusto da subordinare a questo anche la
      nostra autonomia nel muoverci, nel relazionarci? Vogliamo continuare ad
      etichettare gli altri movimenti oppure cerchiamo il confronto, la ricerca
      di contenuti comuni? Il
      pensare che c'è un salvatore secondo i meccanismi mediatici è un errore,
      così come è un errore continuare a pensare che la destra abbia vinto
      perché ha condizionato con i suoi televisori il cervello della persone. Credo
      che Berlusconi e la destra che ci governa, a differenza della sinistra,
      abbiano un progetto e dei contenuti politici e una cultura fortemente
      radicata in parte della popolazione del nostro paese e dell'Europa:
      incidono su cose concrete, reali, su immaginari collettivi materialissimi
      e hanno una strategia politica. Se
      continuiamo a pensare che vince chi meglio si vende dal punto di vista
      mediatico, rischiamo di essere gli unici alla ricerca del miglior
      "venditore", perché non abbiamo più idee politiche,
      radicamento sociale, contenuti. Sono
      tra quelli che pensano che una relazione con la politica vada tenuta
      sempre, ma vorrei si facesse uno sforzo per produrre contenuti, intrecci
      di cultura, contaminazioni reciproche in grado di partorire fatti concreti
      capaci di condizionare le scelte politiche. Sono
      convinto che dovremmo avere anche la forza di formare i partiti perché
      quello che sta accadendo in Europa è il segnale che si stanno dissolvendo
      le forme politiche del novecento. In
      Europa stanno sparendo le socialdemocrazie e i comunisti, mentre i verdi
      non sono stati una alternativa. Non possiamo fare finta che questo non
      succeda e continuare a riproporre tentativi che stanno dentro questa
      logica. Dobbiamo ricostruire sul serio, a partire dai contenuti che stanno
      dentro i vari movimenti, una nuova forma di ragionamento moderno valido
      per gli anni duemila. I
      movimenti, nel confronto e nel conflitto tra loro, servono a conquistare
      cose concrete, materialissime ma anche a riscrivere la cultura, a
      partorire espressioni politiche. Lamento
      l'assenza di relazioni orizzontali frequenti tra no global, movimenti
      sulla giustizia, Palavobis, movimento operaio. Bisogna andarle a ricercare
      bypassando anche le direzioni politiche tradizionali.  Anch'io
      sono convinto che si debbano individuare quattro o cinque temi che diano
      un segno di cambiamento, che marchino l'agenda politica e rappresentino
      una alternativa alla destra. Ci
      sono già cose concrete su cui confrontarsi: tobin tax, art.18, e poi una
      questione delicata che bisogna però cominciare ad affrontare, la
      questione della pace e della guerra. Non
      parliamone in astratto: se bombardano l'Iraq, cosa facciamo? Facciamo in
      modo che i movimenti ne parlino tra loro e condizionino il dibattito
      politico.  Altrimenti,
      lo dico brutalmente, Cofferati e Prodi saranno in difficoltà a dire
      "no" alle bombe che cadranno. Se
      c'è un problema di autonomia dei movimenti dalla sfera della politica, c'è
      una autonomia della sfera della politica dalle esigenze globali
      dell'impero e degli organismi internazionali come il Wto? Non so fino a
      che punto. La guerra è quindi uno spartiacque, incontriamoci, facciamone
      un oggetto di discussione. L'altro
      nodo delicato è quello delle privatizzazioni, che se si possono tollerare
      in alcuni settori, in altri sono assolutamente da contrastare. Considero
      terrificante, ad esempio che nel 2004 tutta l'acqua di questo paese,
      assieme a tutta l'acqua del mondo, finirà nelle mani di multinazionali
      come la Nestlè: è contenuto nella Finanziaria, votata da tutti, tranne
      Rifondazione. E',
      oppure no un problema di democrazia il fatto che di questioni come questa
      nessuno parli, neppure sui giornali?  La
      finanziaria stabilisce inoltre che i grandi ospedali, gli istituti di
      ricerca di carattere scientifico come il S.Matteo di Pavia vengano messi
      sul mercato: si vende la ricerca scientifica. Così come la scuola: mentre
      in America tornano a finanziare la scuola pubblica, noi insistiamo sulla
      strada della privatizzazione del sapere. Su
      queste cose sarebbe bene che i movimenti iniziassero a discutere: così si
      misura anche l'autonomia di ciascuno rispetto ai fenomeni della
      globalizzazione,  si
      contengono le spinta estremiste,  ci
      si può confrontare con i lavoratori. Un
      altro nodo di fondo, sul quale si riaggrega nel mondo la forza della
      destra, è quello dell'immigrazione. Certo, non è il più semplice da
      trattare, probabilmente, però, aggredire la destra su altre cose che
      contaminano trasversalmente può produrre dei risultati anche su terreni
      spinosi. Ripeto,
      la questione dell'acqua, della scuola, anche della guerra (dove non è così
      netta la separazione tra sinistra e destra) sono temi su cui si può
      rompere un fronte, contaminare, e questo può permetterci di reggere anche
      su terreni dove più è difficile incidere.      Iole
      Garuti   Torno
      alla prima domanda, che mi pare interessante: perché i movimenti sono
      nati dopo la fine del governo di centro sinistra mentre prima non è
      successo quasi nulla? Anzitutto
      bisogna ricordare che era la prima volta che il centro sinistra andava al
      governo, e quindi si era creata una grandissima aspettativa; poi che era
      un governo debole, con una maggioranza risicata, per cui sono scattate
      giustificazioni tipo "fanno quello che possono" e abbiamo
      mandato giù rospi incredibili. Personalmente,
      come molti altri, mi sono trovata in contrasto con la linea del governo di
      centro sinistra soprattutto sulle questioni della giustizia, ma anche
      sulla partecipazione alla guerra nei Balcani, e sulla parità fra scuola
      pubblica e scuola privata. A volte però ci sorgeva un dubbio: non sarà
      che essendo al governo non si può fare diversamente?  Lo
      stato d’animo più diffuso tra i militanti era più o meno questo:
      sarebbe bello dire e fare cose di sinistra (cioè realizzare le idee di
      sempre) ma adesso siamo al governo e dobbiamo risolvere il problema del
      deficit di bilancio, curare i rapporti internazionali, ottenere se non
      l’appoggio almeno la neutralità della Chiesa, ecc. All’inizio c’era
      in tutti una grande speranza e c’è stato un lungo periodo di attesa,
      poi D’Alema ha fatto la bicamerale ed è successo quello cui accennava
      Lella: quelli che erano in disaccordo se ne sono andati, le unità di base
      si sono svuotate, alle elezioni si è prodotto un fortissimo
      astensionismo.  E
      tuttavia il "quello non lo voto perché dice cose che non
      condivido", se è una scelta comprensibile dal punto di vista della
      coerenza personale, dal punto di vista politico è una scelta pericolosa,
      anzi decisamente negativa, perché regala un vantaggio all’avversario.
      Sta finalmente cominciando una discussione sugli effetti del maggioritario
      e mi auguro che si arrivi presto a modificare il sistema elettorale, perché
      quello di adesso è una sciagura. L’elettore infatti non può scegliere
      il candidato della lista, deve votare quello che altri, i partiti, hanno
      scelto per lui. E le scelte sono fatte sulla base dell’orientamento del
      collegio alle elezioni precedenti, quindi se uno abita in un collegio
      tendenzialmente di centro o di destra (non è difficile, a Milano) non avrà
      mai la possibilità di votare un candidato davvero di sinistra, perché
      non glie lo presentano nemmeno, in quanto è ovvio che verrebbe bruciato.
      Però si può pretendere che possa votare almeno per un candidato di
      centro onesto e coerente. E qui gioca il modo di rapportarsi al centro,
      gioca l’opinione che ci si è fatta di quel mitico centro che ci si
      affanna ad inseguire, convinti che “le elezioni si vincono se si vince
      al centro”. Si
      è detto, e si continua a dire, che “siccome il centro è lassista e
      corrotto allora bisogna accantonare la questione morale perché solo così
      avremo i suoi voti”. Io dico che se uno è di centro, lassista o
      corrotto, si sente più sicuro se vota Berlusconi. E credo anche che ci
      siano molte persone del cosiddetto ‘centro’ che vorrebbero vivere in
      un paese dove le leggi valgano allo stesso modo per tutti; per questo non
      riesco a capire come un politico di sinistra 
      possa pensare di guadagnare voti al centro accantonando la
      questione morale e l’antimafia e proponendo candidati trasformisti o
      riciclati da esperienze non immacolate.  Un
      altro elemento che ha condizionato i militanti negli anni del governo di
      centro sinistra è l'abitudine alla delega e il rispetto della gerarchia,
      che dentro i partiti è fortissimo. Gli iscritti sono abituati ad andare
      alle manifestazioni se il partito o il sindacato le organizza, non gli
      viene in mente di poterle organizzare autonomamente (ed è anche giusto,
      altrimenti a che cosa serve far parte di un partito?). In questo c’è
      una notevole differenza fra chi è iscritto a un partito e chi fa politica
      o meglio prepolitica nella società civile, nel mondo
      dell’associazionismo.  Dopo
      che è andato al governo il centro destra molte cose sono cambiate, il
      primo segnale è venuto proprio dal mondo dell’associazionismo,
      soprattutto dai giovani, che si sono attivati contro il G8 per
      l’indignazione che la sofferenza di milioni di poveri del mondo aveva
      suscitato in loro. Si è prodotta una sorta di apertura delle dighe: le
      manifestazioni di piazza sono state organizzate in modo autonomo da molte
      associazioni, e gli iscritti ai partiti di sinistra hanno partecipato a
      titolo personale perché, eccetto Rifondazione, i dirigenti non erano
      d'accordo. E’ da qui che si è prodotta una divisione dei Ds in correnti
      (in realtà non sono considerate correnti, ma sono comunque un modo
      diverso di rapportarsi alla realtà presente e di prospettare il futuro):
      oggi esiste una sinistra Ds che ha preso forza proprio dopo l’esperienza
      di Genova e che si rifà in modo più chiaro ai valori della sinistra. I
      movimenti possono quindi influire anche sulle strategie e sulla dialettica
      interna dei partiti. Nei
      movimenti si possono riscontrare differenze non solo rispetto ai temi, ma
      rispetto alla quantità e tipologia delle persone che sono capaci di
      coinvolgere. Il
      movimento no global, che si è mobilitato prima degli altri (se partiamo
      dal 13 maggio 2001), parla di pace, di problemi internazionali, e ha
      portato alle proprie manifestazioni centinaia di migliaia di giovani
      sensibili alla sofferenza dei poveri del mondo, con una grande
      partecipazione di cattolici; il movimento sindacale ne ha portate in
      piazza milioni, prevalentemente di sinistra; il movimento per i temi della
      giustizia, che di solito coinvolgeva solo centinaia o poche migliaia di
      persone, ne ha riunito al Palavobis quarantamila, con grande
      partecipazione di moderati. Al
      Palavobis forse c'erano anche degli operai, ma la grande maggioranza erano
      intellettuali, insegnanti, studenti, persone che considerano il problema
      giustizia, cioè l’uguaglianza dei diritti e doveri di tutti,
      indispensabile per la collettività; i lavoratori si muovono invece prima
      di tutto contro la disoccupazione, per il diritto al lavoro, quindi per un
      problema che è al tempo stesso personale e collettivo. I no global per
      problemi non individuali ma addirittura planetari, che a livello nazionale
      trovano riscontro nel problema dell’immigrazione.  In
      Italia, e non solo, domina oggi il sentimento della paura. Si potrebbe
      avere paura, ad esempio, della mafia, invece no, si ha paura
      dell'immigrato. Anzi, la paura delle organizzazioni mafiose si
      personalizza contro il povero immigrato che vende le sigarette di
      contrabbando, e dei mandanti nessuno si preoccupa. Fanno più paura le
      mafie straniere, quella albanese in primo luogo, che le mafie di origine
      italiana. I mass media dal canto loro aiutano a identificare il criminale
      nella figura di ogni immigrato, col risultato di favorire una politica di
      repressione poliziesca che certamente non dispiace al governo di
      centrodestra. Abbiamo
      un bel dire ai ragazzini nelle scuole che l'immigrazione è ricchezza, che
      conoscere le altre culture è importante, che per il nostro paese è un
      fatto positivo, quando i genitori la pensano in modo diverso, dal momento
      che subiscono la suggestione di frasi tipo “gli immigrati portano via il
      lavoro”, “gli immigrati sono ladri e spacciatori”. Non è vero, ma a
      furia di sentirlo dire, magari con l’aiuto di un po’ di statistiche,
      ci si crede. E dopo l’11 settembre la paura è diventata terrore. A
      proposito dei mass media: Enzo Biagi diceva durante un dibattito qui a
      Milano che non crede che gli italiani abbiano votato Berlusconi perché ha
      il monopolio delle Tv; la libertà di informarsi c’è, se si vuole, il
      problema è quali informazioni si scelgono. Berlusconi è abile nel
      comunicare, certamente, ma ha anche una strategia abile, che mette al
      primo posto l’impatto delle notizie sui cittadini, sugli elettori. E’
      difficile che chi segue distrattamente la politica si renda conto degli
      effetti di alcuni provvedimenti, se non vengono sottolineati dalla Tv. E
      lui lo sa. Invece di cercare di cambiare la Costituzione con una
      commissione parlamentare, suscitando enormi discussioni a tutti i livelli
      e in tutto il paese, come ha fatto D'Alema, lui svuota la Costituzione
      dall’interno, senza (quasi) che nessuno se ne accorga, sfruttando gli
      spiragli che esistono nella Costituzione. Sulla composizione del Csm, ad
      esempio, nella Costituzione c'è scritto tutto, tranne il numero dei
      componenti: basta modificare i numeri e si modifica la struttura del CSM,
      senza bisogno di cambiare la Costituzione. Proprio quello che Berlusconi
      ha fatto. Naturalmente va detto che Berlusconi non ha neppure bisogno di
      scendere a patti con l’opposizione, come aveva fatto D’Alema, perché
      ha una maggioranza enorme. Perciò questo governo e questo Parlamento sono
      davvero molto pericolosi.  Pensare,
      come diceva prima Lella, "Mi auguro che Berlusconi rimanga", può
      avere effetti drammatici. E’ la vecchia politica del ‘tanto peggio,
      tanto meglio’ , ma io il meglio non lo vedo. E’ vero che se questa
      maggioranza resterà per tutta la durata della legislatura - è difficile
      prevedere il contrario -  ci
      sarà un consolidamento dell'opposizione: i partiti stanno già cambiando,
      anche grazie alla sferzata di Moretti, e prima o poi daranno certamente
      vita a una opposizione irrobustita, organizzata e strutturata; ma
      altrettanto certamente, alla fine, ci troveremo con un paese a pezzi. E’
      vero anche che le leggi si possono cambiare, per cui una volta finito
      questo governo ci si potrà mettere d’impegno e rifare tutto da capo, ma
      non sarà semplice. Dal punto di vista economico, ad esempio,  rischiamo di ritrovarci col paese  in condizioni tali che il prossimo governo di centro sinistra
      dovrà ricominciare con la politica dei sacrifici. Non
      si deve dimenticare che il governo di 
      centro sinistra si è trovato con un'Italia sull'orlo del baratro
      (questa è una attenuante per quello che non è stato fatto o per quello
      che è stato fatto male) e  ha
      dovuto imporre al paese dei sacrifici per risanarla. Quando le cose hanno
      iniziato a funzionare è arrivato Berlusconi con i suoi miraggi, dopo
      Berlusconi ci sarà un nuovo periodo grigio per la popolazione, che temo
      non capirà. Il rischio è forte.     Edda
      Boletti   Siccome
      continuo a sentir parlare di Moretti volevo precisare che la
      manifestazione a Piazza Navona è stata fortemente voluta da Nando Dalla
      Chiesa. All’inizio ha cercato dei parlamentari, ma non volevano
      assolutamente che facesse il comitato "La legge è uguale per
      tutti", hanno litigato, poi ha trovato i trenta disponibili.
      Quarant'otto ore prima della manifestazione Fassino e Rutelli hanno detto:
      allora falla con L'Ulivo. Ma piazza Navona è stata organizzata con un
      giro di email da Dalla Chiesa.      Luigi
      Lusenti   Mi
      interessa molto discutere di autonomia. Abbiamo parlato di autonomia della
      società civile, dei movimenti, poi le riflessioni fatte si sono sempre
      collocate all'interno di una area politica che è quella della sinistra. Ma
      Iole Garuti parlando delle forme della militanza e di come queste forme si
      sono espresse negli ultimi dieci anni, ha ricordato le tante trasversalità
      apparse, le contaminazioni con  culture
      diverse. C’è oggi una società civile che ha 
      una sua militanza e un suo modo di essere spesso alternativi a uno
      e all’altro degli schieramenti politici. Il nuovo di cui diceva Emilio
      Molinari può trovare legittimità in queste caratteristiche, 
      nuove non solo nei contenuti ma anche nei di modi di essere. C’è
      un’autonomia della società civile 
      rispetto sia i governi di destra sia i 
      governi di sinistra ma c'è anche una autonomia diversa: quella di
      un soggetto che si pone nello schieramento politico e sociale del paese
      con una sua forza e una sua identità. Tanto
      è vero che l'associazionismo rappresenta una fetta sociale che è
      trasversale, sinistra, ma anche cattolici e, su alcuni punti come la
      giustizia, la difesa dei valori costituzionali, c’è un’area moderata
      che però si mobilità.  La
      domanda allora è questa: che autonomia esiste nella società civile,
      totale da qualsiasi schieramento oppure di incalzo a uno schieramento di
      sinistra?  La
      novità di una società civile protagonista ma non allineata è pensabile
      all’interno di un sistema maggioritario, di un sistema dell’alternanza
      e non dell’alternativa?     Flavio
      Mongelli  E'
      un argomento complicato. Intanto
      bisogna partire dal fatto che i movimenti sono uno degli elementi fondanti
      e il sale delle democrazia e nascono quando c’è uno scarto tra paese
      legale e paese reale (il sistema di rappresentazione delle idee e delle
      volontà delle persone). Fingiamo
      sempre che i movimenti siano solo di sinistra: sono anche di destra, lo
      abbiamo visto anche tragicamente nella storia del nostro paese e
      dell'Europa. Rispetto
      al discorso dell'autonomia credo si debbano rispettare i differenti
      mestieri. Il
      movimento deve fare il movimento; il partito politico, all'alleanza, un
      insieme di partiti si devono occupare di fare proposte di governo.  C'è
      il tentativo in po' troppo forte in questo momento di caricare il
      movimento di compiti, ruoli, mestieri che non sono suoi: il movimento si
      occupa della droga, e allora deve occuparsi anche della sanità in regione
      Lombardia, delle occuparsi della scuola, ecc. ed esprimere la nuova
      leadership che cambierà il mondo. Mentre
      io voglio, a proposito del debito dei paesi poveri,  che il governo Berlusconi, quello che c'è, lo azzeri. E il
      movimento sulla giustizia vuole che la Costituzione, le leggi italiane
      siano di un certo tipo e parla a tutti, non solo alla sinistra, è
      intransigente nei suoi contenuti, si da degli obiettivi, fa delle
      battaglie ma cercando di parlare a tutti, di allargare l'area di consenso
      attorno ai suoi progetti; cerca di modificare la società perché questa
      acquisisca i suoi obiettivi ed i suoi valori. Come
      persona che sta dentro al movimento posso anche pormi il problema di far
      si (come in parte è successo sui temi della giustizia) che cambi anche
      l'atteggiamento politico del mio partito di riferimento o del sistema dei
      partiti o dell'Ulivo, ma sono due cose differenti. C'è
      un rapporto tra i due mestieri, quello del movimento e della
      rappresentanza del partito politico, ma guai se uno diventi l'altro o se
      la ricaduta è il fatto che abbiamo una nuova avanguardia. Genova
      è nata durante il governo di centro sinistra, discutevamo con Amato in
      difesa del diritto di manifestare. La manifestazione è avvenuta con il
      centro destra al governo ma la sua preparazione, i temi, le discussioni
      sono stati con il governo di centro sinistra. I
      movimenti già in qualche modo hanno cambiato la politica. Aprile per la
      sinistra è realtà più consistente di prima; i parlamentari che hanno
      votato per la guerra fanno autocritica; lo stesso sindacato non è più
      quello di prima. Si tratta di cambiamenti non ancora del tutto
      metabolizzati, ma c'è una nuova sensibilità, una apertura di confronto
      su questi temi. Ma
      questo cambiamento deve vivere nel rapporto tra due autonomie. Può
      darsi che dal movimento nascano leader o persone che poi si trasferiscono
      nella sfera politica ma sarebbe pericoloso caricare sul movimento compiti
      che non ha. I
      movimenti nascono sui alcuni contenuti, sui valori, su sensibilità, poi
      da cosa nasce cosa, le contaminazioni, anche le leadership, ma restano
      mestieri diversi. Sicuramente
      c'è il problema che dobbiamo porci singolarmente come persone e come
      persone che sono dentro o responsabili dei movimenti, di cambiare la
      politica perché abbiamo scoperto che chi ci rappresentava, chi aveva la
      leadership della sinistra era arretrato rispetto alla capacità di leggere
      la realtà. Se
      vogliamo fare esempi concreti: a Porto Alegre c'era il sindacato dei
      lavoratori uniti del Brasile, non c'era la Cgil; c'erano i partiti
      riformisti di quei luoghi, non c'erano i partiti dell'Occidente. Quindi
      c'è una incapacità di essere all'altezza e di assumersi la responsabilità
      di creare una nuova leadership. Ma non dobbiamo caricare di questo il
      movimento che può influenzare questo processo. E’ rischioso  quello sta succedendo a Milano dove  quello che non si legittima come Social Forum anche se si
      chiama così, tende a proporsi più come partito politico che come pezzo
      di movimento- Lo
      abbiamo visto nel passato, nella storia del movimento studentesco: quando
      il movimento sceglie la scorciatoia farsi partito, questo ha frenato,
      inibito le spinte positive presenti nel movimento, le ha ridotte, perché
      le ha ricondotte ad una sintesi è troppo ristretta rispetto all'area con
      cui il movimento interloquiva. Almeno
      tra di noi non cadiamo nel tranello che è del sistema informativo ma
      anche del sistema di potere di negare il diritto al cittadino di
      esprimersi, di autorganizzarsi, di fare delle proposte, di mettersi
      insieme per portarle avanti. C’è
      una spinta positiva? E il sistema comunicativo cosa fa? La negativizza.  Dietro
      a questa operazione c'è l'incapacità di concepire i movimenti come fatti
      positivi, neppure i movimenti di destra vanno trattati in quel modo, si
      tratta comunque di capire i problemi che pongono e di dare risposte sul
      terreno politico.  Berlusconi
      non ha vinto certamente per il possesso delle televisioni. Ma i danni più
      gravi, prendiamo ad esempio la guerra, li fa l'ideologia di guerra,
      l'apparato di comunicazione che deve difendere la guerra. La guerra
      finisce, lascia qualche casa distrutta, qualche morto, ma le idee che
      passano attraverso l'offensiva ideologica per difendere la guerra sono
      molto più negative della guerra in sé, perché si sedimentano nella
      testa delle persone. Pensate,
      ad esempio, al recente assedio alla Basilica della natività di Betlemme:
      rispetto alle duecento persone che stavano all’interno della Basilica,
      le persone in armi erano molto poche, alcuni erano poliziotti dell'autorità
      nazionale palestinese, poliziotti di un piccolo territorio sancito dalla
      comunità internazionale, erano persone in divisa, gli altri erano civili,
      c'era il governatore di Betlemme lì dentro, come dire il presidente della
      nostra provincia, la Colli locale: l'ho conosciuto, è una persona per
      bene. Se in Europa dieci criminali avessero tenuto in ostaggio persone
      civili non si sarebbe comunicato nello stesso modo. Ma la televisione fa
      in modo che si sedimenti una percezione distorta della realtà: dei
      terroristi stanno facendo quella cosa, ecco ciò che rimane. Quindi
      c'è un uso della comunicazione che crea opinione pubblica. Questo
      sistema di comunicazione è forte su due aspetti: nel difendere la guerra
      chiamandola "umanitaria", "etica", e nel difendere i
      nostri privilegi. Ed
      è su queste due cose, allora, che dobbiamo cercare di rompere, di
      trasformare il sistema di comunicazione, perché è quello che scava e
      sedimenta di più nelle coscienze. La
      questione dell'immigrazione è un esempio. La piccola criminalità viene
      percepita come molto più pericolosa della grande criminalità. In
      Italia, ad esempio,  si usano
      termini che sono propaganda bellica contro delle persone: in Francia chi
      non ha i documenti in regola (perché è entrato clandestinamente, o perché
      non ha più il permesso di lavoro) si chiama "sans papier"; da
      noi è un "clandestino". C'è
      una offensiva culturale dell'Occidente, e Prodi e gli altri sono dentro
      questa cultura.     Luciano
      Guardigli   Sono
      d'accordo con Mongelli su molte analisi, sono molto più pessimista sul
      discorso dell'autonomia  del
      movimento. Per questo aspetto il problema è 
      Cofferati. Non credo che non sia ancora quello di prima e però la
      CGIL rappresenta almeno una metà, e la più vicina a noi, del movimento
      in questo momento. Sulla
      questione della comunicazione. Ho scoperto, tardi, che ci hanno raccontato
      un mucchio di balle: non avevo mai pensato, nella mia vita, forse per
      provincialismo, che esistesse ancora la schiavitù. Adesso scopro che
      esiste sulle nostre strade. Vedo minacciato dagli atti polizieschi a
      Napoli e a Genova persino quell'habeas corpus che credevo ormai radicato
      nella coscienza dell'Occidente. Qui sono in discussione i principi
      fondamentali e c'è stato uno slittamento semantico. Se dobbiamo fare una
      guerra senza fine al terrorimo dovremo prima fare chiarezza sul
      significato di terrorista, altrimenti torniamo alla 'santa alleanza' di
      Matternich: un'alleanza dei conservatori della Terra contro tutti i 
      movimenti. La guerra che scoppierà in Iraq è assurda perché
      tutti sanno che non verrà eliminato nessun tipo di problema. I problemi
      nascono dallo stato delle cose, non dagli uomini, come s'illude il potere.
      I leader del 68 li hanno inventati, una volta chiusa la stalla, 
      i mass media.      Emilio
      Molinari   Torno
      al problema dell'autonomia dei movimenti dalla politica. Ho la sensazione
      che con tutti i suoi limiti chi ha (forse più per condizione oggettiva
      che per vocazione) una forte autonomia è il movimento dei movimenti. Mentre
      è' innegabile che il movimento operaio (che porta 3 milioni di persone in
      piazza, ed ha una grande importanza per il paese) è percorso da un
      progetto politico: Cofferati for president. Questo
      potenziale,  che non è
      automaticamente ulivista, non è ds, è tanto pervaso da questo progetto
      politico che ne limita evidentemente l'autonomia, che intercetta il
      movimento dei girotondi, del Palavobis e addirittura una parte dello
      stesso movimento no global che, dopo aver risposto agli assalti di
      Rifondazione e dei Verdi è un po' meno preparato culturalmente a non
      subire l'impatto e la pressione di un Cofferati che si presenta come
      soluzione politica generale. Questo
      ha molte ripercussioni su alcune grosse questioni. "Meno
      male che è arrivato chi ci salverà": è una scorciatoia che rischia
      di far perdere l'autonomia ai movimenti. Sono
      d’accordo con Mongelli, i movimenti devono avere una loro dinamica
      riferita ai contenuti che portano avanti, poi c'è la sfera della
      politica, però, c'è una contaminazione costante, un rapporto.  In
      Inghilterra, ad esempio il processo di formazione dei partiti 
      è iniziato dai movimenti.  Come
      dicevo prima, il processo di dissolvimento delle forme della politica che
      hanno caratterizzato il novecento attraversa principalmente la sinistra:
      la destra è più avanti nel riposizionamento delle proprie rappresentanze
      politiche. Le
      socialdemocrazia che si squagliano come neve al sole in tutta l'Europa; i
      comunisti che stando al governo o fuori dal governo non recuperano un voto
      dalla crisi delle socialdemocrazia sono fenomeni inquietanti. La
      seconda questione, insisto,  è
      l'autonomia dalle dinamiche della globalizzazione.  Come
      si presentano i partiti di destra, centro destra, sinistra, centro
      sinistra sulla scena mondiale e che margini hanno di autonomia rispetto
      alle dinamiche della globalizzazione che dettano le leggi degli stati e
      delle amministrazioni?  Le
      istituzioni e i partiti subiscono i poteri sovranazionali che dettano le
      leggi. C'è un impero che modifica le regole del gioco degli stati di
      diritto, della democrazia.  In
      questa situazione quali sono i margini di autonomia possibili?  Sono
      convinto che ci sia una differenza tra centro sinistra e centro destra ma
      nell'immaginario collettivo è tutto più confuso: Genova l'ha fatta
      Berlusconi, ma Napoli l'ha fatta Bianco, avevano le stesse
      caratteristiche; le privatizzazioni in Italia le ha fatte prima Bassanini,
      oggi le fa Berlusconi. Vedi
      un riprodursi delle stesse dimaniche.  Così
      però c’è il rischio di perdere di vista il fatto che su alcuni grandi
      temi ci siano delle resistenze: ad esempio sull'art. 18.  Trovo
      però che Cofferati abbia il limite di gestire la difesa dell’art. 18
      come un obiettivo locale, anziché con un respiro internazionale. Non
      è un obiettivo locale: non si può parlare d’ Europa e poi non agire
      per generalizzare i diritti a tutta la gente che in Europa lavora e vive.  Questo
      è uno dei diritti su cui si è fondata la dichiarazione universale dei
      diritti umani del '48, difenderlo significa difendere la civiltà europea.
       Allora
      c'è bisogno di riqualificare una sinistra che abbia il coraggio e la
      forza di rivendicare processi che stanno fuori dalla globalizzazione e
      dalle pressioni internazionali. La
      preoccupazione della destra comincia ad essere concreta. 
      Non si risponde stando dentro al tentativo di far quadrare il
      cerchio delle compatibilità imposte a livello internazionale dalla
      globalizzazione.  Se
      stai culturalmente dentro  queste
      compatibilità, dove stai tenendo e dove invece stai indebolendo le poche
      resistenze che ci sono per renderti gradito all'establishment
      internazionale? La
      questione della guerra. Nel 1914 le socialdemocrazie di tutta Europa
      votarono la guerra e poi pagarono. Adesso tutta l'Europa ha votato tutta
      la guerra.  A
      questo punto si legittima chi dice: per quale motivo dobbiamo parlare
      d'Europa, dovevamo unirci per essere più forti verso l'America, l'America
      ci ha imposto due guerre, allora tanto vale che ognuno vada per la sua
      strada.  Dietro
      al prevalere di una componente antieuropea in Francia, in Danimarca c’è
      questo ragionamento: siamo subordinati all'America, tanto vale che ognuno
      scopra il suo nazionalismo, i suoi interessi nazionali. Allo
      stesso tempo le destre usano la propaganda americana contro gli arabi così
      come agli Stati Uniti sta bene questa destra che spacca l'Europa.  L'ultima
      guerra ha molto dello scontro di civiltà. Ma se subisci la pressione
      americana e partecipi alla guerra in Afghanistan contro il pericolo arabo,
      fomenti le destre che il pericolo arabo lo scoprono paese per paese,
      immigrato per immigrato.  Questa
      corrente di pensiero di destra si sta articolando: in Francia è
      rappresentata da quel vecchio arnese di Le Pen, ma in Olanda e in
      Danimarca ci sono ben altri personaggi. Il leader della destra olandese è
      con questa faccia che si presentava: difendo il meglio della civiltà
      europea, difendo gli omosessuali mentre gli arabi li massacrano, difendo
      la libertà delle donne che gli arabi rifiutano.  Ed
      i danesi sono andati al voto in nome della difesa di un welfare che: “se
      arrivano gli arabi va a rotoli”.  Noi
      dovemmo essere in grado di dire: la civiltà europea ha prodotto il
      welfare ed ha prodotto i diritti per tutti, compreso il diritto d'asilo,
      su quello ci qualifichiamo altrimenti non siamo la civiltà europea. Però
      non siamo chiari nell'esprimere queste cose.     Flavio
      Mongelli   Non
      dobbiamo sottovalutare un dato fondamentale. Siamo tutti convinti che la
      guerra in Afghanistan sia stata una guerra per la difesa degli interessi
      strategici dell'occidente.Ma quando parliamo di interessi strategici
      dell'Occidente non dobbiamo banalizzare e pensare che si tratti solo di
      alcune compagnie che guadagnano di più, perché il gasdotto passa da lì
      porta petrolio che serve al mantenimento delle nostre condizioni di vita. 
      C'è una saldatura, una identificazione tra l'opinione pubblica che
      accetta il messaggio secondo cui è giusto fare la guerra perché ritrova
      i suoi interessi e le idee della destra; per spezzare questo legame
      dobbiamo costruire una prospettiva diversa rendendola chiara e farcendone
      capire le convenienze.  Oggi
      la corruzione interna alle società dell'occidente comincia ad essere
      forte, siamo di fronte ad una crisi di civiltà perché i nostri interessi
      strategici mettono in discussione i diritti degli altri. Pensate
      all'apartheid in Sudafrica ed a quanto era forte il suo rapporto con
      l'Inghilterra, con la popolazione e con i partiti inglesi. Chi ha tentato
      di impedire un certo tipo di evoluzione della Rodesia ed ha combattuto
      contro l'indipendenza? La civile Inghilterra. Così come i francesi hanno
      fatto con l'Algeria. Oggi
      la stessa cosa rischia di crearsi con l'integrazione. E c'è una saldatura
      tra opinione pubblica e poteri sovranazionali il cui cemento va studiato
      perché si esprime attraverso un capovolgimento semantico fortissimo: come
      altro definire  la guerra
      "umanitaria" se non come un imbarbarimento del linguaggio?     Lella
      Bellina   Ha
      ragione Mongelli: dobbiamo apprestarci a compiere un grande lavoro
      culturale. Il voto in Francia è significativo del fatto che è passata in
      Occidente la guerra tra poveri. Nelle periferie parigine, Le Pen ha
      ottenuto consensi anche dagli immigrati di prima generazione che si sono
      inseriti nel mondo del lavoro, che dopo anni di sacrifici, magari, 
      sono riusciti ad acquistare un alloggio e si schierano contro i
      nuovi immigrati che in qualche modo mettono in discussione il misero
      benessere conquistato. E'
      passato qualcosa di pericoloso e sottile: è passata la conservazione del
      nostro piccolo o grande benessere. Torno
      sul discorso dell'autonomia, perché oltre al lavoro di lungo periodo ci
      sono cose contingenti e scadenze che ci obbligano.  Considero
      un po' snobistico questo parlare solo del lavoro culturale, perchè
      sottintende la che devono essere i partiti ad occuparsi di politica. Considero
      la guerra sbagliata e contro la guerra mi batto, faccio le manifestazioni:
      che la proponga Berlusconi, la mia mamma, Massimo D'Alema. E'
      questo che intendo per autonomia.  E,
      insisto, questa autonomia ha scarseggiato con il centro-sinistra al
      governo.  Detto
      questo, ci piaccia oppure no, e questo sistema si regge sui partiti. Dopo
      le elezioni francesi, la banalissima osservazione fatta da più parti è
      stata: uniti si vince, divisi si perde. Ottimo. Ma a me poco importa la
      vittoria di una futura colazione che vada da Cossiga a Di Pietro, fino a
      Bertinotti ed oltre, se da quella coalizione non mi giungerà un segnale
      chiaro su questioni che considero fondamentali. L'autonomia
      è un valore, ma è indispensabile che i movimenti entrino in un rapporto,
      sia pure conflittuale, con la sfera politica.    Luciano
      Guardigli   Ci
      sono momenti storici in cui si verificano situazioni 
      illuminanti, intrinsecamente rivoluzionarie. I processi culturali
      in quei rari casi non sono graduali, 
      ma istantanei. Ci sono stati momenti storici che hanno visto prese
      di coscienza improvvise, non è l'evoluzionismo di Darwin. Dobbiamo capire
      quali sono i problemi.  Penso
      che il problema dell'acqua  potrebbe
      essere illuminante per la gente, ma bisogna prima conquistare spazio
      nell'informazione, fare controinformazione non basta. Fino a questa sera
      neanche io, che credo di essere mediamente informato, immaginavo che si
      potesse arrivare alla privatizzazione dell'acqua nel 2004. In
      Inghilterra le privatizzazioni delle ferrovie hanno portato già al
      disastro. Tutto questo denuncia la forza del sistema di interessi privati
      che c'è attorno alla politica, che la rende impotente. È la rete del
      sistema capitalistico, delle multinazionali e degli interessi privati,
      degli azionisti e dei loro interessi quello che tiene insieme il mondo. Da
      parte nostra manca un grande progetto credibile. 
      Da un progetto forte di alternativa nascono le risposte da dare
      perché la gente prenda coscienza, altrimenti noi cerchiamo di migliorare
      le condizioni della gente e poi la gente cambia idea perché ha,
      finalmente, il suo orticello da proteggere dalla massa dei più poveri.
      Temo sia contraddittorio, ma automatico. Le grandi parole d'ordine che si
      possono trovare culturalmente filtrano subito: non ci vuole tanto a capire
      il problema dell'acqua anche contro i mass media se la gente lo sperimenta
      sulla propria pelle.  Comincerei
      a stringere sugli elementi che abbiamo indicato, muoversi assieme per
      farli filtrare nel dibattito politico. Sulla pace, per esempio, avremo dei
      problemi perché molti anche a sinistra pensano che l'Europa, prima o
      dopo, deve esserci anche militarmente. 
      Sull'acqua, forse, ne avremo meno. Sulla questione dei diritti
      credo che una battaglia si possa fare perché i movimenti si sono mossi
      autonomamente. Se c'era un pessimismo della politica, oggi il movimento
      l'ha in parte dissolta, spero.  Tra
      le cose che i libri ci hanno insegnato è che la lotta per migliorare la
      democrazia, per non tornare indietro non finisce mai.      Iole
      Garuti   Rispetto
      all'autonomia credo che il ruolo dei movimenti debba essere quello di
      incalzare i partiti, di suggerire tematiche e di controllarne l’azione,
      mantenendo una divisione dei ruoli. Senza questa separazione è molto
      probabile che a un leader del movimento che si mette in evidenza venga poi
      offerto un seggio in parlamento e il movimento subisca allora una battuta
      d'arresto: non so quanti partiti gradiscano avere a lato movimenti davvero
      forti e indipendenti. I movimenti sono importanti anche perché possono
      coinvolgere quelli che sono stanchi e delusi ma che vorrebbero comunque
      fare qualcosa per la società senza entrare in un partito dove ci sono
      regole e strategie da rispettare, decise altrove.  E'
      anche vero, e ce ne stiamo accorgendo, che i movimenti hanno già ottenuto
      un successo: l'aver fatto capire ai partiti di sinistra (io posso parlare
      solo di questi) che hanno fatto degli errori, che devono fare autocritica,
      cambiare. Dalla manifestazione di piazza Navona in poi i partiti hanno
      capito che se la gente grida, si arrabbia, evidentemente devono modificare
      qualche cosa.  E
      stanno prendendo in esame l'ipotesi di cambiare: c’ è un tentativo di
      apertura e di dialogo tra i partiti per arrivare ad una politica unitaria
      di sinistra, che mi sembra importante. Ma
      c’è soprattutto un enorme lavoro culturale da fare, nei movimenti, con
      i movimenti, nella società civile.     Emilio
      Molinari   Da
      qualche mese si è ribaltato il rapporto tra movimenti e partiti. I
      movimenti, dopo un primo grande slancio, oggi stanno un po' a guardare e
      vengono avanti processi politici separati dalle dinamiche dei movimenti. Ho
      la sensazione che si ritorni ai partiti che tentano di condizionare i
      processi dei movimenti non ai movimenti che forzano, condizionano i
      partiti, anche perché i movimenti non hanno saputo relazionarsi tra loro.     Luigi
      Lusenti     Al di là della ampiezza dei movimenti c'è un ventre molle della società in cui non si riesce a far passare idee e comportamenti non omologati, non ortodossi. E’ il ventre molle che si propone protagonista ad ogni elezione. Sono anch’io convinto anch'io che qualcuno debba porre delle domande di programma ai partiti. Attenzione, però, se io pongo questi punti ma poi non ho la forza, la bravura, la capacità di far viaggiare le idee all'interno della gente, i partiti possono pure assumerli per una loro battaglia ma rimarranno minoritari nella società. Il mestiere delle organizzazioni della società civile è quello di far crescere il consenso attorno a questi punti fra le persone. Più crescerà il consenso e maggiore saranno le difficoltà dei partiti a non recepire richieste popolari. Oggi invece si annusa un’aria diversa, un’aria di “restaurazione” condivisa da moltissime persone. Lì vedo l’impegno maggiore di associazioni e volontariato. Se più gente sarà convinta dell’inutilità delle guerra, della necessità di una convivenza globale, di un rispetto reciproco, di valori non solo di consumo, di una difesa del territorio, por citare solo alcuni punti importanti, io credo che anche il quadro politico dovrà essere diverso. L’altra strada, rischia di diventare una testimonianza, di lasciarci, come quei personaggi di Fitzgerald “belli ma dannati”. 
 
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