| RELAZIONI
        
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       ******************   Il
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      di commento critica
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      Trib. MI n.
      304 maggio 1992   
     |  | WOLFGANG
      SACHS 
      Mi sembra che Agostinelli non abbia tralasciato nessuna tematica nella sua
      introduzione, che mette un po' in alto mare un relatore che segue dopo. Io
      vorrei cominciare con una storiella, quella mia preferita quando si parla
      del tempo, storiella che e' presa da un racconto di Henrich Boll che parla
      di un turista che fa una passeggiata alla spiaggia e incontra un pescatore
      che e' li' sdraiato accanto alla sua barca e dorme. Il turista tira fuori
      la sua macchina fotografica, scatta una foto, il pescatore si sveglia, e
      il turista gli chiede: "Ah! Perche' sei sdraiato li'? Il tempo e'
      bellissimo, c'e' tanto pesce, perche' non vai a pescare?" "Sai,
      questa mattina ho gia' pescato abbastanza". "Vedi, tu potresti
      adesso pescare tre-quattro volte al giorno, potresti fare soldi, dopo un
      anno potresti comprarti una barca a motore, poi due barche e forse dopo
      tre-quattro anni tutta una flotta e poi forse un elicottero per seguire
      meglio i pesci, poi forse un camion per portare tutto questo pesce per la
      distribuzione alla capitale. E poi... " "E poi?" chiede il
      pescatore, "potresti prendere tutto il tempo per andare in spiaggia a
      prendere il sole, l'oceano e' bellissimo". "Ah!", dice il
      pescatore, "e' proprio quello che stavo facendo quando tu mi hai
      svegliato scattando la fotografia!". Io lascio cosi' questa
      storiella, mi sembra che pure nel tempo della compressione del tempo e
      dello spazio questa storiella abbia ancora qualcosa da dire. Vorrei
      parlare di cinque aree di discussione e di battaglia negli anni a venire,
      perche' giustamente Mario ha fatto cenno al fatto che questa compressione
      dello spazio e del tempo e' un'altra parola per questo grande processo in
      atto della globalizzazione, che e' molto di piu' di una globalizzazione
      solo economica. Infatti, come lui ha detto, il tempo perde la sua durata e
      lo spazio perde la distanza. Posso farvi un esempio. Stento a crederlo,
      pero' due fonti mi hanno riportato che, dopo le diciotto di sera, gli
      annunci che vengono fatti dalla Lufhtansa all'altoparlante dell'aeroporto
      di Taeghel a Berlino vengono pronunciati in California. Vuol dire che l'annunciatore
      verso sera non e' nell'edificio, neanche a Berlino, e' in California e
      segue tutti i processi, l'andamento dell'aeroporto attraverso il piccolo
      schermo e fa gli annunci, per sfruttare cosi' 24 ore su 24. Non devi
      pagare il compenso di chi lavora di notte per Berlino. Quindi li' c'e' la
      contemporaneita' e c'e' la sparizione della distanza e la sparizione della
      durata. Nell'ombra di questa nuova era, che puo' solo essere comparata a
      quella di quando siamo andati dalle economie locali alle economie
      nazionali, adesso si va dalle economie nazionali a un'economia
      transnazionale, quindi l'idea che la societa' sia un contenitore mi sembra
      stia scomparendo, la societa' non e' il contenitore, che e' ben
      delimitato. In questo contesto vorrei utilizzare alcune delle tematiche
      sviluppate nel mio libro, dando un po' il filo conduttore, chiedendomi
      quali sarebbero le arene di discussione, quali sarebbero anche i lati
      deboli della globalizzazione, della globalizzazione economica in primo
      luogo e anche di quella culturale. Mi focalizzo sui lati deboli perche'
      non dimentichiate mai che, oggi come oggi, coloro che sono piu' nervosi
      dei sindacalisti sono i capitalisti. Quindi attenzione, la globalizzazione
      e' un'avventura ad altissimo rischio per qualsiasi imprenditore, per
      qualsiasi investitore; esistono incertezze, lati deboli o, se volete,
      questi lati deboli possono essere trasformati in zone contestate, in
      territori di conflitti: per questo voglio focalizzare cinque domande che i
      capitalisti devono porsi, domande sulle quali noi poi, se volete, potremo
      intervenire facendo presente una concezione diversa della societa' e del
      progresso. Faccio queste cinque domande delle quali la prima e': per
      ciascun imprenditore, come vincere? La seconda domanda: cosa fare con i
      perdenti? La terza domanda: come entrare nel territorio? La quarta: come
      mantenere accelerata la gente? La quinta: come assicurare un volume
      crescente di domanda? Io vorrei parlare di queste cinque "zone
      contestate". La prima: come vincere? In questa era di globalizzazione,
      visto che ci sono molti piu' competitori, la domanda "con quale
      ricetta puoi vincere sul mercato" e' una domanda molto grande. Tutto
      diventa piu' flessibile sotto l'imperativo di cambiamento; qual e' la
      prospettiva di innovazione in un mondo di incertezza? Su quale cavallo
      scommettere? E li' c'e' oggi, piu' che nel passato, un discorso su cosa
      fare anche nell'azienda, quali prodotti, quali innovazioni per quali
      bisogni proporre. E li', come voi sapete, quello che e' importante per me
      che sono ambientalista - e forse anche per un dibattito e una controversia
      - e' che i vari limiti della biosfera saranno sempre piu' condizione-guida
      dei processi di domani. Quindi un punto di entrata e' come sara' possibile
      premere, fare dell'ecologia una dimensione integrale della produzione. Per
      fare questo pero' certo bisogna abbandonare questa utopia del
      diciannovesimo secolo, che diceva che la produzione puo' sempre contare
      sulla generosita' della natura, sull'abbondanza quasi infinita della
      natura. E cosi' si e' messo in moto negli ultimi cento anni un progresso
      tecnico che ha messo tutta l'enfasi sull'aumento della produttivita' del
      lavoro, dimenticando il fatto che tanta di questa produttivita' si e'
      guadagnata dal danneggiamento della natura, quindi alle spese della
      stessa. Questa utopia dell'abbondanza della natura oggi e' crollata con la
      famosa situazione econologica, cosi' l'utopia cambia colore e la domanda,
      quando si discute del futuro dei prodotti e dei processi, e': "e'
      possibile dare un indirizzo diverso al progresso tecnologico"? Certo
      che e' possibile, bisogna cambiare questa logica della produttivita',
      mettere meno enfasi sull'aumento della produttivita' di lavoro, e metterne
      molta di piu' sull'aumento della produttivita' della natura, su una
      maggiore efficienza, che vuol dire in modo molto piu' convenzionale
      disegnare tecnologie che utilizzino meno energia e meno materiali per
      unita' di output. Come si puo' ricavare piu' benessere da un litro di
      petrolio, da una tonnellata di rame? In altri termini, non sarebbe meglio
      avere un progresso tecnologico che licenzia migliaia di tonnellate di
      acqua, migliaia di tonnellate di rame invece che migliaia di persone? Un
      progresso tecnologico che punta molto piu' sulla ecoefficienza? Per questo
      ci vuole certo anche una nuova visione imprenditoriale, ci vogliono anche
      dei parametri come ecotasse, pero' di questo adesso non ne parlo. Volevo
      scendere maggiormente nei dettagli ed evidenziare tre linee sulle quali si
      puo' andare avanti in questa ricerca di una maggiore ecoefficienza. - La
      prima linea e' la produzione di materiali che siano biodegradabili. Alcuni
      istituti di ricerca oggi sostengono che e' fattibile la produzione di
      tanti prodotti del nostro uso quotidiano sulla base di materiali
      biodegradabili. E' proprio necessario che nelle suole delle scarpe ci
      siano materiali pesanti? O per le fibre tessili; mi ricordo che una volta
      sono stato a una presentazione dove in una discussione del genere il
      relatore aveva un pezzo di stoffa per il divano e ha cominciato a mangiare
      questo pezzo di stoffa per dimostrare che il materiale proveniva da
      risorse biologiche. Per dare un altro esempio sei mesi fa Greenpeace in
      Inghilterra ha fatto un contratto con una grande banca inglese per l'introduzione
      della carta di credito biodegradabile fatta di un materiale plastico
      ottenuto dalla biomassa e che quindi puo' ritornare alla terra. Cosi' vale
      per tanti prodotti, forse non in un immediato futuro, ma la strada e' senz'altro
      percorribile. - La seconda strada per procedere e' una strada un po'
      diversa; riguarda i prodotti durevoli, non quelli d'uso quotidiano;
      parliamo della macchina, della lavatrice, del computer. Qual ' e' l'imperativo
      centrale? Certo e' la durevolezza. Allora come e' possibile fare prodotti
      che durino a lungo, che siano costruiti in modo da poter essere smontati,
      che abbiano dei moduli interscambiabili? Cio' e' possibile attraverso l'introduzione
      di un nuovo principio, quello della responsabilita' sistemica. Vuol dire
      che il prodotto - ad esempio un frigorifero - non esce mai dalla
      proprieta' del producente. Quando io vado in un negozio per comprare un
      frigorifero, l'affitto o faccio un leasing del frigorifero e non lo
      compro, la proprieta' non diventa mia. Perche'? Il motivo e' chiaro? In
      tal modo, dopo dieci anni, quando voglio liberarmi del mio frigorifero,
      questo viene restituito alla casa di produzione e non viene gettato o
      abbandonato, come e' in uso in qualche paese. Ci sono gia' esempi di
      questo genere; mi sembra, questo, un principio importantissimo per
      cambiare a monte il disegno dei prodotti. - La terza strada da seguire e'
      quella che in generale si puo' mettere sotto il titolo Dal prodotto al
      servizio; molto spesso invece di produrre qualcosa, qualche artefatto, e'
      meglio chiedersi quale servizio vuole la gente. Voi conoscete questa
      discussione sull'energia, la gente non vuole l'energia nucleare, la gente
      vuole riscaldare il caffe', qual e' il metodo migliore per riscaldare il
      caffe'? Questo e' il problema, non vendere elettricita'. La Ranx Xerox,
      per fare un esempio, e' incentivata a vendere macchine fotocopiatrici che
      durano, perche' loro non guadagnano vendendo tante macchine, mettono un
      servizio che e' attento alla manutenzione delle macchine e poi sono
      incentivati a fare un re-engineering delle macchine dopo che sono usate.
      Quindi spostare l'attenzione dalla espansione dell'offerta al servizio,
      cambia il mondo degli artefatti, cambia il mondo della produzione. Queste
      sono tre grandi strade: biodegradabilita', responsabilita' sistemica,
      prodotti-servizi, su cui si puo' mandare avanti la discussione su quale
      cavallo scommettere, cosa saranno i prodotti e i processi di domani.
      Procedo con la mia seconda arena di discussione, e questo lo faccio in
      modo un po' piu' sintetico. Il lato debole per la globalizzazione riguarda
      senz'altro cosa fare con i perdenti. Mai dimenticare che la
      globalizzazione e' un gioco per individuare i vincitori, cosi' per
      definizione ci saranno un sacco di perdenti. E' anche chiaro che la
      globalizzazione significa che abbiamo bisogno di sempre meno gente per
      produrre la ricchezza della societa', in un certo senso crescera' il
      numero della gente superflua, pero' un'azienda puo' permettersi di avere
      gente superflua, perche' puo' licenziarla. Una societa' non puo'
      permetterselo, non puo' permettersi di avere gente superflua, perche'
      questo a medio termine creera' un sacco di problemi. Quindi da questo
      punto di vista come voi sapete bene, sorgono queste domande che voi avete
      discusso sulle 35 ore e cosi' via; e' chiaro che non avremo mai piu' la
      piena occupazione, anzi, e' anche chiaro che non abbiamo mai avuto la
      piena occupazione, perche' la piena occupazione era sempre solo maschile e
      la meta' del mondo era sempre esclusa. Quindi oggi si sovrappongono queste
      due cose; la societa' non offre piu' lavoro e molte piu' persone, incluse
      le donne, chiedono lavoro e da qui l'insorgenza di difficolta'. Si puo'
      rispondere solo come voi dite sempre: certo ridurre il lavoro per ciascuno
      per distribuire il lavoro a tutti e' il principio importantissimo. A che
      scopo, pero'? Per ridefinire e ripensare le attivita' utili nella societa'.
      Diventa di nuovo visibile che il lavoro remunerato non e' il solo tipo di
      attivita' utile che c'e', ci sono almeno tre compartimenti di attivita';
      da un lato c'e' il lavoro retribuito, poi c'e' l'attivita' di sussistenza,
      di autoproduzione, infine c'e' l'impegno civile. Nell'ambito di queste tre
      sfere di attivita' utile, se uno parla di una redistribuzione del lavoro
      remunerato, significa dare piu' spazio a questi altri tipi di lavoro,e
      quindi una distribuzione piu' equa del lavoro remunerato. E' anche chiaro
      poi che se non tutti possono avere lavoro sorge un altro problema: finora
      la distribuzione della ricchezza e' stata fatta mediante l'occupazione.
      Quindi se non tutti hanno piu' occupazione, uno deve inventarsi altre
      forme di ricchezza, e qui c'entra anche la discussione sul reddito di base
      garantito. Si apre di conseguenza la discussione su come organizzare e
      reinventare anche il tempo fuori dal lavoro remunerato, i discorsi sulle
      banche del tempo, su nuove forme di scambio e cosi' via. Io vorrei solo
      dire che in questa prospettiva oggi c'e' la possibilita' di congiungere l'utile
      al necessario; c'e' oggi la necessita' della flessibilizzazione da parte
      del capitale, questo e' chiaro. E' possibile raggiungere questa necessita'
      con l'utile, vuol dire desiderio di tanti per una maggiore sovranita' sul
      tempo da parte di individui. Questo mi sembra oggi l'altro grande punto di
      intervento. Vengo alla mia terza zona contestata: come entrare nei
      territori. E' vero, come ha detto Mario Agostinelli, che questa
      riorganizzazione del tempo e dello spazio rende vagabondo il capitale; ma
      questo capitale vagabondo che circola, ad un certo punto deve atterrare.
      Ecco, ci siamo noi sul territorio. Non c'e' dubbio che anche il capitale
      vagabondo deve cercare un porto, deve insediarsi, deve fare delle cose,
      deve fare una produzione o deve anche vendere le cose, quindi deve
      localizzarsi. Certo i luoghi sono posti della gente, sono posti della vita
      quotidiana, i territori sono i posti dove spuntano i conflitti, perche'
      poi certo si apre la domanda: "a quali condizioni"? Come e'
      possibile che il capitale vagabondo si insedi con le sue esigenze nel mio
      territorio? Tanti conflitti sociali che oggi ci sono dappertutto nel mondo
      possono essere letti in questa chiave.In questa ottica mi sembra anche
      interessante tutta la discussione su quanto aperta deve essere una regione
      per il mercato mondiale, per quanto dipendente o indipendente dal mercato
      mondiale. Mi sembra che oggi si sospetti sempre piu' che l'economia
      planetaria non e' piu' un'utopia incontestata, mostra sempre piu' i suoi
      lati oscuri. Questo e' chiaro per due motivi: la democrazia e l'ecologia.
      Per la democrazia e' tutto vero, si deve sempre dire in Padania che e'
      vero, la democrazia puo' essere soffocata attraverso l'auto-isolamento,
      attraverso la fortezza; pero' d'altro canto e' anche vero che la
      democrazia puo' essere soffiata via attraverso troppa autoesposizione,
      attraverso una societa' che diventa nuda e senza protezione verso le forze
      dell'esterno. La sovranita' e' democrazia e democrazia vuol dire gestire
      le cose nostre, la democrazia richiede uno spazio di sovranita',
      altrimenti l'idea delle cose nostre perde senso. In questo senso certo la
      globalizzazione e' in grande contrapposizione all'idea della democrazia;
      visto che il pianeta non puo' diventare la polis, se vogliamo mantenerla
      dobbiamo inventarci qualcosa. Quello che pero' e' piu' importante secondo
      me e' l'ecologia. E' chiaro che maggiori interconnessioni significano
      trasporti, trasporti, trasporti. Se le distanze tra produttore e
      consumatore crescono (scarpe dal Taiwan, fiori dal Kenya), e' chiaro che i
      trasporti crescono; anzi si puo' dire che tanti dei guadagni della
      produttivita' delle nuove tecnologie vengono fatte spostando le cose dall'interno
      dell'azienda all'esterno di essa. Per questo anche lo spazio virtuale e il
      tempo reale richiedono poi un trasporto fisico delle cose, sia di persone
      che di beni. Quindi cosi' non e' un caso che per esempio produzioni just
      in time hanno portato a un aumento di traffico dappertutto in Europa, che
      in un certo senso il management porta al fact transportation. Quindi cosi'
      il guadagno di tempo e' apparente, e' una redistribuzione del tempo, in un
      certo senso va fatto alle spalle del territorio, alle spalle di quello che
      poi devono muovere. Anche il territorio e' sottoposto sempre piu' all'imperativo
      di diventare permeabile, transitabile. Pensate al ponte sullo Stretto,
      alle gallerie della Svizzera o sul Brennero, alle autostrade che devono
      essere prolungate, al tunnel sotto la Manica e cosi' via. E' la pressione
      a rendere transitabile lo spazio, lo spazio e il territorio, che e' pero'
      uno spazio di vita, dove la gente vive, pero' e' sempre sottoposto alla
      presunzione di trasformarsi in uno spazio di transizione. E' chiaro che
      anche dal punto di vista ecologico diventa importante far prevalere contro
      questa visione l'idea di un'economia piu' regionalizzata. Comunque credo
      che la scala geografica delle operazioni economiche diventi sempre piu'
      una tematica importante. Gia' oggi le imprese locali, piccole e medie,
      sono superiori nella creazione di lavoro, nella prestazione di qualita' di
      servizi, sono superiori per quanto riguarda la restituzione dei crediti e
      cosi' via. E aggiungerei dell'altro: a lungo termine e' chiaro che il
      livello regionale, per esempio, e' molto importante per creare un'economia
      di manutenzione e riparazione, per mantenere e riparare i beni che devono
      durare a lungo, pensate al principio della responsabilita' sistemica di
      cui ho parlato prima. Certo e' necessaria un'industria di servizio di
      manutenzione e di riparazione locale e regionale, perche' questa industria
      deve essere vicina al consumatore. In una prospettiva piu' lunga, un'economia
      solare potrebbe per forza essere un'economia regionalizzata. Perche'? Per
      un motivo semplice: i fondi dell'energia solare sono dappertutto, il sole
      cade in modo molto diffuso, non in modo concentrato, quindi vale la pena
      di raccogliere il sole in modo disperso e utilizzare questa energia in
      modo molto decentralizzato, per la natura intrinseca di questa fonte
      energetica. Lo stesso principio vale per la biomassa. La biomassa e' una
      delle grandi risorse del futuro, non e' concentrata come il carbone, anzi
      e' diffusa attraverso il territorio, quindi vale la pena di raccoglierla e
      poi di utilizzarla in modo diffuso, perche' non vale la pena trasportarne
      delle tonnellate. La prospettiva dell'utilizzo dell'energia solare nel
      futuro mi sembra che stia prefigurandosi come nuova forza di un'economia
      regionale, l'idea di un'economia confederata potrebbe guadagnare anche
      terreno. Questo mi porta alla quarta arena di discussione sulla
      globalizzazione: come mantenere la gente accelerata. Se uno vuole portare
      avanti una tendenza sovversiva e' importante rompere con questa utopia che
      le velocita' piu' elevate sono sempre preferibili alle velocita'
      contenute. Per cento-centocinquant'anni abbiamo cercato di avanzare il
      piu' possibile nel piu' breve tempo, e cosi' si e' creata una societa'
      irrequieta, destinata oggi a fare un nuovo salto. Vorrei offrire alcune
      osservazioni che potrebbero man mano diminuire questo entusiasmo per la
      velocita', portando avanti un certo sentimento sovversivo che anche la
      lentezza potrebbe avere qualche pregio, che il rallentare potrebbe avere
      una qualita' interna e questa qualita' del rallentare e' anche un modo per
      portare la protesta contro la pressione della globalizzazione nella vita
      quotidiana. Basta guardare le automobili, e' chiaro che le automobili sono
      la tecnologia quotidiana che ha cercato di incorporare l'ideale della
      velocita', e cosi' ci vengono offerte macchine con valori di accelerazione
      e velocita' di punta, come se dovessimo ogni giorno sostenere una gara
      sulle autostrade. Ma un'auto di fatto trascorre l'80% del suo tempo nel
      traffico cittadino e le velocita' medie si aggirano attorno a 15-20 km
      orari! Quindi mettere automobili ad alta prestazione sulle strade di
      citta' oggi e' altrettanto razionale come tagliare il burro con la
      motosega. Questa convulsione per la velocita' ci ha dato una flotta
      automobilistica che e' grottescamente ipermotorizzata, con tutto lo spreco
      di energia e materiali che ne consegue. Non c'e' bisogno di un'ecologista
      per capire il divario tra il mezzo e l'uso che ne viene fatto, a parte il
      fatto che, se l'automobile e' una cosa che deve correre, corre solo un'ora
      su ventiquattro e quindi diventa piu' chiara l'irrazionalita' intrinseca
      in queste tecnologie di velocita'. Riprendo un'altra cosa che ha detto
      Mario: abbiamo fatto le nostre esperienze con le macchine per il risparmio
      di tempo, anzi ne siamo circondati: l'automobile, il fax, l'e-mail, tutte
      in un certo senso sono macchine per farci risparmiare tempo; pero' dove e'
      finito il tempo guadagnato? Siamo alla ricerca del tempo guadagnato, cosa
      e' successo? Che al contrario oggi ci troviamo in situazioni di
      nervosismo, di stress continuo. Perche'? Vale la pena prendere ad esempio
      l'automobile: paradossalmente la gente che possiede una macchina non
      trascorre meno tempo per la mobilita' e per il trasporto, rispetto a
      coloro che non la possiedono. Quindi la gente che viaggia in automobile
      non utilizza meno tempo per gli spostamenti. Cosa e' successo? E' chiaro,
      quelli che acquistano una macchina viaggiano di piu'; quindi il tempo
      risparmiato viene tradotto in distanze piu' lunghe. Cosi' noi oggi
      viaggiamo molto piu' della gente di solo dieci, venti, trent'anni fa,
      pero' in gran parte per le stesse destinazioni, per gli stessi scopi:
      lavoro, scuola, medico e cosi' via. La stessa cosa avviene anche con l'e-mail.
      Voi sapete che l'e-mail oggi e' gia' un grande canale di intasamento e che
      il Times Magazine aveva una notizia sei mesi fa sull'e-mail che tutti
      usano, e questo e' il problema. Se uno riceve 50, 80 e-mail al giorno la
      cosa diventa impossibile, il sistema crolla. E questo succede gia' in
      California oggi, cosi' adesso la Microsoft offre Intelligent Agents, un
      software che permette di installare corsie preferenziali per sistemare i
      messaggi e-mail che arrivano, che vengono smistati su corsie lente e su
      corsie preferenziali. Quindi oggi si ha sulle "superstrade dell'informazione"
      lo stesso problema che si aveva prima sulle superstrade vere! Quello che
      voglio dire e' che noi trasformiamo tutti i risparmi del tempo per nuove
      distanze, per maggior output e per un maggior numero di attivita'; le ore
      risparmiate vengono tradotte in nuova crescita, se noi traducessimo le ore
      risparmiate in meno lavoro, in meno spostamento, in questo senso avremmo
      una situazione piu' liberata, pero' noi scegliamo di tradurle in nuova
      crescita. Certo questa accelerazione mostra sempre piu' il suo lato
      oscuro; oltre a una certa soglia l'accelerazione mostra una tendenza
      controproducente, si arriva sempre piu' velocemente in luoghi dove poi si
      resta sempre meno. Tanta energia viene investita in arrivo e in partenza,
      ma poca in presenza. Quindi l'incontro perde sempre piu' importanza e cio'
      diventa maggiormente chiaro quando uno e' alla ricerca di una migliore
      qualita' di vita, alla ricerca di prestare piu' attenzione alla situazione
      presente, e allora si comincia automaticamente a rallentare, perche' la
      precisione di dedicarsi a una situazione richiede di seguire i ritmi
      intrinseci di questa situazione, richiede di dare l'addio all'accelerazione
      imposta. Ebbene, tutto questo si potrebbe anche tradurre in progetto
      tecnologico, noi per esempio in questo libro abbiamo proposto una flotta
      automobilistica solo moderatamente motorizzata, perche' e' chiaro che
      anche tutta questa accelerazione costa un sacco di energia, con l'accelerazione
      cresce quasi esponenzialmente il consumo di energia e quindi se uno vuole
      arrivare a una societa' piu' leggera deve per forza cercare di stabilire
      un livello intermedio di velocita'. Io credo che l'utopia del prossimo
      secolo sara' di inventare tecnologie che ci permettano di vivere con
      eleganza all'interno dei limiti. Questo mi porta al mio ultimo punto: come
      assicurare un maggior volume di domanda. Anche li' si apre la questione
      del tempo, perche' - e questo e' il guaio della societa' consumistica -
      oltre a una certa quantita' gli oggetti diventano ladri di tempo. Come ha
      raccontato un antropologo sui Navajos, che vivono al sud-ovest negli Stati
      Uniti, una famiglia navajos possiede in media 236 oggetti, una famiglia
      tedesca in media ne possiede 10mila. Vanno benissimo 10mila oggetti
      piccoli e grandi, pero' bisogna scegliere, comprare, disporli,
      utilizzarli, pulirli, spolverarli, ripararli e cosi' via. Anche gli
      appuntamenti che abbiamo oggi devono essere presi, concordati,
      monitorizzati. Sia gli oggetti che gli eventi sono un richiamo al nostro
      tempo e il nostro tempo, in modo conservatore, ha sempre solo 24 ore! A
      forza di spingere sempre piu' oggetti e appuntamenti in questo tempo
      limitato diventiamo nervosi, stressati. Quindi la scarsita' del tempo e'
      diventata la dea vendicatrice della ricchezza; in altri termini noi si',
      siamo ricchi di beni, ma poveri di tempo. Questo si puo' anche dire in
      modo molto piu' preciso, perche' se guardate la soddisfazione che deriva
      dai beni essa consiste di due cose: c'e' sempre una soddisfazione esterna
      e una soddisfazione interna. Se voi comprate cose per la cena, poi
      cucinate e riempite il vostro stomaco, questa e' soddisfazione esterna; se
      a voi piace mangiare alla maniera turca e fare una cosa conviviale con gli
      amici, questa e' una soddisfazione immateriale, una soddisfazione interna.
      Allora cosi' e' sempre, la soddisfazione richiede sempre un'attivita'
      interna, uno sforzo di coltivare qualcosa, di gustare meglio, di celebrare
      qualcosa. Qui si apre il dilemma: i tanti beni possono entrare in
      conflitto con la voglia di una soddisfazione completa. In altri termini la
      soddisfazione esterna e quella interna non possono essere massimizzate
      allo stesso tempo. Se volete ottimizzare il vostro consumo, ottimizzare la
      vostra soddisfazione, dovete per forza limitare la soddisfazione esterna
      o, in altri termini, la sobrieta' deve diventare un ingrediente necessario
      per il benessere. Paradossalmente, la capacita' di dire di no, una certa
      austerita', diventano pre-condizioni per il benessere, altrimenti ci
      succede come a Horowat, che e' un autore austro-ungherese che ha fatto una
      battuta - e con questo concludo - dicendo: "Ah! In fondo io sono una
      persona totalmente diversa, ma non ho mai il tempo di esserlo".   
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