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In difesa della sanita' pubblica a cura del Comitato in difesa della sanita' pubblica
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MartesanaDUE mensile di informazione, cultura e annunci della zona due di Milano citta'
Editore Comedit 2000
Direttore Paolo Pinardi
Redazione Gianni Bazzan, Mattia Cappello, Adele Delponte, Ferdy Scala, Luciana Vanzetti, Aurelio Volpe
Red. e pubblicita' Via delle Leghe, 5 20127 Milano Tel. 02/28.22.415 Fax 02/28.22.423
Reg. Trib. MI n. 616 settembre 99
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Stazione Centrale: un arrembaggio al demanio pubblico senza concorrenza
Un
episodio di "depredamento" in nome della redditività
commerciale Un
interessante e approfondito dibattito sul "Progetto Grandi Stazioni
per la ristrutturazione della Stazione Centrale di Milano" si è
svolto il 7 maggio all'Hotel Hilton di via Galvani, organizzato dal
Coordinamento Comitati Milanesi e dalla sezione cittadina di Italia
Nostra. L'interesse principale del dibattito è consistito nel confronto
tra i comitati di cittadini e di esperti, associazioni di tutela del
patrimonio artistico-monumentale e i rappresentanti delle categorie
imprenditoriali. I rappresentanti della società "Grandi
Stazioni", invece, benché invitati, non si sono fatti vivi. Il
punto della situazione è stato fatto, in modo assai documentato,
dall'architetto Michele Sacerdoti, esponente del Comitato di Difesa della
Stazione Centrale, che ha dichiarato che l'intervento della Soprintendenza
ha contribuito a migliorare significativamente il progetto preliminare del
2001, accogliendo una parte delle richieste del comitati. Ora, come
abbiamo già riferito, la Soprintendenza dovrà valutare il progetto
esecutivo. I problemi che restano da risolvere, per evitare che potenti
interessi commerciali, (questo è il parere di Sacerdoti) trasformino la
stazione in un grande "autogrill", sono quelli della
destinazione della cosiddetta "galleria delle carrozze" (nella
quale la Soprintendenza ha "cassato" la chiusura con vetrate e
la creazione di soppalchi e balconate per spazi commerciali), la necessità
di evitare la cacciata dei taxi che il nuovo progetto di massima colloca
lungo pensiline esterne antiestetiche e assai più scomode per i
viaggiatori. Inoltre il Comitato ritiene inaccettabile il forte
allungamento di tutti i percorsi per raggiungere il "piano
binari" e chiede il mantenimento delle attuali scale mobili; ritiene
incompatibile con le norme di attuazione del PRG la tipologia degli
esercizi commerciali previsti. Il comitato, infine, "ritiene che il
Consiglio di Zona 2 debba essere il luogo dove progettisti, utenti del
trasporto ferroviario, abitanti della zona, albergatori, commercianti si
incontrano per portare le rispettive esigenze sul progetto". Il
rappresentante di Italia Nostra M. Parini, ha dichiarato che siamo di
fronte al tentativo di "portare fuori dall'area della proprietà
pubblica beni che sono per definizione pubblici", in nome del
principio della redditività commerciale, che Caltagirone ha già
applicato a Roma. Carlo
Montalbetti, del Coordinamento Comitati Milanesi, di fronte alla
prospettiva di fare della stazione un "business district", ha
affermato che ci sono potenzialità per una battaglia non solo culturale
ma che si riferisce anche ad interessi economici, attraverso un'alleanza
che tuteli i cittadini e insieme gli interessi imprenditoriali,
riqualificando la zona per attirare investimenti. L'imprenditore
L. Beltrami Gadola, dopo aver affermato che Italia Nostra
"rappresenta bene gli interessi dei cittadini", ha affermato che
siamo di fronte ad un "arrembaggio al demanio pubblico" e ad una
"strategia da predoni senza concorrenza", mentre il
corrispettivo del "depredamento" è estremamente basso. Noi
cittadini, ha aggiunto, siamo "cornuti e mazziati", perché
abbiamo pagato già tante volte, con le imposte, il disavanzo delle
ferrovie. Anche
Dennis Zambon, presidente del Gruppo Terziario Turistico di Assolombarda,
ha rivendicato con forza il coinvolgimento degli imprenditori nella
definizione del progetto. Angelo
Dossena, dirigente dell'associazione dei commercianti di viale Monza, ha
parlato di "strumentalizzazione commerciale dei soliti noti" ed
ha polemizzato con il disinteresse e l'inefficienza del Consiglio di Zona
2. Giancarlo
Aprea, consigliere dei Verdi della Zona 2, ha detto che il Consiglio di
Zona deve poter esaminare i progetti e fare le necessarie controdeduzioni.
"Il problema - ha aggiunto - è stato del tutto ignorato dalla
maggioranza di Centro Destra del Consiglio di Zona, che rifiuta di
assumersi ogni responsabilità". Sono necessari - ha aggiunto Aprea -
un bando di concorso per il progetto e la partecipazione dei cittadini, ed
ha proposto un "Consiglio straordinario" su questo tema. Gianni Bazzan
I quartieri Adriano, Crescenzago e Gobba contrari ai lavori in piazza Costantino Nei
giorni scorsi a più riprese cittadini dei quartieri Adriano, Crescenzago
e Gobba hanno bloccato le ruspe in Piazza Costantino. I
lavori rientrano nell’ambito dei progetti per la riqualificazione di
cinque piazze periferiche della città, tra cui piazza Costantino.
Martesanadue ha più volte informato del concorso indetto e poi del
progetto definitivo approvato nel luglio del 2000: il progetto affronta il
tema della riorganizzazione morfologica e funzionale di un'importante area
periferica della città, assegnando a piazza Costantino il ruolo di centro
simbolico del quartiere. Gli
abitanti protestano contro l’avvio dei lavori che dureranno sei mesi e
che, bloccando la piazza e l’ultima parte di via Padova,
imbottiglierebbe l’intera zona: chiedono, in particolare, la costruzione
di un ponte provvisorio sul Naviglio in via Idro, uno sbocco in via
Anassagora e percorsi alternativi per il traffico che entra in città da
concordare con il Comune di Sesto S. G. per quanto riguarda il quartiere
Adriano. Una delibera approvata dall’intero Consiglio di Zona ha già chiesto la sospensione dei lavori, così come un odg presentato da due consiglieri comunali (uno della maggioranza e uno della minoranza); ma il Comune sembra non accorgersi di tutto ciò. Alcuni cittadini dei quartieri interessati hanno presentato un esposto in Procura.
Colgo
l’occasione della Convocazione del Consiglio Comunale Straordinario del
13 maggio, con la presenza del Ministro Bossi (che è nel contempo
consigliere comunale, pur non avendo mai partecipato ad una sola seduta)
per parlare di un problema serio della società attuale, quello
dell’immigrazione. Non
è un problema solo nostro e neppure solo europeo, ma un problema
mondiale. Se
in Italia gli immigrati rappresentano meno del 3% della popolazione, in
Canada costituiscono il 16%, gli USA il 9,8%, in Australia il 21,5%. Ed
anche i nuovi arrivi vedono una pressione spesso maggiore in questi paesi:
nel 1998 sono arrivati in Europa 1milione 553mila nuovi immigrati e
1milione 684mila negli Stati Uniti, che hanno una popolazione inferiore;
in Canada e in Australia il dato è proporzionalmente superiore. Da
alcuni anni anche stati che non avevano praticamente conosciuto
l’immigrazione (il Giappone, sono coinvolti nel problema). La
mondializzazione dell’economia ha messo in moto un processo di
trasformazione delle vecchie economie locali e di spinta a conformarsi ai
modelli dei paesi più avanzati che porta, non solo ad un grande movimento
di beni e di capitali, ma sempre più anche di persone. Per
non parlare poi delle guerre e del disfacimento di interi paesi che hanno
comportato altre ingenti immigrazioni. Così
tanti paesi si sono trovati a fronteggiare una pressione crescente da
carattere ambivalente: da una parte l’immigrazione costituisce un
problema non facile dall’altra risponde anche ad una esigenza reale
dell’economia per coprire
soprattutto i bassi livelli di mano d’opera. Tutto
questo per dire che è inimmaginabile che si possa evitare
l’immigrazione: con essa dobbiamo ormai convivere e fare i conti. Ma ciò
non significa impotenza o che non ci sia nulla da fare. L’immigrazione
è un movimento che va il più possibile regolamentato, orientato,
gestito, finalizzato in modo da evitare al massimo i grandi costi umani
che l’accompagnano ed insieme l’impatto negativo di una immigrazione
indiscriminata e non regolata. La
regolamentazione non è un problema che un paese può risolvere per conto
proprio. Giustamente
l’Europa ha deciso di adottare una politica comune che sta gradualmente
realizzando, ma occorrono anche accordi internazionali,
progetti di cooperazione, intese bilaterali; interventi economici e
sociali; insomma una rete di collaborazione mondiale in grado di
intercettare ed indirizzare il processo. La
regolamentazione della legge Turco-Napolitano del passato governo di
Centro Sinistra ha costituito una buona base: ora sono in campo delle
modifiche presentate da Bossi–Fini con il deliberato intento di
aumentare la repressione. Ma
il difetto di queste proposte è che, per volontà di reprimere, non si
contrasti solo l’illegalità ma si renda sempre più difficile anche
l’immigrazione regolare e questo costituisce un errore non solo civile
ma anche di gestione del problema. Infatti
alla regolamentazione del problema va accompagnata l’integrazione. E
l’integrazione significa sostanzialmente due cose: una
azione positiva volta a creare le condizioni perché gli immigrati
regolari possano progressivamente inserirsi nella società e un’oculata
politica di intervento e di controllo per impedire che si formino sacche
di illegalità, di degrado, di esclusione, in cui si alimentano le
prospettive peggiori (lavoro nero, sfruttamento, schiavitù, prostituzione
forzata da una parte, devianza, violenza, criminalità piccola e grande
dall’altra). Un’azione
positiva non significa trascurare le esigenze degli italiani, ma bisogna
sapere che l’integrazione è un processo lungo e complesso che non si può
realizzare con scorciatoie e non è solo un problema
materiale: una politica dell’accoglienza è un lavoro
perseverante, sociale, educativo, culturale, perché l’integrazione non
è un fatto naturale che avviene da solo. La
politica dell’integrazione è necessaria perché è l’unica che può
seriamente evitare il degrado, dando invece una risposta positiva ai
problemi allontana le paura e le preoccupazione degli italiani, che sono
diffuse e devono trovare risposte. Ecco
perché è importante un impegno del Comune che ad esempio deve trovare
una risposta agli insediamenti regolari dei nomadi (con piccoli campi
attrezzati e regolati) e dal bisogno di spazi per intere nazionalità che
altrimenti occupano spazi pubblici in modo improprio, ma deve preoccuparsi
della casa, della formazione professionale dell’azione di sostegno
scolastico, e così via. Il
recente accordo sindacale firmato a Milano è un piccolo segno di questa
decisione. Così
il programma regionale per la ripresa, dopo molti anni, della costruzione
di case popolari in affitto è una risposta parziale ma giusta ad
un’esigenza essenziale che riguarda tanto gli italiani quanto gli
stranieri. Ciò
che non bisogna fare è predicare divisione e alimentare contrasti
suscitando la caccia alle streghe e la ricerca di capri espiatori. Una politica di integrazione è innanzitutto coltivare una cultura civile, che è sempre stata di Milano, di sapere affrontare positivamente i problemi e di saperli risolvere nell’interesse della città e dei suoi abitanti.
Sandro
Antoniazzi
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