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MartesanaDUE - maggio 2006 n. 83
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E' difficile ma dobbiamo provarci
SPECIALE VIALE MONZA
Le rubriche
con il senatore Antonio Pizzinato
Lettere alla redazione
Un libro al mese
Un film al mese
Frammenti di umanità suburbana
Biologico in Martesana
Son atto a rimirar... rubrica d'arte
Gli annunci e le opportunita'
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MartesanaDUE mensile di informazione, cultura e annunci della zona due di Milano citta'
Editore Comedit 2000
Direttore Paolo Pinardi
Redazione
Paola D'Alessandro Adele Delponte Antonio Gradia Luca Gualtieri Giuseppe Natale Aurelio Volpe
Red. e pubblicita' Via delle Leghe, 5 20127 Milano Tel. 02/28.22.415 Fax 02/28.22.423
Reg. Trib. MI n. 616 settembre 99
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E' difficile, ma dobbiamo provarci Questi
15 anni di governo delle destre hanno ridotto Milano in fin di vita Martesanadue
ti chiede di fare una croce sul simbolo dei Comunisti italiani e
di scrivere nome e cognome del nostro direttore Paolo
Pinardi sia
per il consiglio comunale che per la zona 2
- Cementificazione
delle aree dismesse con tanta edilizia libera per ulteriormente gonfiare
la bolla speculativa del mattone e tanti centri commerciali (l'area
Marelli-Adriano nella nostra zona ne è l'ultimo esempio); addirittura qui
da noi le uniche due piccole aree a verde (il bosco di Gioia e i campi
sportivi di via Padova) le hanno eliminate costruendovi un altro palazzo
della Regione e un'altra caserma della Finanza. - aria
irrespirabile e traffico alle stelle con la Gronda Nord che lo aumenterà
a dismisura (chi può aspetta con ansia il fine settimana per portare i
figli al mare o in montagna); - anziani
(un terzo della città) lasciati a se stessi e sono sempre più i casi in
cui ci si accorge della loro morte dopo giorni e giorni; l'ultima
settimana del mese molti, non solo anziani, ormai vivono di latte, pane e
patate; - un
altro terzo della città, sopratutto giovani, precarizzato nel lavoro,
nella vita e nel futuro; - scuole,
biblioteche e cultura fatiscienti e senza fondi: - Una
integrazione ostacolata in tutti i modi. Via Padova ridotta al far west
senza nessun progetto o mediazione culturale; meno male che ci sono
episodi spontanei in controtendenza come in via Boiardo; Chiediamo
a tutti gli abitanti della nostra zona di non farsi influenzare dai
risultati delle ultime elezioni politiche che hanno fatto leva sul peggio
che alberga dentro di noi; proviamo a cambiare! Quello che potevano dare
le destre purtroppo l'abbiamo visto; perfino da noi, con un Consiglio di
zona inesistente, ne abbiamo visto le conseguenze. C'è
bisogno di soluzioni forti e radicali per ridare un futuro alla città:
non è detto che il centrosinistra ci riesca visti certi chiari di luna,
ma è un dovere di tutti noi continuare a incalzarlo come abbiamo fatto in
questi anni perché vada nella direzione di un reale e profondo
cambiamento.. Noi volevamo dare il nostro piccolo
contributo, spendendoci direttamente; ma siamo rimasti colpiti
dall'infinità di listoni e listini in aggiunta ai tradizionali partiti;
abbiamo allora proposto ai partiti della sinistra di sperimentare nella
nostra zona un'unica lista con un programma alternativo, a sinistra del
moderato partito democratico dei Ds e Margherita che si nascondono dietro
il simbolo dell'Ulivo. Ma i piccoli ceti politici locali perchè
dovrebbero fare diversamente dai grandi? Quindi anche questa possibilità
è svanita e alla fine abbiamo deciso di accordarci e appoggiare i
Comunisti Italiani che in questi mesi hanno dimostrato di essere i più
aperti, unitari e radicali nei contenuti. La Camera di Consultazione di
Asor Rosa e Valentino Parlato, la proposta di federazione con la sinistra
Ds e Rifondazione, l'accordo al Senato con i Verdi, l’apertura
intellettuali e artisti nella formazione delle liste (Margherita Hack,
NicolaTranfaglia, Luigi Cancrini, Bepo Storti, Ivan della Mea, Gaetano
Liguori e altri) e nelle proposte per il nuovo governo
sono tutti episodi che parlano da soli e che ci permettono di
chiedere a tutti le nostre lettrici e ii nostri lettori di dare più forza
a questo piccolo partito che sa mettersi in discussione per investire su
una prospettiva unitaria della sinistra.
Il Liceo Carducci senza il territorio circostante L’assioma
da cui partire è che una scuola non può ripiegarsi su se stessa, diventare
un universo a sé, ignorare quel che accade “fuori”. Non deve, dunque,
inculcare della mera nozionistica, facendola apparire l’unico sapere
possibile, ma fornire, attraverso gli studi, strumenti per capire la realtà
che ci circonda, nonché rendere consapevoli gl’imberbi studentelli dell’importanza
generale dell’apprendere per aprire la mente. Nel
caso specifico del Carducci i contatti con le vicine istituzioni paiono
deliberatamente evitati: esempi ne sono il progetto di educazione sessuale,
tenuto da esperti di un consultorio privato e cattolico di un’altra zona,
nonostante ce ne sia uno della ASL, pubblico e laico, a poche centinaia di
metri; i corsi pomeridiani, da quelli di lingue agli sportivi, dal teatro ai
cineforum, che potrebbero, se pubblicizzati e aperti al quartiere, diventare
un punto d’incontro tra studenti e cittadini e, visto oltretutto l’annoso
problema della partecipazione minima (quasi mai raggiunta), avere un tanto
sospirato pubblico più vasto; le conferenze o le assemblee plenarie con
esperti esterni, spesso osteggiate dalla dirigenza, che potrebbero
avvantaggiarsi del contributo di esperti locali; la promozione –
totalmente assente – della ricerca sul territorio dal punto di vista
sociale, riguardo l’evoluzione degli abitanti del quartiere nel corso
della storia o le iniziative che qui nascono e sono promosse. Ebbene,
qualsiasi progetto, che coinvolga esterni e non, è lasciato alla libera
iniziativa (e all’approvazione della Preside), raramente con
partecipazioni tali da motivarne la riproposta. Rare eccezioni – come il
corso di storia dell’anno passato, che indagava la nostra zona nel periodo
fascista, approfondimenti in orario curricolare (progetto Tekai) o corsi di
scrittura – sono stati premiati ufficialmente, da importanti istituzioni
quali la Provincia, o ufficiosamente, con un’ampia partecipazione che ha
del miracoloso. La
domanda che sorge spontanea è: perché non creare occasioni per nutrire di
realtà la teoria ed analizzare gli eventi di cui quasi non ci rendiamo
conto, nella nostra piccola oasi di pace? Con quale motivazione non favorire
incontri o la familiarizzazione (addirittura la conoscenza) con le strutture
già presenti sul territorio? A quale scopo non fornire stimoli ad una
generazione già sterile per quanto riguarda l’interesse del mondo? Un
riavvicinamento scuola-quartiere è indispensabile, perché entrambe queste
entità possano trarne giovamento: per le superiori un fondamentale contatto
con il tessuto sociale – per intendere finalmente cosa ci aspetterà nella
vita di tutti i giorni, e per i cittadini della zona un’importante
occasione di arricchimento e confronto con chi domani sarà al loro fianco,
nel cercare di rendere, nel proprio piccolo, questa città migliore. È una
realtà possibile, perché non perseguirla? Elettra
Capisani Storia e cultura attraverso la cucina Dando inizio a una nuova rubrica è sempre obbligatorio, per rispetto di chi legge, indicare l’indirizzo e i concetti di fondo che stanno alla base e delineano un percorso riconoscibile anche se non necessariamente condiviso. Per necessità di spazio, cercherò di farlo in poche righe, anche scontando il rischio di apparire presuntuoso e arbitrario. La
Cucina è stata probabilmente la prima cultura materiale nella storia
dell’umanità. Essa è comunicazione, linguaggio, e come il linguaggio e
le forme artistiche si è evoluta e arricchita nelle forme e nei contenuti,
rappresenta e contiene la storia, cultura e identità di un gruppo o di un
popolo. Più facilmente della parola essa si presta a entrare in rapporto
con gli altri, a costruire mediazioni fra
le culture, e sotto questo aspetto solo la musica possiede la stessa
capacità di contaminazione. La cucina è quindi cultura in continua
evoluzione; diffiderei molto di chi affermasse possibilità di “invenzioni”
in questo campo, anche se venissero da qualche famoso “genio del fornello”
che imperversa in televisione o sulle riviste. Gli ultimi cambiamenti
radicali vissuti in cucina sono infatti avvenuti con l’introduzione di
prodotti allora sconosciuti provenienti dalle Americhe, come ad esempio il
pomodoro, che fece la sua comparsa in Europa nel XVI° secolo.
La globalizzazione ci toglie questa preoccupazione, lasciandoci
casomai quella del reperimento di alimenti naturali e possibilmente non
transgenici. Potremo approfondire meglio questi concetti nel tempo, con
approfondimenti tematici o attraverso lo studio delle origini di molte
ricette. Darei inizio a questa rubrica con una ricetta antica ma semplice
nell’esecuzione: La
Scottiglia Come tanti, nasce come piatto “povero”, cioè con la caratteristica, all’interno di un’idea unificante, di essere costituito da componenti alimentari in parte variabili, per tener fede all’inevitabile assunto che un piatto “povero” si cucina con quello che c’è a disposizione. Trattasi di un piatto toscano o, più precisamente, maremmano della zona conosciuta come Colline Metallifere. Sino a pochi anni fa zona di minatori, boscaioli e pastori, è probabilmente a questi ultimi che dobbiamo l’invenzione di questo piatto, che altro non è che una padellata di carni diverse. Verosimilmente la sua origine va ricercata nelle cene attorno ai fuochi di bivacco dove, nella padella, venivano cucinati tutti i pezzi di carne che avevano al momento a disposizione, aromatizzati dagli odori che il bosco spontaneamente forniva. Nel suo divenire ricetta (quella che oggi in cucina viene chiamata “rivisitazione”) il piatto si è ingentilito, definendo una base comune e tipologie di massima delle carni utilizzate. La mia personale versione prevede tre tipi di carne: maiale, agnello e faraona. Consiglierei per l’agnello la parte posteriore e più precisamente la coscia e per il maiale la parte del collo, più morbida e con le venature di grasso che contribuiscono a insaporire il tutto mentre la faraona è preferibile venga preventivamente spellata. In una padella (di ferro sarebbe il massimo) unta d’olio va soffritto un trito composto da carota, cipolla, aglio, ramerino, salvia e prezzemolo. Disponete le carni tagliate a tocchetti, soffriggete ancora moderatamente, salate e sminuzzate un peperoncino rosso possibilmente fresco, ed infine bagnate con brodo e aggiungete un poco di salsa di pomodoro solo nella misura sufficiente a dare colore al tutto. Proseguite a questo punto sino a cottura aggiungendo, se necessario, ancora un poco di brodo. Piatto gustoso e stimolante, adatto al lungo periodo dall’autunno a primavera, ha anche il pregio di essere poco conosciuto, il che può consentirvi di rinnovare la stima dei vostri commensali. Questo piatto infatti si trova raramente oggi anche in maremma; la sua recente vocazione turistica ha indotto infatti i nuovi ristoratori a declinare una cucina più raffinata e con una presenza sempre maggiore di pesce. Se risalite però dalla costa verso il senese, percorrendo la zona dell’Amiata, potrete trovare ancora trattorie e ristoranti che fanno della tradizione un loro specifico vanto e in cui potrete gustare questa ricetta, divertendovi anche a scoprire le personali versioni a cui questo piatto si presta. Immagino che per un abbinamento a questo piatto venga spontaneo pensare al Morellino di Scansano, vino della zona di ottima qualità e oggi universalmente conosciuto. Proverei quindi a suggerirvi di cercare una bottiglia di Monteregio di Massa Marittima, da pochi anni riconosciuto con la denominazione DOC e vinificato nei vigneti dell’omonimo Comune medioevale ai piedi delle Colline Metallifere. Trattasi di un vino composto nella maggior parte dei casi interamente con uve Sangiovese, con possibili aggiunte di piccole percentuali di altre uve quali il Merlot. Claudio Molteni
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