globalizzazione

 

 

 

Global Forum: lo scontro invisibile

Carlo Giubitosa - marzo 2001

 

Tutti i colori di Porto Alegre

José Luiz Del Rojo- marzo 2001

 

Dopo Seattle, oltre Porto Allegre

Emilio Molinari - marzo 2001

 

Porto Alegre II

Stefano Gatto  da: Lista Sinistra - marzo 2001

 

Porto Alegre

Stefano Gatto da: Lista Sinistra marzo 2001

 

Assenza del movimento delle donne?

Nadia De Mond - Marcia Mondiale delle donne - febbraio 2001

 

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Global Forum: lo scontro invisibile

Durante i lavori del "Terzo Global Forum" dedicato al "governo elettronico" del pianeta, i disordini e il fumo dei lacrimogeni hanno nascosto all'opinione pubblica il vero "terreno di scontro" tra due diversi modelli di sviluppo.

Il 16 marzo, nonostante la bella giornata di sole, sin dal mio arrivo alla stazione di Napoli il cielo era oscurato dal pesante clima di "emergenza" e dalla militarizzazione capillare della città, un "assetto di guerra" che lasciava già presagire le violenze e gli scontri del giorno successivo. "Guardi che in centro non si può entrare", mi dicono mentre mi dirigo verso il Palazzo Reale. Mi vergogno un pò a dire di essere uno dei pochi "eletti" invitati a parlare durante i lavori del forum. Il ruolo che cerco di rivestire è quello dell'"infiltrato", per portare all'interno del Global Forum la voce di chi è stato escluso dal grande banchetto telematico organizzato dai governi e dalle multinazionali.

"L'educazione nella società dell'informazione" è il titolo del workshop al quale sono invitato come rappresentante dell'associazione PeaceLink, nata nel 1991 durante la guerra del golfo, all'interno di un computer portatile di un insegnante trasformato in "redazione mobile" e portato in giro per le classi come strumento di educazione e informazione. Da quel computer, che alcuni anni più tardi sarebbe diventato il punto di partenza di una vera e propria rete telematica, partivano documenti e bollettini che denunciavano gli effetti spietati di quelle che allora erano state appena battezzate dai media col nome di "bombe intelligenti".

Raggiungere la sede ufficiale del forum è un'impresa tutt'altro che semplice: Napoli è una città blindata, e l'ingresso al Palazzo Reale è molto difficile anche per chi, come me, ha un invito ufficiale. Dietro le divise dei poliziotti e dei carabinieri incontro alcuni sguardi pieni del rammarico di chi è chiamato a svolgere suo malgrado un compito sgradevole, ma è ugualmente pronto a svolgerlo con tutta la determinazione possibile, una determinazione che qualche ora più tardi si trasformerà in una furia selvaggia e incontenibile, documentata dai giornalisti coinvolti nei pestaggi mentre cercavano di fare il loro lavoro.

Più tardi, nel corso della conferenza stampa organizzata dai promotori del "controvertice", avrei rivisto sguardi simili negli occhi di altri ragazzi, sinceramente convinti che i veri "nemici" da combattere fossero le forze dell'ordine e non i "burattinai" che da una parte e dall'altra delle barricate utilizzano strumentalmente poliziotti e manifestanti come pedine per nascondere complessi equilibri di potere dietro il paravento degli scontri e dei disordini di piazza.

Dopo lunghe peripezie per raggiungere la sede del workshop, riesco finalmente a prendere posto accanto a Stefano Rodotà e agli altri relatori, che presentano i loro progetti di istruzione e formazione basati sull'impiego delle tecnologie telematiche. L'ultimo intervento tocca a me, e sento un brivido percorrere la schiena dei presenti quando annuncio di essere venuto per esprimere le perplessità e le critiche dei cosiddetti movimenti "anti-globalizzazione", presentando un "Manifesto per la "libertà della comunicazione", realizzato assieme ad altre associazioni e e diffuso attraverso la rete. (
www.peacelink.it/dossier/globalforum).

Tra i molti spunti di riflessione contenuti nel "Manifesto" spicca la critica ad un modello di sviluppo in cui si dà per scontato che l'obiettivo primario dell'educazione sia fornire ad ogni singola persona un computer ed un accesso all'internet, senza che nessuno abbia avviato una seria riflessione sulla sostenibilità e sulla concreta realizzabilità dello slogan "internet per tutti".

Se l'istruzione telematica è un obiettivo per tutti, non si capisce come mai si debba perseguire questo obiettivo prima di fornire a tutti gli abitanti del pianeta gli strumenti linguistici e culturali di base, soprattutto a quel miliardo di analfabeti che (guarda caso) coincide con la fascia della popolazione mondiale che vive al di sotto della soglia di povertà. Se invece l'utilizzo delle nuove tecnologie è un privilegio da riservare a pochi bisogna avere l'onestà intellettuale di dichiarare esplicitamente che il fantomatico "villaggio globale" è in realtà un villaggio globalizzato, un mondo a due velocità con un'istruzione di serie A e un'altra di serie B.

Il grande inganno culturale del "Global Forum" è stato lo scambio del fine con il mezzo, la descrizione della telematica e dell'informatizzazione come un fine da perseguire per il progresso umano e non come un semplice strumento per l'incontro delle culture e la denuncia delle ingiustizie. Una visione della realtà confermata dallo stesso Giuliano Amato, che nel discorso pronunciato in occasione del forum ha ribadito la necessità di "aprire i mercati" delle telecomunicazioni anche ai paesi impoveriti.

Anche dai più sperduti angoli del pianeta, ormai basta avere un piccolo computer e un collegamento telefonico per produrre e consultare informazione in rete, dando nuove opportunità di crescita sociale e culturale anche a chi prima era inesorabilmente tagliato fuori dai grandi circuiti informativi.

Dietro questo effetto di apparente "equalizzazione" sociale, tuttavia, si nascondono gli interessi economici delle grandi compagnie di informatica e telecomunicazioni, che hanno tutto l'interesse ad esasperare l'introduzione delle nuove tecnologie. Più computer, più cavi, più telefoni, più satelliti, più software: dietro l'orizzonte è in agguato una nuova "colonizzazione tecnologica", per portare l'internet lì dove non c'è ancora l'acqua.

I colossi delle tecnologie dell'informazione hanno deciso che anche il sud del mondo ha bisogno di informatizzarsi e di mettersi velocemente "On Line". A qualunque costo. Partendo dal Sudafrica, aziende come Microsoft e IBM hanno iniziato la loro "invasione digitale" per penetrare anche nel resto del continente. Già nel 1997 Bill Gates, dopo aver affermato che "c'è un mercato potenzialmente enorme in Africa", è atterrato a Johannesburg per l'inaugurazione del primo "villaggio digitale" di Soweto, il primo passo di un investimento da dieci milioni di dollari.

Il "controvertice" visto dai media

L'analisi critica della "società dell'informazione" e dei diversi modelli di sviluppo che si sono scontrati a Napoli richiede uno sforzo non indifferente. Probabilmente è stato proprio questo il motivo che ha spinto la maggior parte dei mezzi di informazione ad evitare la fatica dell'approfondimento, appiattendo il livello della discussione e riducendo la realtà ad un semplice scontro tra "indiani" e "cow-boys". Indubbiamente è molto più semplice fare la cronaca degli scontri che analizzare in dettaglio le posizioni di "globalizzatori" e "globalizzati".

Chi ha partecipato direttamente ad azioni dirette nonviolente, ad esempio durante le varie manifestazioni contro i bombardamenti Nato del 1999, sa benissimo che in ogni corteo basta anche un minimo atto di violenza per azzerare qualsiasi messaggio positivo e propositivo, che inevitabilmente passa in secondo piano. Le risse "fanno notizia" e stimolano la curiosità dei lettori molto più di qualsiasi analisi sociale e politica.

Quali sono stati i messaggi che, attraverso i mezzi di informazione, hanno raggiunto quel 90% della popolazione escluso dal giro dei "vip" e dalla ristretta cerchia degli attivisti no-global ? Indubbiamente è più facile ricordare le immagini ad effetto degli scontri di piazza che le riflessioni sui modelli di sviluppo dominanti.

Dal punto di vista mediatico ed informativo, bisogna ammettere onestamente che le contromanifestazioni di Napoli sono state un grave autogol, un "danno di immagine" che nel futuro renderà ancora più difficile il lavoro di tutti i movimenti anti-globalizzazione. Quel variegato insieme di persone e di organizzazioni che i mezzi di informazione definiscono sbrigativamente "il popolo di Seattle" è ormai associato nell'immaginario collettivo alla violenza e all'estremismo, grazie alla semplificazione operata dai media e grazie al teatrino della violenza in cui ognuna delle parti ha recitato il suo ruolo alla perfezione, staccando la spina del cervello e dando libero sfogo ad una rabbia non molto lontana dalla rabbia con cui i gladiatori dell'antica Roma si scannavano tra loro nel Colosseo mentre i potenti sghignazzavano in tribuna.

Dopo questo "strappo mediatico" tra la società civile e i movimenti anti-globalizzazione sarà necessario un duro lavoro per rendere visibile il lavoro di chi, pur affermando modelli di sviluppo lontani da quelli della cultura dominante, non si riconosce nella violenza e nello scontro fisico.

Nel frattempo c'è chi approfitta della distrazione dei mass-media, troppo impegnati a fare il conto dei feriti nelle piazze, per tracciare il futuro dell'informazione in Italia senza fare troppo rumore. Il riferimento è ad un documento di 10 pagine firmato Mediaset, distribuito durante uno dei workshop del Global Forum, in cui si legge testualmente che la legge relativa ai servizi di trasmissioni digitali terrestri, approvata dal Senato il 7 marzo scorso, permette di "ritenere superato l'attuale regime antitrust sull'analogico", e che, quando il segnale televisivo non sarà più analogico, ma trasmesso sotto forma di "bit", ci sarà "la possibilità di superare, nella frontiera digitale, i divieti di proprietà incrociate tra stampa, televisione e telecomunicazioni". Quanto basta per un buon articolo. Ma allora perché nessuno ne parla ?

"Si ringrazia la redazione di "Altreconomia" (
www.altreconomia.it) per la pubblicazione di questo articolo".


 

 

Tutti i colori di Porto Alegre

 

 

Nella capitale dello Stato di Rio Grande do Sul, Porto Alegre, Brasile, fra il 25 e il 30 gennaio 2001 si è tenuto il Primo Forum Sociale Mondiale. È uno di quei rari eventi che realmente possiamo classificare come storico e destinato a lasciare segni sul secolo che è appena iniziato. Dal momento che è stato qualche cosa di gigantesco nelle sue proporzioni e complesso nelle sue articolazioni, è bene spiegarne passo passo la genesi, lo sviluppo e le prospettive.

 

Le origini del Forum

 

La terribile offensiva scatenata alla fine degli anni '80 dal capitale finanziario ha disarticolato in tutto il mondo le organizzazioni dei lavoratori, i movimenti popolari, le filiere ambientaliste. Si è impiantato il dominio supremo del profitto, si decretò la fine della storia, l'esistenza del pensiero unico e l'esaurimento di qualunque utopia. Il welfare, dove esisteva, vide accelerata la sua distruzione, lo sfruttamento di uomini e donne aumentò in modo vertiginoso. La vita animale e vegetale in tutti i suoi segmenti è stata classificata come merce, soggetta al mercato, così come  le altre componenti del pianeta. Si intensificò la guerra come forma di oppressione, controllo e profitto.

Concetti come politica, lavoro, solidarietà, cultura, comunità, democrazia sono stati svuotati. Se ne sono imposti di nuovi, come post-moderno, new economy, globalizzazione, flessibilità, tolleranza zero, ecc.

I risultati sono sotto gli occhi di tutti: aumento della diseguaglianza fra i popoli e all'interno di ogni stato, concentrazione dei redditi, ritorno della schiavitù, fame, guerre e distruzione crescente del pianeta.

È  chiaro che forme di opposizione e di resistenza a questo doloroso quadro continueranno a esistere e ad ampliarsi anche se lentamente. Sono state pubblicate innumerevoli opere teoriche in cui si analizzavano gli errori del passato recente e si criticava la situazione che si è venuta a creare. Fra esse è interessante evidenziare un documento del 1994, scritto da  Riccardo Petrella, Charles-André Udry e Christophe Aguiton, in cui si lanciava l'idea di creare una "planetaria" dei popoli contro la globalizzazione. Questo concetto ha cominciato a germinare.

Con le dimostrazioni di Seattle contro il WTO, e la loro divulgazione attraverso i mezzi di comunicazione mondiali, si segnalò il fatto che il movimento anti globalizzazione gattonava per avviare un' offensiva. Da quel momento in poi ogni riunione importante degli organismi internazionali dovette affrontare mobilitazioni di piazza, che rivelavano il carattere antidemocratico e antipopolare di organizzazioni come il WTO, il FMI, la Banca Mondiale...

Ma mancava qualche cosa. Un momento di riflessione comune di un movimento giovane, frammentato in migliaia di organizzazioni, che inglobi esperienze e culture diversificate. Una riflessione che apra nuove forme di coordinamento e lotta.

Nel febbraio 2000 un piccolo gruppo di brasiliani legati al movimento pensarono che il momento migliore per realizzare una riunione che colmasse questa lacuna fosse quello dell'incontro che si realizzava da vent'anni in Svizzera a Davos. In quella piccola città  i maggiori milionari della terra tracciano le loro strategie che determinano i destini dell'umanità.

Entusiasmati dall'idea, essi la discussero con l'organizzazione ATTAC della Francia e con il mensile Le Monde Diplomatique. L'appoggio fu immediato. Si trattava di scegliere il luogo e proporre al movimento mondiale. Il 28 febbraio si creò il comitato brasiliano per l'anti Davos e poco tempo dopo il sindaco di Porto Alegre e il governatore di Rio Grande do Sul si dichiararono disposti ad ospitare un tale evento. Si trattava ora di trovare la legittimazione.

Alla fine di giugno si realizzò a Ginevra un incontro alternativo a quello  sociale dell'ONU. Centinaia di organizzazioni antiliberiste del mondo intero si incontrarono in quell'occasione. Vi partecipò anche il vice governatore di Rio Grande do Sul, Miguel Rossetto, che presentò l'invito. L'appoggio fu unanime e si costituì il comitato internazionale per realizzare il primo Forum Sociale Mondiale.

Da quel momento in poi fu una corsa contro il tempo per superare le difficoltà materiali, politiche e di comunicazione. Le adesioni, inizialmente timide, cominciarono a trasformarsi in valanga da novembre.  Erano garantite le presenze, ma come sarebbe stato lo sviluppo dell'incontro? Molte erano le incertezze.

L'incontro

 

Impossibile descriverlo in poche righe. Meglio dare i numeri, sebbene imprecisi, per cogliere il clima: 16.000 persone con credenziali, delegazioni di 122 paesi, circa 2.000 organizzazioni, 1800 giornalisti, 450 parlamentari, centinaia di sindaci, decine di centrali sindacali, oltre 400 work-shops, a tacere delle riunioni plenarie e di migliaia di riunioni fra delegazioni. In parallelo si realizzava anche il forum sociale della gioventù, con 4000 partecipanti. Il tutto inframmezzato da manifestazioni di piazza, gruppi musicali e incontri con la realtà sociale e politica della città.

Si lavorava dalle prime ore del mattino fino a notte fonda.

In un clima estremamente fraterno, in una babele di idiomi, in tutte le tonalità di colori che l'umanità può esprimere, in una vasta gamma di posizioni politiche, ideologiche e religiose, si discuteva di tutti gli aspetti del quadro mondiale. Ma tutti hanno ritenuto che sia stato poco, che era necessario di più.

Così si è deciso di convocare un altro forum per gennaio 2002, sempre a Porto Alegre, al fine di consolidare il movimento. Allo stesso tempo si è chiesto di realizzare incontri nazionali in molti paesi del mondo. A partire dal 2003 il FSM dovrà realizzarsi in altri paesi. E a partire da allora si prevede di alternare un anno gli incontri nazionali e un anno l'incontro planetario.

È stata anche tracciata un'  impegnativa agenda di lotte all'interno della quale si colloca l'opposizione alla riunione del G8 del 19-22 luglio 2001 a Genova.

Ma la cosa più importante è che si è creato un nuovo spirito, chiamato il  "consenso Porto Alegre", che ha decretato che un altro mondo è possibile in  alternativa al "consenso Washington" che  propaganda l' immobilità, la tristezza e la mancanza di speranza.

Tutto l'orgoglio dei partecipanti a questa riunione sarà riassunto nella frase che verrà scritta sul monumento che si erigerà in una piazza di Porto Alegre e che dirà al mondo che “il secolo XXI è cominciato qui, nel gennaio 2001”.

 

 

Dopo Seattle, oltre Porto Allegre

 

 

Da Seattle in poi, la Rete antiliberista che in quella occasione fece la sua prima comparsa, s’è data molti altri appuntamenti di lotta: Genova TEBIO, Praga, Nizza, ecc.. Sempre però, in ogni occasione, i suoi detrattori politici, i pennivendoli di una stampa ormai mondializzata dal WTO e talvolta anche la voce di qualche vetero marxista, si sono espressi più o meno in questo modo:”E’ un movimento senza futuro, troppo diverso e contraddittorio nei soggetti che lo compongono. Stanno insieme solo sui NO, e sulle manifestazioni contro.

Porto Alegre è stata una buona risposta a questi argomenti.

A Porto Alegre, la Rete s’è data appuntamento ma questa volta per discutere, tutti assieme, diversi e contradditori come siamo, per trovare assieme risposte, mischiare i linguaggi, tessere un primo tenue filo organizzativo e di contenuti.  Per sei giorni, più di 10-15.000 persone, 6.000 provenienti da ben120 paesi,hanno fatto questo miracolo. Coscienti che il dominio del mercato e del capitale, l’individualismo che genera l’assenza di valori collettivi, mette a rischio tutto ciò che vive su questo pianeta, lo rende merce, spegne i sentimenti ecc... Ma ci costringe tutti, con le nostre diverse contraddizioni e sensibilità, ad interagire, mischiare, cambiare se necessario le proprie convinzioni.

Questo è ciò che è avvenuto a Porto Alegre. Non è uscito un programma unitario, il progetto compiuto, ecc.. Non è uscito e non doveva uscire. Perché ciò che doveva invece succedere a Porto Alegre, era l’inzio di un camminare assieme tra diversi che ora si conoscono, conoscono le reciproche convinzioni, esigenze e possibili convergenze,per poter cominciare a delineare: UN ALTRO MONDO E’ POSSIBILE. Bene i primi passi sono iniziati, sulla strada di ciò che Riccardo Petrella chiama, e volutamente con enfasi di linguaggio: La prima planetaria.

Ecco... il linguaggio.

Il linguaggio di Porto Alegre, è nuovo e nello stesso tempo nella sua ricercata enfasi trasmette il senso della storia. E” carico di responsabilità per chi l’ascolta: L’UMANITA”gli esseri VIVENTI  violentati nella materia e nello spirito dalla violenza del pensiero unico del mercato, quali referenti del nostro impegno,  IL PIANETA come nostra dimensione ed orizzonte, ecc..Stiamo lottando per queste cose ed il linguaggio vuole  trasmetterci questa responsabilità, sembra dirci: “Guardate che questo è il vostro compito ..Ne siete responsabili?.. Vuole scuotere le nostre coscienze, darci il senso di una nuova idealità per la quale val la pena di battersi, rischiare sacrificarci, militare, costruire speranze e forse miti. Questo era lo spirito di quelle sale dell’università cattolica di Porto Alegre, dei tamburi e dei canti dell’Africa che muore e che cerca l’orgoglio, nelle parole del poeta Galeano recitate e mimate da una splendida mulatta. Linguaggio, musica, parole, che entrano nei cuori nelle menti di 10.000 persone, dando a tutti le stesse emozioni e facendoci sentire un unico organismo vivo ed impegnato.

Il conflitto.

Dopo il linguaggio questa è un’ altro dei motivi che hanno percorso il FORUM.

Scontro o confronto con i poteri di Davos? Concertazione o scontro con la globalizzazione capitalista? Come concepire la nostra globalizzazione antiliberista? Con le mille testimonianze di esperienze esistenziali alternative o con le lotte le mobilitazioni i movimenti sociali? E le istituzioni di Bretton Woud e il WTO,  riformarle o battersi per delle nuove, democratiche e rappresentative dei popoli? Operai e sindacalisti della CUT o della CGIL o dei COBAS, femministe della marcia mondiale delle donne, ambientalisti, popoli indigeni SEM TERRA, ZAPATISTI, VIA CAMPESINA, ong, onlus e l’arci italiana, le associazioni del mercato Equosolidale, del biologico ecc., a tutti il Forum  ha posto quest’ordine di domande.

Senza dare risposte compiute e definite, l’esperienza dei SEM TERRA è stata però per tutti, un concreto punto di riferimento con il quale misurarsi. Lotta, movimento, occupazione delle terre, ma anche esperienza produttiva diversa e alternativa, modello di vita comunitaria, ma anche salvaguardia delle individualità, progetti di cooperazione internazionale, mercato equosolidale e lotta al transgenico e alla Monsanto, coltivazione e allevamento biologico, e infine incontro scontro con la politica e le istituzioni.

La città.

Già, la città di Porto Alegre, che  ha accolto per 6 giorni la moltitudine del FORUM, partecipando  all’evento coralmente, è stata lei stessa un elemento emblematico di interazione tra  diversità e contraddizioni. L’esperimento di Porto Alegre, è un pezzo della riflessione politica della Rete e del FORUM.

Una città moderna di un milione e mezzo di persone, una città che è stata operaia e che è stata deindustrializzata. Da più di 10 anni è governata dalla sinistra che dalle ultime e recenti elezioni è uscita con il 67%. Che però, vive un esperimento politico sociale culturale nuovo ed esaltante che solo la miseria dell’arrognte provincialismo e localismo della sinistra e dell’ambientalismo italiani può continuare ad ignorare o a considerare cosa da paese del terzo mondo.

Una città e una sinistra che attraverso l’esperienza del bilancio partecipato hanno riavvicinato i cittadini e i movimenti sociali alla politica, all’interesse collettivo, al senso civico del bene comune.

Una città che mette un quarto delle proprie entrate a disposizione delle scelte della partecipazione diretta dei cittadini, delle forze sociali dei movimenti e delle associazioni.

Scelte discusse nelle istanze decentrate dei quartieri, discusse e votate secondo un percorso che dura un anno, da bilancio a bilancio, che presuppone una interazione tra interessi e soggetti diversi che scelgono assieme le priorità, e tra democrazia diretta e istituzioni elettive e delegate.

Dove i partiti che devono governare e tener conto del consenso elettorale, si rapportano alla radicalità dei movimenti con la coscienza che sono elementi di forza per la mediazione e non ostacoli alla concertazione con gli avversari.

Una città che si proietta nel mondo e proietta in tal senso i propri cittadini, che nel fare ciò sceglie il campo in cui stare nello scontro che divide il pianeta tra ricchi e poveri tra vassalli dell’impero e ribelli antiliberisti Che offre, a chi si batte nel mondo, il palcoscenico di una città, che diffusamente, con simpatia, ci ha accolti e ha condiviso il sentimento di tutti noi, che proprio li, in quei giorni si manifestava un evento che per dirla con il governatore dello stato del Rio Grande Do Sol faceva si che il mondo da domani sarebbe stato un po’ diverso.  

 

 

 

Porto Alegre II

 

Cari amici:
Riprendo il discorso interrotto qualche giorno fa e mi scuso per il ritardo con cui mando la seconda parte di questo messaggio. Ringrazio l'interesse di coloro che, in posta privata, mi hanno invitato a trasmetterlo.
Eravamo rimasti alle conclusioni di Porto Alegre. Per definizione il Foro Sociale non aveva come scopo quello di elaborare un vero e proprio documento organico, ma piuttosto quello di stimolare la riflessione su alcune possibilita' d'azione complementari alla globalizzazione.
Riporto la lista delle principali proposte emerse dal Foro, su cui la discussione e' aperta. Possono divenire gli assi di una nuova costruzione di sinistra per il mondo globalizzato? A tutti noi la risposta.
Premetto, tanto per chiarire, che alcune di queste proposte mi convincono, altre molto meno.
Se io fossi stato a Seattle, sarei stato dentro il Palazzo, non fuori a protestare, ma ritengo interessante che tutti noi possiamo confrontarci con questi temi qualunque sia la nostra posizione od il nostro background.

1. Trasformazione del Foro Sociale di Porto Alegre in un Foro internazionale permanente, che meta in rete ONG, sindicati, partiti etc,, allo scopo di creare una mobilitazione permanente attorno ai temi che stanno a cuore alla societa' civile. In questo senso, l'edizione annuale del Foro non sarebbe che una delle espressioni organizzate di questa rete.

2. Creazione di un Tribunale Internazionale contro i crimini del neoliberalismo e della globalizzazione: creato non da Stati ma dai rappresentanti della societa' civile, avrebbe come scopo quello di mettere in luce eventuali crimini commessi in nome della ricerca del profitto a tutti i costi: parallelamente allo svilupparsi di un diritto penale internazionale, che permette di perseguire i dittatori, questo nuovo Tribunale giudicherebbe delitti commessi contro nazioni, popoli ED etnie, l'ambiente.
Commento: questa proposta non mi vede d'accordo. Chi sceglie i giudici?
Come facciamo ad essere sicuri che siano indipendenti? Questo Tribunale non diverrebbe un foro politico delegittimato tipo Unesco anni 70, quando il capitalismo era l'impero del male? Bah..

3. Introduzione su scala internazionale della Tassa Tobin sui movimenti speculativi di capitali.

4. Finanziamento su scala mondiale di programmi educativi di base, mediante switch di debiti.

La proposta prende lo spunto da un programma partito proprio qui a Brasilia ed in via d'estensione in tutta l'America latina. Si tratta del cosiddetto "bolsa - escola", che consiste nel pagare alle famiglie un salario di sostituzione di quello che il minore otterrebbe lasciando la
scuola per andare a lavorare. La frequenza scolastica e' condizione sine qua non per l'elargizione dei fondi. Il programma sta funzionando molto bene in America Latina perche' colpisce alla radice il problema dell'abbandono scolare ( i famosi bambini di strada sono assai raramente orfani od abbandonati, ma sono spesso messi sulla strada dalla loro famiglia per contribuire al reddito familiare).
Secondo i calcoli dei proponenti, mediante la conversione del 13% del debito esterno dei PVS sarebbe possibile finanziare un programma di questo tipo per le famiglie dei 250 milioni di bambini lavoratori nel mondo.

5. Lancio di un programma di reddito minimo su scala mondiale: garantirebbe condizioni essenziali di vita per milioni di persone.
Un fondo di 100 miliardi di US$ (ricavati dalla Tassa Tobin o dalla conversione di debito) permetterebbe di fornire redditi - base adeguati al paese di residenza ad un miliardo di persone.

6. Lancio di un programma internazionale di sviluppo sociale, che verrebbe a completare i programmi internazionali di sviluppo economico.
Tale programma si concentrerebbe su temi quali educazione, salute ed igiene di base, grandi epidemie, alimentazione, degrado ambientale etc.
Tale programma non sarebbe alternativo o sostitutivo ai programmi finanziari tipo FMI, ma li integrerebbe.
Commento: e' impressionante vedere com, dopo i granchi presi in Asia che hanno minato la sua credibilita', lo stesso FMI abbia integrato la dimensione sociale al proprio discorso. Esiste quindi un oggettivo concorso di circostanze che fa pensare che non sia impossibile pensare
di rilanciare strumenti operativi internazionali focalizzati sul sociale.
Per anni la ricetta contro la poverta' e' stata: sviluppiamo le economie, i problemi sociali si risolveranno poi da soli. Equazione piu' o meno corretta, ma la sua seconda parte e' troppo lenta nel dispiegare i suoi effetti, come il caso del Brasile dimostra chiaramente.
Bisogna quindi incentivarla, senza pero' mettere in pericolo la prima parte dell'equazione. Difficile? Certo, nessuno ha mai detto che siamo di fronte a problemi facili.

7. Definizione del diritto alla mobilita' umana internazionale: beni, servizi e capitali possono circolare sempre piu' liberamente, ed e' un bene. Le persone lo fanno anch'esse, ma malamente, in condizioni precarie ed avvilenti. E' quindi necessaria una grande battaglia
internazionale per garantire l'equiparazione a tutti gli effetti dei diritti dei migranti a quelli dei nazionali e l'abrogazione di tutte le leggi discriminatorie.

Ma al tempo stesso:

8. Lancio di programmi internazionali d'incentivi che permettano l'esercizio sostanziale del diritto a vivere dove si e' nati.
Teoricamente e' un diritto che tutti noi abbiamo, ma nella pratica milioni di persone non possono goderne. Che fare? Una volta di piu', l'unica risposta valida ad un fenomeno globale e' una risposta internazionale.
I meccanismi d'incentivo (pensiamo ai ricercatori che continuano a vivere nel loro paese senza che, grazie alla rete, sia necessario che emigrino) non possono che venire da iniziative concertate internazionalmente.
Commento: mi sembra interessante la difesa di questi due principi apparentemente contraddittori ma in pratica complementari. Puo' sembrare tutto molto utopico, ma penso che il mondo vada proprio in quella direzione.

9. Recupero del ruolo dello stato in termini di etica ed efficienza: lavorare non per il superamento dello stato, ma per il suo adattamento alle nuove necessita'. Si' quindi ad uno stato "leggero" come vuole il liberalismo, ma si' anche alla solidarieta', si' alla responsabilita'
fiscale ma anche sociale, no alla corruzione.

10. Aggiunta mia: lancio e messa in pratica di tutti gli strumenti tecnici, giuridici ed economici necessari per portare avanti una battaglia decisiva contro la corruzione, politica od economica che essa sia.
Passi avanti se ne sono fatti in questi anni, ma molto di piu' si puo' fare per arginare il cancro della corruzione, che devia risorse favolose che dovrebbero essere destinate ad altri fini. I margini per migliorare ci sono eccome, basta che si voglia farlo davvero..

11. Elaborazione di un nuovo consenso internazionale: cosi' come Davos incarna il consenso esistente attorno ai valori del capitalismo, il consenso di Porto Alegre (o come lo si voglia chiamare), puo' venire a completare ed a correggere i limiti della globalizzazione.

Tutto cio' e' emerso a Porto Alegre. E' poco, e' molto? Proviamo a parlarne.
Qualcuno potra' eccepire che la piattaforma di Porto Alegre e' molto piu' legata ai problemi del Sud del mondo che a quelli del Nord, che e' piu' attenta ai problemi dei paesi poveri che di quelli ricchi.
In realta', le interdipendenze tra Nord e Sud sono oggi piu' evidenti che mai, e non esiste problema che non abbia il suo rovescio.
Si puo' partire da qui per definire un nuovo pensiero progressista che non si appiattisca su una versione ingentilita del liberalismo?
Il dibattito e' aperto.

 



Porto Alegre

 

Cari amici,

non ho partecipato di persona al Foro Sociale di Porto Alegre, ma ho avuto l'occasione 'incontrarmi con alcuni degli organizzatori di questa manifestazione.
Ritengo utile diffondere in lista qualche informazione sul Foro e sulle prospettive di sviluppo dell'iniziativa, la cui presentazione sui media e' stata fuorviata anche a causa delle controproducenti performances dell' "eroe" Jose' Bove' (personaggio che ritengo assolutamente deleterio per la sua stessa causa).
In questo primo messaggio presentero' lo spirito dell'iniziativa, in un secondo gli scenari per il "dopo Porto Alegre".
Il Foro Sociale di Porto Alegre e' nato dall'idea di un gruppo di persone legate alla sinistra brasiliana, che voleva sviluppare un'iniziativa capace di dare organicita' a quel disagio derivante dagli effetti perversi della globalizzazione emerso prepotentemente a Seattle.
Proposta a "Le Monde Diplomatique", l'idea assume la forma di un Foro alternativo a Davos, da realizzarsi in contemporanea con esso per discutere gli aspetti della globalizzazione trascurati (si suppone) a Davos.
Come luogo viene scelta Porto Alegre, una citta' dove da dieci anni vieni portato avanti dal municipio di sinistra un sistema di gestione del bilancio comunale senz'altro originale: si tratta dell' "orçamento participativo" (bilancio participato), procedimento mediante il quale le scelte in materia di spesa comunale vengono effettuate mediante un sistema capillare di assemblee di quartiere aperte a tutta la cittadinanza, nelle quali non ci si limita a dare pareri ma si vota con effetto vincolante per il Comune.
Porto Alegre e' quindi divenuto un punto di riferimento internazionale per chi guarda con interesse a forme piu' dirette di gestione del territorio, che si dimostrano possibili non solo in un villaggetto sperduto sulle montagne ma anche in una citta' industriale con piu' di un milione di abitanti.
La contrapposizione con Davos e' voluta, ma e' importante capire che il Foro Sociale non porta avanti un'utopica lotta contro la globalizzazione ma piuttosto vuole mettere in luce la necessita' di mettere la globalizzazione al servizio degli uomini e non dei mercati.
Insomma, si' alla globalizzazione, grande opportunita' da sfruttare, ma identificando dei meccanismi che permettano di porre al primo posto la qualita' della vita per tutti.
Questo e' un importante passo in avanti rispetto alle archeologiche posizioni di chi si oppone al concetto stesso di globalizzazione, impelagandosi in una battaglia persa e senza senso.
Bisogna anche dire che Seattle e Porto Alegre sono essi stessi fenomeni figli della globalizzazione, cosi' come lo sono gli effetti positivi e negativi sul funzionamento dei mercati: senza Internet non sarebbe stata  possibile la mobilitazione di Seattle, senza la rete non si sarebbe potuto organizzare Porto Alegre in pochi mesi.
La rete quindi offre l'opportunita' alla sinistra di dare una risposta costruttiva alla globalizzazione: a dieci anni dalla caduta del Muro di Berlino sta forse cadendo il mito del pensiero unico e s'intravede la possibilita' di un pensiero alternativo al liberalismo e perdipiu' su scala planetaria e generato dal basso, dalla societa'.
Anche se diverse delle proposte di Porto Alegre non mi convincono, ritengo utile poter uscire dalle strettoie del pensiero unico: la concorrenza e' sempre un bene..
Se Seattle aveva espreso un disagio piu' che delle proposte, e se anzi quel "casino organizzato" sbagliava probabilmente destinatario (un mondo senza OMC o con una OMC che funziona male e' meno democratico e piu' iniquo) e raccoglieva al suo intorno esigenze e tendenze del tutto
incompatibili, con Porto Alegre incomincia ad intravedersi una certa tendenza costruttiva.
Oddio, il Foro era per sua natura organizzato dal basso, quindi ha visto centinaia di riunioni e di temi trattati un po' alla rinfusa.
Ma il fatto che un Soros (vedete un po' come sono cattivo, non sopporto Bove' ed apprezzo Soros..) interloquisse in videoconferenza con Porto Alegre e che anche a Davos per la prima volta si sia parlato di aspetti sociali (sottosviluppo, divisione digitale, epidemie), mette in luce come la fase ultra - ottimista del pensiero unico sia tramontata e sia sempre piu' evidente ai piu' la necessita' di allargare lo sguardo ad altri aspetti della realta' che non siano semplicemente la produzione ed
il consumo.
La sinistra mondiale, allo sbando ideologico da un decennio, ha l'occasione di ritrovare una prospettiva costruttiva e non semplicemente (e inutilmente) distruttiva.
Il Foro Sociale diventera' permanente: l'anno prossimo sara' organizzato in sezioni che avranno luogo in contemporanea in diversi paesi, per ritornare probabilmente in un luogo solo (non per forza Porto Alegre) tra due anni. 
Nel mio prossimo intervento presentero' alcune delle proposte attorno alle quali si e' generato un certo consenso a Porto Alegre.


 

 

Assenza del movimento delle donne?

 

Sono appena tornata dal Brasile dove ho partecipato - tra le altre cose - al Forum sociale mondiale e dando un'occhiata a Carta, con la convocazione dei Cantieri sociali a Pescara, riesco a contare 42 relatori tra cui 40 uomini.

Povera vecchia sinistra italiana, penso. Meno male che a livello mondiale tira un'area totalmente differente.

A Porto Alegre non solo hanno partecipato una maggioranza di donne ma esse erano presenti come soggetto politico a tutti tavoli e le tematiche femministe hanno largamente attraversato le elaborazioni di questo momento di confronto internazionale tra i vari movimenti sociali che si adoperano per trasformare questo mondo. In particolare il coordinamento della Marcia mondiale delle donne contro le violenze e la povertà ha collaborato alla stesura del documento finale dell'assemblea dei movimenti sociali della cui presidenza faceva parte - sappiamo quanto contano anche i simboli e la visibilità dei corpi!

Questo documento infatti parla di donne e uomini, impegnate/i nella lotta per i diritti dei popoli...e dice:

"La globalizzazione rafforza un sistema sessista, escludente e patriarcale, incrementa la femminilizzazione della povertà e acuisce la violenza, di cui le principali vittime sono donne e bambini/e. L'UGUAGLIANZA TRA UOMINI E DONNE E' UNA DIMENSIONE CENTRALE DELLA NOSTRA LOTTA . Senza questa uguaglianza, nessun altro mondo sarà possibile."

Con amara sorpresa leggo sul Manifesto, tre giorni dopo, la convocazione dell'assemblea post-Porto Alegre a Milano: circa 10 relatori di varie aree antiglobalizzazione - più o meno presenti in Brasile - con totale assenza del movimento delle donne.

Cosa hanno appreso questi compagni a Porto Alegre? Di cosa parlano quando riempiono la bocca del rinnovamento della sinistra e della pluralità dei soggetti della trasformazione se non vedono neanche la prima delle relazioni di potere, anteriore a quella di classe e trasversale ai sistemi di produzione, che è quella fondata sul genere?

Comunque questo "increscioso incidente" non fa che rafforzare la nostra determinazione nella costruzione di un movimento AUTONOMO di donne contro la globalizzazione, costruendo i nostri momenti di incontro e di mobilitazione, così come abbiamo fatto da Roma a Bruxelles - 40.000 donne in piazza - nel 2000. E così faremo a Genova in occasione del G8 potendo contare sull'appoggio di una rete capillare di 6000 organismi operanti in 161 Paesi.

La nostra Marcia continua e alcuni, tra gli spiriti più illuminati, stanno aprendo gli occhi e scoprendo l'interesse strategico di un'alleanza con noi.

Altri arriveranno.....oppure finiranno con i tanti avanzi che questo millennio ha da spazzare via.